Qualche considerazione geopolitica

Negli ultimi giorni si sono verificati eventi degni di nota sul piano degli equilibri di potere internazionali: lo scontro tra Riyad e Teheran, con ricadute sui rapporti con Washington, e lo scontro tra Turchia e Russia, riportato alla luce dalle esplosioni di Istanbul.

L’esecuzione di 47 detenuti, tra cui sia jihadisti salafiti che dissidenti sciiti per motivi religiosi o politici, ha costituito per l’Arabia Saudita allo stesso tempo l’occasione per compiacere le potenze occidentali impegnate almeno a parole sul fronte anti-terrorismo e il pretesto per eliminare il dissenso interno al mondo islamico, ravvivando il millenario conflitto tra sunniti e sciiti. Si badi bene che tale conflitto non è stato «riacceso» da questi fatti, come sostiene buona parte della stampa: esso è sempre stato acceso e gli sconvolgimenti in corso in Medio Oriente, con la ridefinizione delle sfere di influenza saudita (tramite la guerra in Yemen, diventato ormai un Vietnam arabo, e l’unilaterale proclamazione di velleitarie e improbabili alleanze) e le conquiste dello Stato Islamico in Siria e Iraq, lo mostrano chiaramente. Che la situazione di tensione sarebbe sfociata in un innalzamento della guardia da parte di Teheran, sciita, nei confronti di Riyad, sunnita, era prevedibile, e ancora una volta l’Arabia Saudita ha colto la palla al balzo spostando l’attenzione dalle condanne a morte all’assalto incendiario ad una sede diplomatica in Iran, prontamente condannato dai paesi atlantici.

In questo contesto va letta la notizia delle ultime ore della cattura da parte dell’Iran di due navi USA, poi subito rilasciate perché «non è stato un atto ostile: l’ingresso di marinai americani in acque iraniane era dovuto a un guasto del sistema di navigazione». Che ciò sia vero o meno, suona come un avvertimento: la tensione è alta e l’Iran non può lasciare che il tradizionale legame tra regime saudita e USA esca rafforzato dalla solidarietà che la comunità internazionale (USA in primis) ha manifestato a Riyad per la questione dell’assalto alle sedi diplomatiche. L’Iran si aspetta una violazione ed è pronta a intervenire, sembra voler dire “siamo sul chi vive”; ma anche l’invasione “accidentale” delle acque territoriali iraniane da parte delle navi statunitensi potrebbe essere un avvertimento. Per questo Teheran sembra anche voler dire a Washington che non conviene mettere a repentaglio l’accordo risultato dal lungo negoziato sul nucleare.

L’altro scontro riguarda la Turchia, seconda potenza militare NATO dopo gli USA, e la Russia. Dopo gli avvenimenti di un mese fa, quando due aerei militari russi in missione in Siria furono abbattuti dai missili turchi perché «violavano lo spazio aereo turco» (secondo le autorità turche, ma ciò risulta poco probabile) ci sono stati forti momenti di tensione in cui Russia e Turchia hanno decretato reciproche sanzioni la Turchia ha cercato l’appoggio degli alleati occidentali. L’impressione è che la Turchia abbia architettato la vicenda per forzare la mano e capire fino a che punto gli alleati NATO siano disposti a spingersi nel sostenerla (in cambio del rallentamento dei flussi migratori e dell’impegno contro la minoranza curda, ricordando che il PKK è ancora incluso nelle liste del terrorismo in USA e UE e che la Turchia ha interesse che la situazione non cambi) nei suoi interessi in Siria, dove la Russia appoggia le forze di Assad, invise ad Ankara. Del resto, che i servizi segreti turchi (soprattutto, ma anche le autorità turche in generale) siano capaci delle più atroci nefandezze e del più freddo cinismo è dimostrato, senza risalire troppo indietro, dagli ambigui se non amichevoli rapporti con l’ISIS, dalla politica militare di pulizia etnica che sta perseguendo nel sudest del paese nei confronti della minoranza curda e da come gestisce gli ormai frequenti attentati terroristici, in termini politici, mediatici e di intelligence.

Alla luce di questo, gli ultimi aggiornamenti sulle esplosioni verificatesi a Istanbul, assumono un significato particolare: nelle prime ore, Erdogan si è affrettato a dichiarare che l’attentatore aveva origini siriane, cosa poi risultata non vera, dunque o Erdogan ha inventato questa informazione per dare l’impressione di avere tutto sotto controllo (o addirittura per avvertire di avere tutto sotto controllo) oppure qualcuno l’ha confezionata appositamente perché venisse comunicata (per esempio i servizi segreti turchi). A prescindere dalla fonte di questa informazione falsa, la presunta nazionalità siriana tornerebbe comoda perché riporta alla mente il ruolo che la Turchia gioca nella gestione dei flussi migratori verso l’Europa, quindi servirebbe come ulteriore monito agli alleati della Turchia. Inoltre, bisogna tenere conto che finora in Turchia nessun attentato aveva colpito turisti stranieri: spiazzate da questo elemento inconsueto, le autorità turche hanno azzardato un’ipotesi che sarebbe stata plausibile tanto nel caso in cui questa novità fosse venuta dal terrorismo curdo (i curdi siriani sono in contatto con il PKK) quanto da quello islamico dell’ISIS (di certo più atteso, visti i ripetuti allarmi dei servizi segreti), mantenendo un’immagine di prontezza ed efficienza. In ogni caso, l’informazione falsa, per quanto plausibile, si è rivelata appunto falsa: l’attentatore è un saudita.

Erdogan ha agito su due fronti all’indomani dell’attentato ad Istanbul, e nessuno di questi due fronti riguarda l’ISIS. Uno è la questione curda, che considera ascritta al terrorismo tanto quanto l’ISIS; l’altro è il rapporto con la Russia. Infatti, stamattina tre russi sono stati fermati ad Antalya (quella città dove poco tempo fa Renzi ha stretto la mano agli amici dell’ISIS) per «sospetti legami con l’ISIS». Anche questo dato, per quanto plausibile, suona come un inasprimento della tensione con la Russia, soprattutto alla luce del fatto che il consolato russo ad Ankara tiene a sottolineare che «i motivi della detenzione devono essere ancora chiariti». Insomma, complessivamente oggi in Turchia sono state fermate 65 persone, tra cui i tre russi, 15 siriani e un turco. Perché si sta dando così tanta risonanza alla notizia dell’arresto di tre cittadini russi, se gli inquirenti ancora non sono riusciti neanche a stabilire se esiste qualche legame con l’attacco di Istanbul?

A volte le notizie vanno lette tra le righe…


AGGIORNAMENTO 13 gennaio ore 19:00

Ora che l’attentatore suicida di Istanbul ha un nome, gli inquirenti stanno cercando di dargli un volto: Nabil Fadli, saudita, 28 anni, secondo le forze di sicurezza turche il 5 gennaio aveva fatto richiesta di asilo politico nel distretto di Istanbul. Il fatto che l’attentatore fosse un richiedente asilo è stato diffuso dalle agenzie di stampa turche e non è stato ripreso da nessuna delle grosse testate giornalistiche europee (almeno non quelle di cui comprendo le lingue), dalle quali evidentemente la notizia è stata giudicata di poco peso, ad eccezione delle prime pagine italiane (dove notizia compare addirittura direttamente nel titolo). A quanto pare la Turchia, non essendo riuscita a sfruttare la nazionalità dell’attentatore per ricordare ai paesi UE il proprio ruolo nei flussi migratori, ha deciso di far leva su un altro dato, diffondendolo a gran voce: l’attentatore aveva fatto richiesta di asilo politico! E, chissà perché, a cascare nel tranello è stato proprio il peggiore giornalismo del continente.

AGGIORNAMENTO 14 gennaio ore 2:00

Il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, confermando l’ondata di arresti, ha dichiarato che si indaga su presunti «attori segreti dietro l’attacco», che avrebbero usato l’ISIS come manovalanza per l’operazione. La Turchia quindi punta il dito contro attori diversi dall’ISIS, diretto responsabile dell’attentato, confermando i sospetti sopracitati secondo cui le autorità turche starebbero sfruttando la vicenda in funzione anti-russa. «Alcune potenze straniere mostrano un atteggiamento ostruzionistico nei confronti delle incursioni aree della Turchia contro l’ISIS» ha detto Davutoglu, e non poteva che riferirsi alla Russia, l’unica forza straniera che sta conducendo operazioni militari nelle stesse aree. Insomma, ancora una volta l’ISIS è alleato funzionale della Turchia.