Sul divieto del burkini

In Francia la polizia ha circondato una signora in burkini che era tranquillamente sdraiata su una spiaggia e, sotto lo sguardo della figlia in lacrime e della folla, l’ha prima multata a causa di un abbigliamento non conforme ai valori morali (la multa parla di «abito [non] rispettoso della buona morale e del secolarismo») e poi, tra gli applausi di molti bagnanti e passanti inferociti che la insultavano e le intimavano di «tornarsene al suo paese», l’hanno umiliata costringendola a scoprirsi il collo nonostante questo urtasse evidentemente la sensibilità e il senso del pudore della diretta interessata.

1) Qual è la differenza tra questo e uno stupro?
2) A quali modernissimi “valori occidentali” si richiama un’ordinanza che vieta un abbigliamento non conforme a dei valori morali?
3) “Noi” non eravamo quelli che si distinguevano dagli estremisti sauditi che impongono per legge un abbigliamento conforme ai loro valori morali? Adesso non si può più sostenere che “da noi ognuno è libero di vestirsi come vuole”.
4) Vietare un capo di abbigliamento è come vietare l’uso di una lingua. Oltre che essere una cosa ridicola, sono entrambi tradizionali pratiche coloniali. C’è bisogno di altro per capire che il divieto del burkini non ha nulla a che fare con la libertà delle donne ma serve solo a discriminare le musulmane in quanto tali?
5) Il burkini ufficialmente è stato vietato perché «rischia di offendere le convinzioni religiose e quelle non religiose di altri frequentatori della spiaggia» e rischia anche di essere interpretato «come una provocazione». Un divieto del genere invece non costituisce una ben più preoccupante provocazione? Ci dovremmo poi stupire se azioni come questa venissero percepite come imposizioni e umiliazioni gratuite dalla comunità discriminata portando alla radicalizzazione alimentata dal rancore di fette sempre più larghe?

Se qualche musulmano testa calda a questi provvedimenti dovesse direttamente o indirettamente reagire con violenza, reagirebbe con violenza non perché musulmano, ma perché soggetto a odiosa discriminazione. Infatti, non mi stupirei neanche se a reagire con violenza fosse qualche femminista testa calda: non c’entra il fatto di essere donna o musulmana, c’entra il fatto di essere vittima di violenza.
Questi fatti fanno talmente schifo che mi portano a difendere l’uso di un capo di abbigliamento che neanche amo. Non amo neanche i piercing, ma se li vietassero per legge mi schiererei contro la legge. La questione è così semplice che il paragone sembra ridicolo, ma è la stessa identica cosa.