Vuoti da riempire
Vi propongo una mia riflessione scaturita dalla lettura di un articolo di Wu Ming 1 sul frame né di destra né di sinistra molto in voga negli ultimi anni, ma che ha radici storiche molto più profonde, che risalgono almeno al secondo dopoguerra.
Premetto che, in sintonia con altri interventi di questa discussione, ritengo che non si possa fare veramente politica senza schierarsi da una parte o dall’altra, quindi l’espressione né destra né sinistra è già sintomo di una collocazione fuori dalla politica reale e nel mondo dei sogni. La politica divide e deve dividere.
I “grillini” sono secondo me sinceramente né di destra né di sinistra, e se lo sono è perché si pongono dei vincoli e dei limiti sulla forma e non sul contenuto: danno forma a metodi, non ad obiettivi (no, “dare voce ai cittadini” o “stimolare la partecipazione” non sono obiettivi).
Tuttavia, banalmente, sinistra e destra non sono solo concetti della politica propriamente detta, quindi si può collocare a sinistra o a destra anche un movimento, come quello dei grillini, che non è propriamente politico.
È tutta una questione di vuoti da riempire.
I grillini hanno costruito un contenitore che è la partecipazione, ma è molto eterogeneo proprio per la trasversalità di questa esigenza: non esiste un’idea altrettanto trasversale sul come esprimere tale partecipazione e in che direzione, non esiste un contenuto che riempia questo contenitore.
Se questo movimento risulta, in ultima analisi al vaglio di un occhio politico, di destra, è a causa di questo vuoto: è più facile che un contenitore vuoto si riempia con ciò che è abbondante.
Se la TV, la radio, il salumiere e il vicino di casa dicono una cosa, dire quella cosa diventa più socialmente conveniente che dirne un’altra e prendere una posizione alternativa, ché quella non si sente mica dire in giro.
Non esiste una posizione propria del movimento perché non è dotato di una cultura politica autonoma: esistono posizioni di persone, che compongono il movimento, circondate e immerse in una cultura politica mainstream indiscutibilmente di destra (altro che egemonia culturale…).
Posizioni come quella di Grillo e alcuni grillini sull’immigrazione (“alcuni” nel senso logico; non voglio arrischiarmi a dire che si tratta di una posizione minoritaria) non sono forti: sono passive, deboli, sono in realtà non-posizioni che derivano direttamente dall’omologazione e dalla rassicurazione che dà il ripetere frasi ed esprimere opinioni che già dicono ed esprimono tutti (anche “i politici sono corrotti” e “vaffanculo al governo” lo dicono tutti).
L’analisi di WM 1, quindi, resta dal mio punto di vista legittima e sensata, ma si appoggia anche su contenuti politici che secondo me in realtà nel movimento dei “grillini” non ci sono.
Short Link:
io ritengo (e non per sentito dire) che i grillini siano realmente nè di destra nè di sinistra, e che questo sia in ultima analisi un motivo fondante del loro mancato successo; finchè si fa casino e si organizzano i concerti del V-day le piazze si riempiono (quasi esclusivamente di ragazzi), poi però non si riesce ad andare avanti per le anime troppo disomogenee del movimento, oltre il populistico vaffanculo c’è ben poco materiale su cui edificare un programma propositivo… riscopriamo anche così che le vecchie “scuole di politica” degli anni 50 e le scazzottate degli anni 70 avevano un ruolo insostituibile…
Io penso che vada fatta un ulteriore distinzione all’interno del movimento grilli:
– movimento politico strutturato gerarchico, a diffusione nazionale, complementare ad un sistema partitocratico;
– associazionismo, attivismo, che porta avanti azioni politiche a raggio locale, con metodi innovativi e partecipativi e seguendo alcuni precisi principi e valori.
Io ho creduto molto in questa seconda connotazione che primeggiava agli albori del movimento, un movimento spontaneo e di piazza che aveva una carica innovativa non indifferente.
Concause esterne ed interne hanno deviato il movimento in una forma strutturata, che si è andata adeguando ad un sistema partitocratico.
E quindi il paradosso della collocazione: destra o sinistra?
Ma se si fosse riuscito a boicottare questa forma di “inCANCRENIMENTO”, se ve ne fossero stati i presupposti locali e nazionali, quello che avremmo oggi non è una prima pagina dei giornali nazionali, ma un associazionismo diffuso e persistente che porta avanti questioni che adesso stanno nelle bacheche di migliaia di attivisti diffusi in tutta Italia.
Un onda per quanto debole lascia il segno: lo vedo qui a Firenze, dove continuano a nascere associazioni che portano avanti idee e valori che il primo movimento grilli raggruppava bene: democrazia partecipativa, e-democracy, lotta alle mafie, zero waste, progetti di sostenibilità ambientale, informazione libera, spazi di discussione, progetti inter-culturali, class-action, gruppi di acquisto solidale e filiere corte, ecc… .
Io una volta vedevo questo nei forum, ora mi tocca andare in un movimento 5 stelle e scaricarmi un programmino in pdf!
Spero di non aver preso troppo spazio, grazie comunque…
@Nello: «riscopriamo anche così che le vecchie “scuole di politica” degli anni 50 e le scazzottate degli anni 70 avevano un ruolo insostituibile…»
È vero, ma è anche vero che non bisogna andare a cercare neanche troppo nel passato: ambienti in cui ci si forma politicamente esistono ancora, nel presente, e si trovano nell’area dei movimenti a contenuto sociale (penso per esempio alle rivendicazioni “benicomuniste” e all’elaborazione, anche teorica, che si sta sviluppando intorno a quei movimenti).
Una caratteristica del grillismo è quella di essere astorico: non ha legami coscienti con il passato, non rivendica continuità ma solo discontinuità. E se questo dovesse far gioire e pensare a pretese rivoluzionarie, possiamo subito ricrederci: è la memoria a rendere gli uomini liberi.
@Teo: tu scrivi che esiste un’area di base del movimento che corrisponde alla tua seconda descrizione «associazionismo, attivismo, che porta avanti azioni politiche a raggio locale, con metodi innovativi e partecipativi e seguendo alcuni precisi principi e valori».
Tuttavia io non vedo né metodi innovativi (o si crede che la democrazia diretta sia stata scoperta e proposta per la prima volta da Grillo? Che poi il suo reale esercizio all’interno del movimento è comunque discutibile), né principi e valori che siano condivisi (se ognuno conduce un’azione politica secondo i propri principi e valori personali, slegata da tutto il movimento, giacché questo per costituzione non pone vincoli di tipo “ideologico”, allora che movimento è?).
E credo che, in particolare, il ritenere innovativo un sistema di votazione e di discussione basato sulla democrazia diretta, come se non fosse esistito mai prima nessun movimento ad attuarlo (cancellati dunque decenni di fermento politico), è un sintomo della rimozione dall’immaginario collettivo di tutto ciò che è riconducibile al concetto di “sinistra”.
Ringrazi i grillini per aver lasciato dietro di sé una scia di temi e progetti che in realtà non sono stati affatto portati nella politica italiana da loro: la democrazia, la lotta alle mafie, il rispetto dell’ambiente, le reti sociali e tutto il resto erano sulla scena già da ben prima che arrivassero i grillini!
Ci sarebbe molto da dire anche sul ruolo salvifico che avrebbe la Rete secondo Grillo, ma questo lo lascio a ValigiaBlu.
Premettendo che mi riferirò solo ed esclusivamente in riferimento al periodo storico in cui si formava il movimento: ho adottato il termine “innovazione” in un’ accezione schumpeteriana, più ampia del semplice concetto di “novità”. Un innovazione può svilupparsi attraverso una nuova combinazione di elementi fino a quel momento non esistente. E’ la combinazione che può giocare un ruolo chiave nella diffusione di idee e valori. Il movimento stava crescendo facendo proprie tematiche altrimenti “stagnanti” o “assenti” nell’opinione pubblica. Queste macro-tematiche hanno attratto individui che seppur eterogenei condividevano gli stessi interessi, gli stessi valori. In quel periodo storico (2006-09) non esistevano valide alternative associative a livello nazionale non appartenenti in maniera diretta o meno al sistema partitocratico, e soprattutto che avessero avuto un così forte impatto mediatico.
La mia simpatia nei confronti di quel movimento nasce dall’aver accolto tematiche che in quel periodo erano “stagnanti” o “assenti” nell’opinione pubblica, ma che sicuramente già esistevano nessuno ha mai pensato il contrario.
Per il resto non ho da aggiungere altro, poiché ci troveremo di fronte ad una situazione “stallo epistemologico”, in cui l’esperienza soggettiva poteva a suo tempo dar risposte certe per quanto personali, riguardanti: valori e principi del movimento e il personaggio Grillo. Però va fatta chiarezza.
Un movimento sociale ha dei valori di riferimento per costituzione, altrimenti non sarebbe movimento sociale ma una riunione di condominio. Possono esistere valori e principi senza ideologia, come una fede senza religione o una società senza stato. Esistono tutt’ora ogni giorno tra di noi e in altri parti del mondo, e sempre esisteranno.
Riguardo il personaggio di Grillo non ho mai accennato di volerlo difendere. Il primo movimento nacque solo ed esclusivamente come effetto collaterale di un appello alla raccolta di firme da parte sua, ma non c’è mai stata la volontà di una seppur relativa identificazione con Grillo. Tanto è vero che l’ aggettivo grillini viene usato come termine dispregiativo o diminuitivo sia all’interno che all’esterno del movimento già successivamente ai referendum (1-2 anni dopo). Ti ricordo inoltre che nella successiva fase di strutturazione le associazioni che hanno boicottato l’adesione hanno cambiato nome se non l’avevano già fatto in precedenza.
Per tali motivi non ritengo necessario che sia io a difendere il personaggio Grillo che è venuto fuori dopo in maniera più “centralizzante” di cui parla l’articolo da te citato.
Sei dunque dell’opinione che i gruppi di partecipazione civica proponessero «una nuova combinazione di elementi fino a quel momento non esistente». E il popolo di Seattle (1999) dove lo mettiamo? E i treni occupati di Amsterdam (1997)? Francamente preferisco le loro istanze all’attivismo, seppur parzialmente condivisibile per alcune questioni, proposto da Grillo e risoltosi nella nascita del Movimento 5 Stelle. Perlomeno il World Social Forum esprimeva elementi di critica globale al sistema economico, e il lato economico è determinante nella valutazione di un movimento politico (sai com’è, un certo Carletto, come dice un mio amico, ci ha insegnato che l’economia è struttura e il resto è sovrastruttura).
Ammettiamo pure che le circostanze di allora (G8 di Genova a parte), del “periodo storico” a cui ti riferisci, avendo già cancellato dall’immaginario collettivo tutto ciò che è riconducibile al concetto di “sinistra” (rendendole “stagnanti” e “assenti” dall’opinione pubblica), abbiano fatto perdere di vista a gran parte del popolo gli obiettivi reali della politica.
Questo basta a giustificare (nel senso “riconoscere qualcuno come moralmente scusabile”) un movimento che, proprio in sintonia con quello spirito, affidi tutto al “forte impatto mediatico” di cui parli dimenticando la critica economica? Da come lo descrivi sembra che il ragionamento che porta adesione al grillismo sia “non sta coi partiti e ha impatto mediatico, quindi va bene, quindi aderisco”.
“Informatevi” non faceva (e non fa) altro che ripetere Grillo, e con lui “informatevi” dicevano (e dicono) i ragazzi del movimento. Ma nessuno che raccomandasse a tutti di “formarsi” politicamente e culturalmente. Una pecca imperdonabile.
«Possono esistere valori e principi senza ideologia, come una fede senza religione o una società senza stato».
Su quest’ultima frase penso che si potrebbe discutere all’infinito, ma prima dovremmo metterci d’accordo sulle parole. Comunque adesso è ora di dormire e non di discutere all’infinito.
-E il popolo di Seattle (1999) dove lo mettiamo? E i treni occupati di Amsterdam (1997)? –
Mi pare di aver specificato “a livello nazionale”.
-il lato economico è determinante nella valutazione di un movimento politico-
Discutibile che non si proponessero alternative economiche. Io ho visto coi miei occhi la diffusione di informazione e di esperienze relative a monete complementari locali, JAK Bank, Banche del tempo, gruppi di acquisto solidale e sistemi di filiera corta. Che non rappresentino una valida alternativa economica lascialo valutare da un economista.
-Su quest’ultima frase penso che si potrebbe discutere all’infinito, ma prima dovremmo metterci d’accordo sulle parole.-
Più che metterci d’accordo per ore dovremmo metterci d’accordo su che livello di preparazione in materia di scienze sociali mi posso aspettare da te.
Vedi, ultimamente ho criticato molto le scienze sociali, ma mi sto rendendo conto che forse non è poi tanto inutile approfondire un argomento che di solito funge da “discussione da bar” per molti.
Studiare antropologia, etnologia, confrontare la scienza politica e scienza economica (classica, marxista, moderna) forse non è poi tanto inutile, dato che può rivoluzionare le nostre categorie di pensiero. Se vuoi ho molte letture da consigliarti, a partire da Marshall Sahlins e David Graeber.
Parli come se il cosiddetto “popolo di Seattle” fosse espressione di istanze particolari di nazioni diverse dall’Italia, come se non riguardasse l’Italia. Invece il movimento dei movimenti era attivo anche a livello nazionale e comprendeva una rete di associazioni, partiti e soggettività sociali operanti anche sul territorio. Una parte di queste era legata a partiti che ancora stavano dentro l’arco parlamentare; un’altra parte era slegata da questi e coltivava una cultura politica autonoma dal quadro partitico. Difficile dire, quindi, che non esistessero valide alternative associative. Diciamo piuttosto che esistevano ma, per motivi già citati, erano snobbate da un’opinione pubblica drogata da un sistema di informazione mainstream che le associava automaticamente alle violenze di Genova trasmettendo questa associazione mentale alle masse, e rimuovendo quindi tutte quelle realtà dall’immaginario collettivo, allontanandole dal campo della possibilità e dell’alternativa realizzabile.
«Discutibile che non si proponessero alternative economiche.»
Per alternative economiche intendo alternative globali e non subordinate al sistema capitalistico. Monete complementari locali, banche del tempo, gruppi di acquisto solidale eccetera sono ottime iniziative ma hanno carattere contingente, non intaccano il sistema di produzione e di distribuzione globale delle risorse e dunque non le vedo come alternative economiche. Tant’è che possono stare benissimo dentro il capitalismo senza contraddirlo, anzi convivendoci e dipendendo da esso (per esempio le monete locali possono essere, come nell’Argentina post-crisi, un mezzo di scambio tra consumatori di beni e servizi ma non possono sostituire la moneta ufficiale nel sistema fiscale o nel sistema di produzione: per far quello ci vorrebbe la rivoluzione e un conseguente cambio di sistema).
Sul grado di preparazione che puoi aspettarti da me non ho la presunzione di rispondere.
Tuttavia non capisco da cosa, nel mio discorso, si evincerebbe che secondo me sarebbe “inutile approfondire” questioni di carattere antropologico, etnologico, sociologico, economico, politico e quant’altro. Leggo molto, cerco di informarmi sui meccanismi che regolano il funzionamento dei processi storici ed economici, e anche se non studio scienze sociali ne sono molto attratto come dovrebbe esserlo ogni persona che voglia esprimere un’opinione sensata in merito a certi argomenti. Infatti ti ringrazio per le letture che mi consigli. Conoscendomi, insomma, direi piuttosto il contrario su me stesso. Avevo appena finito di predicare l’importanza del formarsi oltre che dell’informarsi e tu mi vieni a dire che tratto questi argomenti come fossero “discussione da bar”.
Con “discussioni da bar” intendo: commenti superficiali sulla notizia del giorno. Molto spesso non si ci preoccupa della fonte e si fanno speculazioni generalizzanti su come va il mondo adottando le nostre personali categorie occidentali.
Che tu veda un collegamento diretto tra il fenomeno Grillo e il G8 di Genova, mi va benissimo, anche se non vanno escluse altre numerose spiegazioni (forse infinite, tanti quanti i giudizi di valore possibili).
Che le alternative economiche suddette secondo te siano solo “rimedi palliativi”, e non realmente “alternativi”, (bé mi tocchi nel vivo), allora ti assicuro che un circuito totalmente alternativo che cresce all’interno di un altro sistema (nel nostro caso sistema economico capitalistico) è possibile.Esso cresce e si sviluppa in un autonomia crescente dalle istituzioni predominanti.
Se con alternativa, invece tu hai in mente solo ed esclusivamente un economia pianificata, allora preferisco l’economia di mercato (posto che si tratti di offrire pietre focaie ad un uomo che ha scoperto l’accendino).
Devo dire che sono alquanto perplesso: non avrei mai immaginato di fare una discussione del genere con te, che a lato riporti i links di Occupy Wall Street (movimento ispirato alle idee di David Graeber) e di Naom Chomsky.
Comunque in generale credo che faccia molta differenza la consapevolezza di alcuni concetti e di alcune categorie, che magari vanno molto in voga.
Mi piacerebbe invitarti alla lettura di alcuni testi antropologici: su David Graeber (antropologo) trovi qualcosa su internet ma “frammenti di antropologia anarchica” credo sia quello più chiaro e facile, su Marshall Sahlins ti consiglio “un grosso sbaglio, l’idea occidentale di natura umana” e magari “il governo del futuro” di Naom Chomsky giusto perché l’abbiamo scomodato.
Comunque la mia risposta “provocatoria” era rivolta al tuo scetticismo riguardo alla frase:
-un movimento sociale ha dei valori di riferimento per costituzione, altrimenti non sarebbe movimento sociale ma una riunione di condominio. Possono esistere valori e principi senza ideologia, come una fede senza religione o una società senza stato.-
Rileggendo, mi rendo conto di essermi spiegato male sul rapporto che secondo me intercorre tra il G8 di Genova e il movimento di Beppe Grillo. Per G8 negli interventi precedenti intendevo riferirmi (anche se con scarsa efficacia) a tutte quelle associazioni mentali, veicolate dai mass media, che propongono il frame violenza-nonviolenza sostituendolo tout court a qualsiasi altro criterio di distinzione tra le realtà sociali e politiche. Si tratta di martellamenti mediatici e ideologici che hanno preceduto il G8 di gran lunga (già da anni Berlusconi invitava a votare Forza Italia contro i comunisti che hanno fatto milioni di morti) ma che sono esplosi esponenzialmente con il G8, che è stata una buona scusa per tacciare di violenza cieca tutti coloro che proponevano un’idea alternativa di società. Quindi quando scrivo ”G8“ in realtà scrivo “fine delle ideologie”, “fine della storia”, “giornalismo servile”, “demonizzazione della sinistra” e tutti quei fenomeni che c’erano già da prima e ci sono stati in seguito, ma che nel G8 di Genova si sono intrecciati e sono stati tutti egregiamente rappresentati.
E infatti temi che, grazie alla crescita di quel movimento, stavano iniziando a far presa sull’opinione pubblica (banche armate, sostenibilità ambientale, strapotere delle multinazionali, fondi internazionali, divario tra Nord e Sud del mondo) dopo allora furono associate, nell’immaginario collettivo, alla violenza, dimenticando i contenuti. Mi sembra anche di dire una banalità scontata, ma questa stessa strategia è stata utilizzata il 15 ottobre. Questo per dire che non è che per me il G8 abbia qualcosa di particolare o di mistico che ha cambiato il corso della storia: se non ci fosse stato, si sarebbe trovato un’altro pretesto. Magari proprio il 15 ottobre, o il 14 dicembre. Quando succedono scontri grossi e le immagini martellanti di violenza rimbalzano da uno schermo all’altro, è ovvio che l’opinione pubblica cerca sicurezza e pone tra sé e “i violenti” la massima distanza. E siccome in questo caso la classe dominante è quella capitalista, i “violenti” sono stati identificati con tutto ciò che è anticapitalista.
Quello che sostengo io è che in un clima del genere è molto favorita l’ascesa di movimenti che si pongono come “nuovi”, totalmente discontinui rispetto al passato, che cercano di occupare il vuoto (da cui peraltro il titolo) lasciato così nell’opinione pubblica; ma per farlo, per poter essere accettati dall’opinione pubblica stessa, devono dichiararsi “puri”, “diversi” da quelli che c’erano prima, e dunque “né di destra né di sinistra”.
Risolto (spero) questo problema di comunicazione, non capisco in che modo il ritenere che esista un qualche legame tra la demonizzazione della sinistra e l’affermarsi di movimenti “né di sinistra né di destra” possa essere una «speculazione generalizzante su come va il mondo adottando le nostre personali categorie occidentali».
Riguardo il mio appoggio a Occupy Wall Street, non vedo dove stia la contraddizione.
È un movimento anticapitalista che sta avendo il merito di spiegare all’opinione pubblica americana cosa sia il sistema capitalistico (e con successo!). È eterogeneo ma inconfutabilmente di sinistra. Guardacaso, trovo che la parola d’ordine “We are the 99%” richiami molto da vicino quella della Rete No Global “Voi G8, noi 6 miliardi”. Anzi, nelle pratiche OWS si è spinto oltre, arrivando a convocare uno sciopero cittadino in un paese che degli scioperi stava per dimenticare l’esistenza.
Su cosa intendo per alternative economiche, per evitare di spiegarmi male com’è già successo, riporto qui di seguito la definizione di “capitalismo” secondo il dizionario del Corriere: «Organizzazione economica e sociale basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione». Per definizione, qualcosa è “alternativo” (sempre secondo il Corriere) al sistema economico attuale se teorizza o propone nei fatti qualcosa di diverso da esso, cioè dal capitalismo. Ora, non è che per me “alternativa economica” significhi per forza economia pianificata, ma per godere di questa definizione deve mettere in discussione il capitalismo. Se non lo fa, non è un’alternativa.
Dare scientificità, credibilità a delle analisi di questo tipo richiede tempo e studio.
Dare forma e contenuti in un linguaggio comprensibile e preciso non è facile e richiede anni.
Tanto è vero che ho deciso di lasciare un commento solo per precisare un aspetto che non risultava evidente dalle tue analisi.
Ma se avessi dovuto fin dall’inizio elaborare una critica al tuo articolo, l’avrei già fatto.
Una piccola precisazione riguardo Occupy Wall Street: l’antropologo David Graeber, ispiratore del movimento, in “Frammenti di antropologia anarchica”
riporta molti degli argomenti che sono usciti fuori in questa discussione, dall’ esistenza di società prive di stato alla necessità di edificare
il Contro-Potere come rete istituzionale autonoma dal sistema predomaninante (a livello politico ed economico). Discutere sulla fattibilità in un blog
non ha senso, sicuramente esistono numerosi esempi dove questo già accade.
Per quanto riguarda le “speculazioni generalizzanti”, dunque, mi riferivo all’utilizzo di vari concetti senza un’adatta contestualizzazione storico-sociale
e senza riportare alcun riferimento teorico, ad esempio:
– l’utilizzo del concetto “capitalismo”:
ho ascoltato lezioni su lezioni a questo proposito, e ti assicuro che ufficialmente non esiste (e forse non esisterà
mai una definzione univoca); la proprietà privata (dalla citazione fatta) esisteva già nell’antica Grecia, possiamo forse definirlo
capitalismo? E la Cina non è forse definibile un Capitalismo di Stato, pur non avendo mezzi di produzione privati?
Litri di inchiostro vengono versati da un secolo: Marx,Weber, Polanyi, Schumpeter, Braudel, Arrighi, Keynes, Friedman, ecc…
Anche un antropologo economico potrebbe mettere in discussione l’abuso del concetto di “proprietà privata” (concetto occidentale),
ma forse rischierei di andare fuori tema…
– l’utilizzo del concetto di “destra” e “sinistra”:
posto che l’utilizzo dei termini non si riferisca necessariamente ad uno sistema bipolare,
ma ad un “continuum unidimensionale semplificativo”(Klingemann) in cui
questi concetti vadano visti come “recipienti il cui contenuto può variare in base alle condizioni politiche ed economiche” (Castels e Mair).
L’utilizzo dei termini a fini “giornalistici” deve essere distino dalla loro funzione di “strumento analitico” (Knutsen).
In quanto andrebbe ricondotta ad un iter storico che (come già accennato) conduce ad un alta variabilità di significati,
dalla Destra e Sinistra della rivoluzione francese ad oggi di cose ne sono cambiate, e continueranno a cambiare.
– alcune affermazioni risultano poco chiare e del tutto discutibili:
da “la politica divide”, “i mezzi non possono confondersi con gli obiettivi”, al “contenitore della partecipazione”;
spero converrai che sono affermazioni che non portano con sè reali contenuti utili ad un analisi scrupolosa di un evento, infatti
chiunque potrebbe affermare l’esatto opposto di ciò che dici;
– le tue analisi sembrano distorte da un populismo ideologico che a volte sfocia nel miserabilismo,
altre volte (“è difficile che esca fuori una posizione alternativa” o il ricorrente utilizzo di “egemonia idoeologica” o “mainstream”)
in un populismo morale di denuncia (Sardan), insomma “il popolo è stupido, ma va aiutato”(avanguardismo?); anche qui chiunque potrebbe dire il contrario,
si tratta di analisi incentrate su giudizi di valore che non hanno fondamenti empirici e verificabili.
– l’uso ricorrente di “ideologia, cultura, cultura politica, contenuto politico”:
con “ideologia” a cosa ti riferisci? Accezione marxiana, gramsciana, paretiana,…?
Cosa intendi per cultura? Definizione tayloriana, malinowskiana,…? quindi l’utilizzo del termine cultura politica?
Cosa intendi? Dai un preciso riferimento storico al concetto? Qual’è il tuo quadro di riferimento?
Per fare un esempio: il movimento dei grillini ha un programma, uno statuto, un attivismo diffuso e degli indirizzi politici dettati periodicamente:
come fai a dire che non ha “cultura politica”,”contenuti politici” o “sta al di fuori della politica”?
Ci sarebbe tanto altro, ma ho ricontrollato solo il tuo articolo.
“E’ necessario formarsi”, dici, ed è vero, ma la formazione passa dalla consapevolezza di aver sbagliato
– “Sapere di non sapere” direbbe un vecchietto greco- , e la formazione passa attraverso i libri purtroppo, oltrechè l’esperienza.
Leggo i tuoi articoli leggendo riflessioni personali, ma non di certo “analisi accurate” come le hai volute presentare a me.
Credimi che non avrei mai voluto intervenire con un commento di questo tipo, e spero di non farlo più.
Allarga le tue categorie di pensiero, ogni concetto, ogni parola va messa in dubbio prima di essere utilizzata.
Spero di non dover ritornare ancora sugli stessi argomenti.
Un saluto,in bocca al lupo per tutto.
Qua nessuno ha la pretesa di dare scientificità assoluta. Ho espresso delle opinioni e le ho confrontate con quelle di altri, cercando sempre di essere il più oggettivo possibile. Per avere delle opinioni non si deve per forza essere storici o filosofi, e neanche per avere delle opinioni fondate. Per usare la parola “cultura” o “capitalismo” non devo necessariamente aver letto un saggio su come siano state interpretate nei secoli (anche se sinceramente non disdegno di farlo) ma posso semplicemente spiegare che cosa voglio dire quando la uso.
E perché mai discuterne su un blog non dovrebbe avere senso?
Comunque, visto che si rende necessario, cercherò di definire cosa intendo per tutti quei concetti che ho usato e che tu vorresti “destoricizzati”.
-Capitalismo. Ovvio che ci sono diverse interpretazioni del fenomeno, ma tutte descrivono la stessa realtà: cioè che in un sistema capitalistico esiste la proprietà privata dei mezzi di produzione e, di conseguenza, la società è divisa tra coloro che li posseggono e coloro che non li posseggono e, per questo, sono costretti a vendere la propria forza lavoro. Tu dici: e la Antica Grecia? E la Cina? Non risponderò alla lezioncina con un’altra lezioncina, ma dato che poni il problema riporto anche la definizione originaria completa di capitalismo, quella marxista, ovvero “sistema economico caratterizzato dall’ampia accumulazione di capitale e dalla scissione di proprietà privata e mezzi di produzione dal lavoro, che è ridotto a lavoro salariato, sfruttato per ricavarne profitto”. (fonte Treccani)
-Destra/sinistra. Certo che sono concetti variabili e che la destra e la sinistra della Rivoluzione francese sono diverse da quelle odierne. Ma ci sono istanze e intenzioni riconducibili alla sinistra e altre riconducibili alla destra, a prescindere dalla particolare definizione che se ne voglia dare. “In politics, Left, left-wing and leftist generally refer to support for social change to create a more egalitarian society. They usually involve a concern for those in society who are disadvantaged relatively to others and an assumption that there are unjustified inequalities (which right-wing politics view as natural or traditional) that should be reduced or abolished”. (fonte Wikipedia, non riporto la Treccani perché ne restringe la definizione all’ambito parlamentare).
E certo anche che gli utilizzi giornalistici dei due concetti sono inservibili dal punto di vista analitico, o ci ritroveremmo a dire sciocchezze tipo “Di Pietro è di sinistra” o “Monti è di sinistra”, che negli ultimi mesi o anni sono state volentieri veicolate dagli organi di informazione.
-”La politica divide”. Intendo dire che la politica richiede prese di posizione.
”Contenitore della partecipazione”. Intendo dire che il Movimento 5 Stelle propone e rivendica come suo carattere distintivo quella della partecipazione diretta da parte di tutti, ma senza indicare a cosa deve essere finalizzata tale partecipazione sul piano sociale e prettamente politico (dove per “politico” si legga la frase immediatamente precedente). Ne consegue che finché si tratta di piste ciclabili e raccolta differenziata si riesce a trovare una posizione univoca, appena si parla di argomenti complessi come la riforma della scuola pubblica o l’immigrazione, difficilmente si riesce a capire quale sia la posizione del Movimento 5 Stelle, perché è frastagliato ed eterogeneo.
-Ideologia. In questa discussione non l’ho intesa nella sua accezione marxista ma nel senso più comune del termine: “dottrine e movimenti politici precisi, accomunati da alcune caratteristiche: la presenza di un retroterra teorico più o meno elaborato, che pretende di fornire una spiegazione esaustiva dei processi storici e sociali; il tentativo di trasformare totalmente la società e l’uomo, secondo un preciso modello”. Insomma, un pensiero organico. Sono d’accordo quando dici che possono esistere principi e valori senza ideologia, ma così facendo: 1) si lascia spazio al pensiero unico, che può contare sulla mancanza di un pensiero strutturalmente a lui contrapposto; 2) valori e principi singoli non bastano a fare politica, perché le prese di posizione richiedono una visione organica della società, al fine di evitare contraddizioni. Ecco perché non mi piace la pretesa di essere “né di destra né di sinistra”: a me sembra un tentativo di scavalcare i problemi e le questioni invece di analizzarli, comprenderli e tentare di risolverli.
-Cultura. Non conosco le accezioni di cultura che hai riportato, comunque con “cultura” mi riferisco proprio a quel “retroterra teorico più o meno elaborato” che sta dentro l’accezione di ideologia appena fornita. Siccome il Movimento 5 Stelle non ha questo retroterra teorico condiviso da tutti o quasi i suoi appartenenti, non vedo in cosa possano riconoscersi se non in una non meglio definita esigenza di partecipazione.
Chiarite queste cose mi farà piacere approfondire la questione delle alternative economiche e della loro possibilità (pare) di abbattere il capitalismo senza metterlo in discussione.
Riguardo alla demonizzazione dei movimenti:
è sì vero che riuscire a far passare per pura violenza un movimento che è anche contenuto è uno degli sport preferiti dei media e dei governi che li controllano (come non approfittarsi di un’opinione pubblica così facilmente condizionabile?) ma avete notato che le ultime rivoluzioni e lo stesso movimento degli Indignados(quest’ultimo in particolare) non solo non sono stati demonizzati ma addirittura appoggiati da chi sta in alto?
Vengono combattute a livello nazionale dai governi che si trovano a fronteggiarle perchè non si diffondano dato che la maggior parte delle persone è informata a livello nazionale ma tralascia il mondo..eppure se intervisti un banchiere, il papa, un miliardario…
@J
«avete notato che le ultime rivoluzioni e lo stesso movimento degli Indignados(quest’ultimo in particolare) non solo non sono stati demonizzati ma addirittura appoggiati da chi sta in alto?»
Sono stati appoggiati anziché contrastati perché adesso al potere conveniva soffocare il conflitto sociale in questo modo. Quando durante gli scontri del 15 ottobre Draghi dichiara alla stampa di essere d’accordo con le ragioni della protesta, ti spiazza. Ma come, i cattivi non erano lui e i suoi compari? Mostrarsi comprensivi fa parte della strategia difensiva, lo dimostrano anche i repubblicani nel relazionarsi con Occupy Wall Street.
Se posso permettermi poi di azzardare un’ipotesi, direi che il motivo per cui nel 2001 si demonizzarono e delegittimarono tutti i movimenti di quell’area politica, mentre nel 2011 si finge di dar loro sostegno senza troppo demonizzare è il seguente: dieci anni fa a Genova c’era chi riteneva che la natura del capitalismo, anche se il cittadino-consumatore occidentale non se ne accorge immediatamente, fosse intrinsecamente ingiusta, basata sullo sfruttamento e sull’inevitabile accentuarsi del divario tra ricchi e poveri; oggi invece questa è un’evidenza sotto gli occhi di tutti, la questione non è più solo “ideologica” ma è percepita anche materialmente, con gente che perde il posto di lavoro, la casa, i risparmi di una vita.
Quindi oggi al potere non conviene più provare a prenderti per il culo dicendoti che non è vero, che il capitalismo ci fa arricchire tutti, perché te ne accorgi subito che ti sta prendendo per il culo.
Un altro discorso, secondo me, va fatto per le rivolte arabe.
Se stavano tutti col fiato sospeso e lo spumante pronto seguendo l’occupazione di piazza Tahrir o la caduta di Ben Ali, quando si trattava della Croazia, della Spagna o dell’Italia tutto cambiava. Se al Cairo erano “attivisti” e “manifestanti”, a Roma erano “black bloc” e “facinorosi”. Credo che questo sia dovuto da un lato alla sindrome NIMBY, dall’altro al ruolo che gli arabi ricoprono, anche inconsciamente nell’immaginario di una persona scarsamente informata, mediamente istruita e con molte opinioni precostruite che vive in Occidente (cioè una percentuale elevata di italiani): gli arabi sono violenti? E certo, loro puzzano, hanno la pelle scura, sono musulmani, parlano una lingua incomprensibile, insomma sono degli animali, da loro che lo si aspetta anche che facciano casino. Ma che dei bravi cristiani dalla pelle bianca e di cultura indoeuropea decidano di ribellarsi, questo è inconcepibile.
[…] Genova io ci ho provato, grossolanamente e magari tagliando con l’accetta, in una discussione in cui correlavo l’affermarsi del grillismo all’atmosfera di sospetto del periodo […]