La Lotta è il Tempo
Ieri sera c’è stata a Pisa un’assemblea di Movimento a cui ho partecipato e in cui sono intervenuto.
Dal momento che ho messo abbastanza carne al fuoco e che in seguito a questo mio intervento l’assemblea ha affrontato dei discorsi ricchi, interessanti e costruttivi, vorrei cercare di riportarlo per iscritto qui, almeno in linea di massima, per condividerlo con tutti sperando di affrontare nuovamente quegli argomenti che mi stanno a cuore e che secondo me sono centrali per la riuscita e il successo reale delle attuali proteste mondiali contro il predominio della finanza sulla politica e la società (leggasi socialità).
Ho sentito molti parlare della questione del 15 ottobre e di come il movimento dovrà rapportarsi a questa data, come dovrà elaborarla, farla propria, digerire le sconfitte e le vittorie di quella giornata e trarne le dovute conclusioni. Però mentre noi ne parliamo è già passato da allora quasi un mese e il nostro problema principale è che questo movimento, in Italia, sembra scemare e trovarsi in una situazione di stallo se non di reflusso. Cerchiamo di capire perchè e partiamo da un’altra osservazione: la stessa cosa è successa nelle giornate di Luglio del 2001, con il movimento cosiddetto “noglobal” contro il G8, il 13 febbraio 2003, con il movimento, anch’esso mondiale, contro la guerra in Iraq, il 14 dicembre dell’anno scorso, con il movimento universitario. Ora si ripete il 15 ottobre. Evidentemente sono stati fatti degli errori e per di più ripetutamente. Ci sono però dei movimenti che non hanno conosciuto questo decorso e nei quali non si è verificato questo fenomeno di reflusso in seguito alla data principale di mobilitazione: per esempio il movimento NoTav o il movimento OccupyQualcosa nel resto del mondo.
Il movimento NoTav non ha mai fissato delle scadenze, delle date più importanti di altre. Se il 3 luglio c’è stata una grande manifestazione nei boschi della Val Susa con scontri anche violenti (in verità più che altro era un attacco da parte della polizia), ora i NoTav non stanno a piangersi addosso e a parlare di un fantomatico “post-03/07”. Noi invece parliamo di “post-15/10”. Perchè? Perchè il 3 luglio i NoTav non hanno giocato il tutto per tutto, non hanno concentrato tutte le loro forze su una singola data sperando che andasse bene, salvo poi leccarsi le ferite e pigliarlo in quel posto se fosse andata male. Non hanno fatto assemblee intitolandole “verso il 3 luglio”: hanno deciso di porre dei punti fissi sugli obiettivi del movimento anziché sui metodi, hanno fatto crollare la retorica repubblichista di distinzione tra manifestanti violenti e non violenti, buoni e cattivi: i NoTav erano tutti buoni e tutti cattivi. Tanto che quando il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, e su cui non si transige, ha richiesto l’uso della forze, non hanno esitato ad utilizzarla o ad applaudire chi l’aveva usata; e quando, al contrario, si sono resi conto che la violenza avrebbe danneggiato il movimento, com’è stato il 23 ottobre, hanno deciso, dico deciso, di non utilizzarla. Avevano la situazione sotto controllo. Un po’ diverso dal nostro 15 ottobre romano.
Passiamo al movimento OccupyQualcosa. Solo il braccio italiano di questo movimento, cioè noi, stiamo risentendo del reflusso post-15/10. In altri paesi, piuttosto, è stato un crescendo da allora. A Oakland la cittadinanza ha saputo organizzare, per la prima volta dal 1947, uno sciopero generale cittadino autogestito, non convenzionale. Da Wall Street (la parte occupata, ovviamente) è partito un appello di mobilitazione mondiale. A Londra in queste ore stanno provando a occupare Trafalgar Square dopo un enorme corteo [quest’ultimo esempio lo aggiungo solo ora perchè la notizia è di oggi]. Perchè? Perchè solo in Italia si è preferita una protesta centralizzata e convergente sulla capitale, in tutti gli altri paesi del mondo che hanno aderito alla protesta la mobilitazione si è articolata in cortei e iniziative disseminate sul territorio, con una media di 10-11 luoghi di protesta per ogni nazione.
Questi due esempi insegnano due cose: la prima è che si deve essere intransigenti sugli obiettivi e non sui metodi, la seconda è che la protesta non deve essere centralizzata. Anzi, deve essere ubiquitaria, come ubiquitario è il nostro avversario. La lotta non è in un posto preciso né in un tempo preciso, la lotta è il Tempo, la lotta è lo Spazio.
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nulla da commentare, se non tanta ammirazione per la forma e per la sostanza
Hai colto il problema e la spiegazione sta nel fatto che gli Italiani ben pensanti della sinistra radical-chic, in questo momento, sono tutti in trepidante attesa delle dimissioni di Berlusconi e sono tutti in seduta spirituale a pregare davanti agli altari dei loro idoli sacri (Santoro, Grillo, Travaglio ecc.). Sono tutti concentrati sull’obiettivo cavaliere, diventato, ormai, la valvola di sfogo di ogni problema. Il problema è uno solo: l’Italia è sotto l’attacco spietato della speculazione finanziaria e non ci sarà nessuna misura economica che placherà il lento e inesorabile declino. Berlusconi è ormai finito da tempo e il Bersani di turno non potrà cambiare le cose! Potrà solo assoggettarsi ai dettami della BCE, dell’UE delle banche e dell’FMI. Non c’è più la sovranità nazionale! La Costituzione è diventata carta igienica in nome della supremazia del trattato di LIsbona e il voto popolare e mi riferisco soprattutto a quello dei referendum del 12 e 13 giugno non conta più un fico secco! Metteranno un governo tecnico, magari gestito da Mario Monti, international advisor di Goldman Sachs ( osannato dalla sinistra salottiera tanto cara a Santoro, Floris e company) o da Giuliano Amato, senior advisor di Deutch Bank (la stessa banca che ha cominciato a vendere titoli italiani ad Agosto) e si passerà alla privatizzazione selvaggia di tutto, alla svendita del patrimonio italiano, al furto delle pensioni e dei risparmi dei cittadini. Non c’è lotta all’evasione fiscale che tenga! Berlusconi, le mafie e le caste difendono interessi rispettivamente per 6 miliardi, 91 miliardi e 4 miliardi di euro. La speculazione finanziaria, in tutto il periodo della crisi, ci ha fregato ben 497 miliardi di euro, una cifra 32 volte superiore al PIL degli Stati Uniti d’America.
il commento di sopra è il mio! Non so come è comparso anonimo!
Adesso inserisco alcuni articoli del giornalista Paolo Barnard, che ha fatto una seria inchiesta sull’argomento e ha scritto un saggio dal titolo: “Il più grande crimine”, che si può tranquillamente consultare nel suo sito:
http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=258
http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=261
http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=106
Infine, un’ultima ora delle 15.20 di mercoledì 9 novembre 2011
http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=262
Non mi fiderei troppo di Barnard. Qualche tempo fa ho pubblicato anche un suo articolo, ma ora non so bene se fidarmi, dopo che ho visto che pubblica roba su siti complottisti et similia del tipo disinformazione.it. Lo prendo con le pinze.
Non è lui che pubblica su disinformazione ecc. Sono loro che prendono i suoi articoli e poi li utilizzano ciascuno secondo il proprio fine. Lui critica i complottisti e se vai nel suo sito ce n’è per tutti! Finora, purtroppo, tutto quello che ha scritto e il contenuto del saggio che ho citato prima, ha trovato riscontro nella realtà. L’analisi è seria e non c’è nessun complotto. E’ pura realtà!
Ma il fatto che, in confronto a quanti sono intervenuti sull’articolo sul 15 ottobre, in così pochi abbiano discusso di quest’ultimo, non è forse un’indicazione della verità di quanto ho scritto?
È evidente che nel nostro Paese non si ha ancora la coscienza di come stanno le cose; temo che Barnard sia piuttosto realista. Commentando a distanza di tempo dal post possiamo vedere qualche prognostico che si realizza.
Ma tornando alle manifestazioni, che i risultati ai quali dovevano portare siano disattesi, per i motivi che adduci, sono d’accordo, anche se non sono d’accordo sul fatto che il fine giustifica i mezzi. Occorre un impegno individuale che ci unisca, il riconoscimento di un problema da risolvere da parte di una massa di persone che diventi critica al punto da avere il potere concreto per attuare il cambiamento. Penso anche che la violenza si possa limitare, se non spesso, quasi sempre.
In una cosa, per lo meno riguardante il popolo italiano, Barnard ha sicuramente ragione e, se hai voglia, puoi leggerlo qui.