Aiutiamo il vicino
Se lei fa un incidente in macchina l’economia ci guadagna. I medici lavorano. I fornitori di medicinali incassano e così il suo meccanico. Se lei invece entra nel cortile del vicino e gli dà una mano a tagliare la siepe compie un gesto antipatriottico perché il Pil non cresce. Questo è il tipo di economia che abbiamo rilanciato all’infinito. Se un bene passa da una mano all’altra senza scambio di denaro è uno scandalo.
Zygmunt Bauman in un’intervista del 07/08/2011
Questo è l’esempio che ho citato in assemblea di facoltà ieri mattina per spiegare come sia illusoria la corrispondenza tra crescita economica e benessere e rispondere a chi sosteneva la necessità di stare con i piedi per terra ed evitare di rivendicare un aumento del benessere piuttosto che la ripresa economica.
Innanzitutto vorrei farvi notare che questa pretesa di mantenere i piedi per terra è del tutto ideologica, perchè sperare che il mondo possa cambiare non è meno utopico che credere che le risorse di un mondo finito possano durare per sempre a ritmi di crescita positivi.
Sembrava, dalle parole di alcuni, che gli obiettivi del movimento debbano essere la crescita economica e l’aumento del PIL.
All’esempio di Bauman da me citato è stato ribattuto, a prima vista ragionevolmente, con l’osservazione che, se invece di aiutare il mio vicino a tagliare la siepe, gli regalo dei soldi perchè possa pagare un giardiniere professionista, il risultato non cambierebbe: l’aumento di benessere finale, non monetizzabile, sarebbe lo stesso, eppure l’economia crescerebbe in virtù della circolazione del denaro da me regalato al vicino e utilizzato da quest’ultimo per pagare un servizio.
Ripensandoci, però, direi che non è esattamente così: aiutando direttamente il vicino con le proprie mani o regalandogli una certa somma di denaro si può naturalmente raggiungere lo stesso risultato materiale (la potatura della sua siepe) ma questo modo di ragionare non tiene conto del processo utilizzato per raggiungere suddetto risultato; e spesso è il processo ad essere determinante per il risultato meno palesemente materiale (il benessere).
Tra i due modi di raggiungere lo stesso risultato c’è una differenza sostanziale a livello di relazioni: l’aiuto diretto attraverso le mie mani, il mio sudore, la mia capacità produce una relazione sociale che un aiuto indiretto che passa per l’intermediario monetario non produce.
Comprendo che questo pensiero possa apparire come una ingenua e sterile demonizzazione del denaro (come anche mi è stato rinfacciato, sempre all’assemblea); in realtà il problema non sono neanche i soldi in sé. La questione è che il denaro il denaro rischia spesso di diventare, o diventa, strumento di sfruttamento e di disumanizzazione delle relazioni e causa di alienazione dalla rete di relazioni che dovrebbe essere la vita. È questo che va contrastato.
Short Link:
Ci si è dimenticati cosa significhi vivere!
Sono daccordissimo con Piero. Lo stesso esempio di Bauman lo fa Pallante ne “la decrescita felice”. E non posso che sottoscrivere cosa scrive LeSaboteur: si è perso di vista cosa è la vita.
Nulla di più vero!
Allora, a causa della spinta imperialistica accentratrice e totalizzante di Facebook, il dibattito si è sviluppato lì anziché qua. Riporterò qua di seguito i contenuti della discussione che potrà eventualmente essere continuata dai lettori.
Andrea: sottoscrivendo tutto, riprendo dalla fine. “La questione è che il denaro il denaro rischia spesso di diventare, o diventa, strumento di sfruttamento e di disumanizzazione delle relazioni e causa di alienazione dalla rete di relazioni che do…vrebbe essere la vita. È questo che va contrastato.”
Non solo diventa strumento di sfruttamento, diventa fine sociale. Questo sistema c’ha insegnato che il fine è far girare l’economia, e invece no, il fine è tagliare la siepe. E riprendendo l’esempio della macchina che fa l’incidente, sostituendo i fattori si arriva a conclusioni terrificanti. Vi do solo un suggerimento, sostituite all’incidente stradale una guerra, e vedete da voi quali conclusioni vengono fuori.
Kar: potremmo benissimo passarci i beni senza scambi di denaro così la crisi non sarebbe più nostra ma solo loro
Giancarlo: Uhm, la proposta di Kar mi sembra un po’ impossibile. Teoricamente regge però ,uhm, come potrebbe attuarsi? Mi spiego : Un fornaio paga la benzina in pagnotte? Un medico in vaccini il barbiere? Cioè, il denaro serve ed è una necessità per facilitare gli scambi.
Andrea: però se io sto lavorando, e produco ad esempio pagnotte, nell’ottica di una società in cui non c’è un eccesso di panettieri, ma solo quanto bastano per produrre il pane necessario, non dovrebbe bastare il fatto che io lavori e sia utile all…a società, al fine di ricevere in cambio i beni a me necessari che altri producono? basterebbe certificare di produrre qualcosa di necessario alla società. certo ci sarebbe da regolare la diffusione dei beni nn necessari, premesso che si debba stabilire quali sono questi beni necessari. comunque è solo uno spunto il mio
Giancarlo: Per far si che ciò accada dovrebbe esserci un sistema economico “onniscente” ; infatti si dovrebbe sapere per filo e per segno cosa,quanto e come produrre. Dovrebbe essere tutto organizzato nel minimo dettaglio per non esserci perdite od ec…cessi ed a mio avviso è quasi impossibile seguire matematicamente le esisgenze umane se non lasciandole libere di poter volere e fare ciò che anche sul momento vogliono. Così in oltre si priverebbe la possibilità di avere “qualcosa in più” per chi la vuole indipendentemente dal suo ceto o rendita, per esempio : tu vuoi due razioni di cibo non perché ti servono ma perché ti piace. Oppure basti pensare alla semplice voglia di passarsi qualche piacere (suvvìa, siamo pur sempre mortali : concediamocelo qualcosina in più ogni tanto!) come avere un vestito in più,una chitarra nuova, un viaggio da qualche parte e così via..
Andrea: ma il fatto è che se la ricchezza fosse equamente distribuita tutti potremmo vivere con + del necessario, certo nn si potrebbe strafare, ma solo perchè ciò significherebbe sottrarre all’altro. d’altro canto il sistema odierno nn è meno utop…ico di questo: teoricamente ognuno è libero di compiere la cosiddetta “scalata sociale”, ma nella realtà affinchè ciò sia possibile è necessario che solo alcuni riescano e stiano nel lusso + sfrenato, mentre il resto, la maggioranza, o campa del necessario e spesso neanche di quello, o cmq vive delle ristrettezze tali che per “passarsi un piacere” deve fare sacrifici importanti. in conclusione credo che questo sistema prometta tanto ma da tutt’altro. quindi ritengo infondata “l’accusa” di utopismo, perchè viviamo ed accettiamo un sistema che c’ha già dato prova della sua irrealizzabilità
Monsieur en rouge: Quoto Andrea. Se la limitazione del mio “in più” viene percepita come un furto di qualcosa a qualcun altro allora si capirebbe che stiamo parlando non più di economia ma di etica. La questione è in realtà tutta imperniata sul concetto di hu…manitas e sulla differenza tra bisogni reali e bisogni indotti.
Chiaramente è difficile e forse utopico, quello sì, pretendere che tutti condividano la concezione di ciò che è umano e ciò che è disumano o di ciò che è benessere e ciò che non lo è realmente, ma pensa un attimo che è altrettanto ridicolo pretendere che il benessere sia bere una Coca-cola che inquina il pianeta intero nel suo percorso produttivo o un caffè coltivato in una piantagione estensiva che priva migliaia di famiglie africane o latinoamericane della propria terra.
Giancarlo, tu mi dici: concediamocelo qualcosina in più, il fatto è che già abbiamo esageratamente troppo e quando avremo qualcosa in più ne vorremo ancora un po’ di più, perchè il sistema attuale ci insegna che ciò che conta non è avere “qualcosa”, ma avere “di più”.
Todo para todos, nada para nosotros.
Ho capito che tenntare di esporre in maniera logica, ordinata ciò che penso mi è ontologicamente impossibile.
Mi è venuto in mente questo:
”Ho lavorato in amazzonia per 26 annni i e posso dire di aver imparato dagli indiani amazzonici le lezioini più importanti della mia vita. Vengo da una cultura in cui il futuro è quasi più importante del presente, dove molte persone vivono con l’ossessione di accumulare ben; prigionieri del passato e traumatizzati dalle incertezze del futuro; dove le emozioni, le relazioni personali e persino l’amicizia vengono spesso sacrificate ai beni materiali; dove le persone si nascondono dietro maschere, titoli e connnnvinnnnnzioni sociali e difficilmente sis relazionano fra loro come esseri umani. Tra le tante altre cose (..) ho imparato a guardare a lla vita da un punto di vista più umano e naturale, a godere delle relazioni umane , della famiglia e delle amicizie sincere, dei piccoli momenti ie delle piccole cose che contribuiscono a rendere la vita un’esperienza gratificante anzichè una storia disseminata di dolore.”
J. Alvarez
E poi questo:
”Se hai cuore per emozionarti e gli occhi
per vedere, scoprirai che il mondo non
è piatto, bensì un nricco arazzo, una ricca
topografia dello spirito.
queste molteplici voci di iumanità non
sono tennnnntativi non riusciti i di diventare
uguale a voi, tentativi falliti di modernità;
sono in realtà le straordinarie risposte date a una
domannnnnnda fondamentale: cosa significa
essere uomini ed essere vivi?
W. Davis
Ecco, penso che la soluzione al problema posto da piero nonon sia semplice da accettare. Che ci costringa a sradicare tutta la nostra forma mentis e a riavvicinarci a ciò che abbiamo rinnnnnnegato, quelle ‘molteplici voci di umanità’.
Non ho fiducia che la ragione occidentale sia in grado di risolvere… Penso serva acquisire una visione nuova, da altre prospettive
p.s. è colpa della mia tastiera il disastro letterario.
Sono sempre molto dubbioso quando si parla della contrapposizione tra presente e futuro, perchè non ho un’idea precisa in merito, quindi anche io esporrò le mie considerazioni sull’argomento in maniera presumibilmente molto incompleta.
Prima di tutto, c’è da capire se esiste una contrapposizione tra presente e futuro e se non si parla, invece, che di tempo e di suoi innumerevoli momenti successivi: credo che la questione non sia banale e sicuramente è stata affrontata da molti pensatori. Perchè se ci mettiamo in quest’ultima ottica, allora non c’è nessuna contrapposizione tra l’uno e l’altro, ma ci sono solo modi diversi di intendere l’attimo: non c’è un sistema antropologico che privilegia il presente a scapito del futuro, c’è un sistema antropologico che vive il presente come parte del futuro (perchè effettivamente il presente lo è); non c’è una cultura che sa vivere il presente e una che non sa viverlo, c’è una cultura che vive l’attimo abbracciando l’intero e una che vive l’attimo in sé dimenticandosi degli altri attimi.
Da questa mia divagazione dovrebbe essere chiaro che io penso che il sistema culturale occidentale non sia, come lo descrive Alvarez, tutto teso al futuro; anzi c’è più futuro per gli amazzonici che non per i consumatori schiavi del mercato.
Un’altra perplessità che mi sorge quando si parla del significato del futuro nella nostra cultura è dovuta all’esperienza in questa società, che mi ha insegnato a diffidare delle promesse e dei «beati gli ultimi, poiché saranno i primi»; col cazzo, il tempo verbale va messo al presente!
Sulla riflessione di Davis ci sarebbe molto di cui parlare, ma riduco al minimo la mia risposta perchè, statistiche alla mano, vedo che nessuno sta più leggendo questa pagina.
La prima cosa che mi fa venire in mente è un saggio introduttivo di Salvatore Veca a un’edizione di Per la pace perpetua di Kant, in cui si chiede se la pace (ma ciò può essere esteso a tutti i valori dell’occidente) sia in definitiva un valore universale, o semplicemente uno tra i tanti valori alternativi che, per via del caso e della storia, si è imposto con prepotenza imperialistica in tutto il mondo, per arrivare infine poi, come ho già scritto tempo fa, ad «un’isola di pace in un mare di morte e distruzione».
In altre parole: la nostra cultura si sente vincente (e lo è), ha inventato il progresso e la modernità e considera tutte le altre come degli aborti, come germogli di culture che non sono riusciti a raggiungere la grandezza dell’occidente. Così facendo però, si guarda la pagliuzza nell’occhio del prossimo senza vedere eventuali travi nel proprio: la cosiddetta modernità ha avuto un prezzo umano, relazionale, sociale, che non è indifferente. E perdipiù, questo processo non è un fenomeno naturale ed inevitabile, ma esistono vie alternative, che la nostra cultura, come ogni altro sistema sociologico che si rispetti, tende a rimuovere per salvaguardare se stessa e mantenere lo status quo.
Oltre a ridire che sono d’accordo con piero volevo dire che il denaro è solo una convenzione e come tale non sempre serve, le lingue sono una convenzione ma non è detto che le debba parlare tutte per relazionarmi con altri allo stesso modo non è detto che debba utilizzare in generale tutte le convenzioni posso usarne solo alcune, nel caso del potare la siepe è lo stesso, non è detto che debba utilizzare il denaro posso benissimo farlo ottenendo, come diceva già piero, anche un compenso emotivo e relazionale visto che alla fine la società è tale per le relazioni e non per il denaro. Comunque parlando dello scambio ciò che dico è “perchè no?” non vedo perchè i vari beni non possano essere scambiati come diceva giancarlo, alla fine un panettiere non produce pane ma anche altri prodotti con vari utilizzi e il pane si usa quasi tutti i giorni, la benzina si usa tutti i giorni (anche se preferirei non esistesse), se tu dai il tuo prodotto ad un medico, il medico (che per inciso non produce medicine o vacini) può darti un medicinale o un parere diagnostico, certo magari a te non serve ma un tuo parente o amico può averne bisogno e perchè non sfruttare questa possibilità per fargli avere medicina o parere? In ogni caso io non intendevo una situazione di questo tipo ma un società in cui a prescindere da cosa io produca se serve qualcosa a qualcuno io gliela do e anche se magari lei/lui non avrà mai niente da dare a me sicuramente darà qualcosa a qualcuno che direttamente o indirettamente produrrà o aiuterà a produrre qualcosa che a me serve (perchè siamo una società) quindi posso dargli qualcosa senza problemi perchè tutti contribuiamo in un modo o nell’altro a produrre tutto ciò che la società produce. scusate la lunghezza dell’intervento
all’inizio mi sono espresso male, volevo dire che non devo per forza usare il denaro posso benissimo potare la siepe (= farlo) senza denaro ottenendo lo stesso risultato e un compenso emotivo e relazionale
Beh che dire, sono pressochè d’accordo su quello che dice Piero sul futuro. Solo non ne sarei così sicuro che la nostra cultura sia la vincente. Vero che attualmente dominiamo su tutti, ma starei ben attento prima di cantare vittoria. Se un bel giorno non molto lontano la terra se ne va a puttane e ci stermina tutti penso che non potremo più stare qui a discuterne. Comunque sono dettagli, forse. Per il resto quanto detto da Karim sul denaro è quello che cercavo di esprimere io, forse senza riuscirci.
Queste cose le sapevamo già da prima. Dovresti dire piuttosto qualcosa sul fatto che l’aiuto non va dato a tutti i vicini. A meno che tu non voglia dare un taglio ecumenico all’atto.
E’ una questione di scelte: ci sono persone che scelgono d’essere aiutate, altre no. Se non fosse così, parleremmo di cattolicesimo. Faremmo parte, a priori, di qualcosa.
Ma la vita non va in questo senso: le scelte qualificano gli individui, quindi ci saranno vicini da non aiutare.
Per questa stessa ragione, la pratica del buon vicinato, che pare alquanto bislacca, è un fallimento o, se vogliamo, un esempio poco calzante. Bisogna invece pensare a come far convergere gli sforzi dei “buoni vicini” contro i “cattivi vicini”.
Se pensi che questa forma di discriminazione sia sciocca, allora la logica del pensiero espresso è cattolica, il che mi può anche fare piacere in un certo senso. In tal caso, ti prego di invitarmi al tuo battesimo e di avvertirmi in tempo: ti regalerò un libello di storie buoniste e lacrimose (magari qualcosa di Dickens).
Per il resto, un articolo che mette in discussione dei valori apprentemente condivisi ha un senso; dire cose già condivise è un po’ come segnare il passo.
Avevo già commentato abbondantemente , ma ora mi sento di lasciare una frase che tempo addietro mi colpì molto da cui ne ho tratto il mio motto personale , modificandola ed adattandola alla mia indole : “Vivo nel passato e, a volte, nel futuro; il borghese si arrabatta nel presente.”
Il “borghese” , la nostra società, il cittadino medio vive dentro dei binari ben saldi che sono quelli che lo portano dalla scuola-università-lavoro alla pensione, con un ritmo costante che gli permette una vita normale e consona al resto degli esseri umani. Pensa sì al futuro, ma ad un futuro che si trova dietro l’angolo non curandosi degli effetti delle sue azioni, vivendo dunque un attimo ben preciso e limitato.
Giancarlo, alias LeSaboteur
@Jack: Sinceramente mi sfugge il senso del tuo discorso sui vicini da non aiutare, a meno che tu non ti riferisca ai “capitalisti cattivi” come “cattivi vicini”; magari un esempio può aiutare a capire meglio cosa intendi dire. Poi qua non stiamo fantasticando su atti ecumenici e anime belle né mi pare che il pensiero di Bauman si possa ridurre a questo atteggiamento.
La questione posta è che c’è un problema relazionale nella nostra società, derivante dal condizionamento sociale, che è funzionale al sistema economico. Non è nulla di astratto, mistico o spirituale: stiamo parlando di persone e dei rapporti che si instaurano tra loro.
Inoltre, che un articolo dica cose già condivise non significa che sia solo pars destruens, come accennavi tu su facebook: innanzitutto non avrei mai scritto l’articolo se queste cose fossero davvero condivise da tutti (come già scritto, l’ho fatto per rispondere ad altri che non la pensavano così), in secondo luogo ciò che non è pars construens per te può esserlo per qualcun altro, insomma stiamo parlando di idee che tu dai per scontato ma evidentemente non lo sono affatto. Queste idee vanno disseminate ovunque e in alcune teste daranno i loro frutti. Il diálogos non è solo pars destruens (eironéia) ma anche pars construens (maieutiké). Quindi no, non è solo «segnare il passo».
P.S.: se vuoi regalarmi qualcosa di Dickens, non scegliere i Racconti di Natale perchè già li ho letti. Comunque sto leggendo Q di Luther Blisset: lì i contadini protestanti erano ecumenici ma non mi pare fosse tutto rose e fiori coi prìncipi.
La questione è chiara: non si può aiutare chiunque. Ci sono individui che rientrano in un cerchio, che possiamo definire soggetti rivoluzionari, e altri che non entrano in questo cerchio.
Il mio riferimento ecumenico è questo: il cristianesimo non richiede delle scelte di fondo, perché tutti siamo aprioristicamente fratelli, siamo parte del tutto (questi sono i principi), mentre la scelta politica è una scelta d’appartenenza e d’esclusione.
Non esistono capitalisti buoni, che io sappia, sempre che il termine “capitalista” abbia ancora un senso.
Se vuoi fare un’opera divulgativa, falla in maniera diversa. Così come l’hai posta sembra che tu stia scrivendo qualcosa di nuovo. Sarà una mia impressione.
NB: Vedrò di passarti un libro di Baricco, che è anche peggio.
Non ho la pretesa di dire qualcosa di nuovo («Nihil dictum est quod non dictum fuerit prius») ma solo il desiderio di divulgare pensieri che magari a me e te sembrano limpidi e cristallini, perfettamente ragionevoli, ma che invece non hanno (ancora, spero) raggiunto tante persone, vuoi perchè ingabbiate in un’ottica monetaria dell’economia e soggette ai dogmi del neoliberismo e della finanza, vuoi perchè semplicemente non avevano mai pensato prima di dar forma a questi pensieri. Spero che questo sia chiaro: non ho né la competenza né l’opportunità di scrivere qualcosa che sia contemporaneamente nuovo e completo.
P.S. Ovvio che non esistono i “capitalisti buoni”, l’espressione che utilizzavo era da leggersi tutta unita come un unico concetto.
P.P.S. Non so se hai mai letto Q, te lo consiglio. Discuteremo allora se per tutti i cristiani siamo davvero tutti aprioristicamente fratelli.