Normalisti indisponibili

Oggi, 29 novembre 2010, la Scuola Normale Superiore di Pisa è stata occupata da un gruppo di suoi studenti.

In questo documento affermiamo le ragioni della nostra contrarietà al DDL 1905 in discussione in questi giorni alla Camera, che si inserisce in una politica di delegittimazione sistematica dell’università italiana (politica che necessariamente colpisce anche la Scuola Normale).

Riguardo all’articolazione degli organi interni dell’università (art. 2) siamo innanzitutto contrari alla svalutazione del ruolo del senato accademico, ridotto a organo meramente consultivo, a fronte di un consiglio di amministrazione chiamato a prendere decisioni di fondamentale importanza anche in merito a questioni strettamente inerenti alla didattica, come la soppressione e attivazione di corsi (art. 2, comma 1). Riteniamo che questo sia particolarmente grave, poiché non è chiara la tipologia professionale dei membri del consiglio, definiti nel testo del DDL come “personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello” (art.2, comma 1). Crediamo infatti che, per prendere decisioni in materia di didattica, non sia sufficiente una competenza in ambito gestionale, ma che occorra anche e soprattutto una competenza di tipo specifico nei settori disciplinari implicati. Temiamo che la vaghezza delle indicazioni fornite in proposito legittimi la presenza massiccia di privati all’interno della governance universitaria. Questo va in direzione di una privatizzazione della scuola pubblica, inaccettabile in linea di principio e pericolosa in quanto genera un conflitto di interessi che non può essere risolto meramente attraverso l’introduzione di un generico “codice deontologico” (art. 2, comma 4).

Più in generale lamentiamo la mancanza di chiarezza in merito ai criteri di selezione del personale con responsabilità gestionali; citiamo ad esempio l’art.2 comma 1 a proposito del “nucleo di valutazione”: tale organo, con funzione “di verifica della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica” è composto da membri dei cui non è specificato nulla se non la loro necessaria non appartenenza all’Ateneo. La “commissione paritetica docenti-studenti” che lo affianca, pur risultando più definita nella sua composizione, ha ruolo puramente consultivo. L’art. 5, inoltre, introduce meccanismi premiali per la distribuzione dei fondi senza definire (comma 3 e 4) in modo puntuale i requisiti di assegnazione, insistendo invece pericolosamente su bilancio e gestione della spesa piuttosto che sulla valutazione di didattica e ricerca.

Riteniamo che un ateneo debba essere valutato in base alla sua efficienza nel formare laureati di alto livello, sui risultati della sua attività di ricerca e non da ultimo sulla sua capacità di diffondere la cultura tra la cittadinanza e non soltanto su parametri di tipo finanziario. Difficile fidarsi degli appelli alla meritocrazia, quando ad esempio ancora manca la nomina del consiglio direttivo dell’ANVUR (Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) a quattro anni dalla sua istituzione e manca al 29 novembre 2010 una qualsivoglia ripartizione dei fondi per l’anno 2010 in base alla valutazione.

Un altro punto importante è quello riguardante i ricercatori (art. 21), per noi particolarmente rilevante dal momento che la Scuola Normale forma essenzialmente per la ricerca. La normativa proposta, gravemente priva di chiarezza, introduce una carriera lunga, precaria, in cui non è chiaro se il rispetto dei parametri contrattuali garantirà la permanenza all’interno delle strutture di ricerca. Data la situazione economica critica, sorgono seri e giustificati dubbi sull’entità effettiva delle assunzioni a fine percorso. Quest’incertezza s’aggiunge a quella relativa all’attuale sospensione dei concorsi per ricercatore, in assenza di nuovi regolamenti attuativi.

Tutto questo avviene in un panorama per niente rassicurante per i circa 9 studenti su 10 che a partire dall’anno prossimo perderanno la borsa di studio a causa dei tagli ai fondi del DSU dell’89,54%. Nella stessa ottica agisce l’art. 4 del ddl che, introducendo il cosiddetto prestito d’onore, di fatto sostituisce le agevolazioni economiche per gli studenti meritevoli con forme di indebitamento tarate sul reddito.

Come dimostra la nostra partecipazione alla protesta anche relativamente ai punti sulle borse di studio e sui prestiti d’onore, per considerare il ddl Gelmini una minaccia al sistema formativo italiano non è necessario essere danneggiati in prima persona dai suoi effetti sul piano della qualità della didattica, del diritto allo studio e delle prospettive future di un’università pubblica già pericolante. È sufficiente essere cittadini consapevoli che l’investimento e la valorizzazione nella cultura, nell’università, nella scuola e nella ricerca dovrebbero essere tra i primi obiettivi di un paese che voglia uscire dalla crisi: è con questo spirito che contestiamo la riforma.

Riteniamo che si debba abbandonare il settarismo che spesso, in passato, ha caratterizzato le proteste di singole categorie: per questo chiediamo ora il ritiro del ddl non in quanto studenti della Scuola Normale, non in quanto studenti dell’Università di Pisa, ma in quanto cittadini che chiedono risposte adeguate rispetto alla crisi e all’esigenza di investire risorse umane ed economiche in tutto il settore della formazione.

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