Luoghi comuni
Su La Repubblica è stato pubblicato oggi 25 novembre, in occasione della “giornata mondiale contro la violenza sulle donne”, un documento che vorrebbe essere di lucida analisi del fenomeno della violenza di genere e dei rapporti tra i generi.
Ecco il commento di una compagna: «Così emancipate che il tema portante di questa lettera è come si fanno crescere i figli. Poi le figlie scoprono “libertà, il lavoro, la parità”, i figli invece “la sessualità, l’immaginazione, il desiderio”, perché le donne, chissà, magari non ne hanno bisogno, perché fare la donna, a letto, è facile».
Insomma, difficile condurre un’analisi contro la violenza di genere facendo uso di stereotipi di genere. Perché, occorre ricordarlo ancora una volta, «violenta è l’imposizione culturale, la propagazione di stereotipi, la normazione dei comportamenti».
Il sonno della ragione genera luoghi comuni.
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Quello che mi stupisce di più del documento, oltre alle numerose caratteristiche stereotipate riferite alla donna, è l’idea di fondo presentata. Mi è parsa quasi un tentativo di ammortizzazione alla libertà di cui la donna attualmente dispone. Come se la “maggiore libertà” odierna, rispetto alle epoche scorse, fosse una delle cause scatenanti la violenza e la realtà misogina: “La violenza […] usa forme antiche ma è del tutto nuova e legata alla libertà delle donne, delle madri, alle loro contraddizioni, al mutamento troppo lento degli uomini, dei padri di fronte a questa nuova libertà.” Non vedo come una donna affermata sia nel lavoro che nella famiglia possa presentarsi un pericolo e un motivo di violenze da parte degli uomini. Credo piuttosto che l’emancipazione sia uno stimolo per il rispetto da entrambe le parti, la libertà che dovrebbe concretamente realizzare una parità sociale tra i generi crea a sua volta il rispetto, necessario all’eliminazione delle violenze sulle donne. Penso che la violenza sia frutto di un’educazione sociale sbagliata, non dell’incremento di una libertà funzionale all’uguaglianza.