Mele marce un cazzo

Al congresso del Sindacato autonomo di polizia (Sap), gli assassini di Federico Aldrovandi sono stati accolti da una platea già euforica e «caricata», stando alle parole di Massimo Montebove, portavoce del Sap, a causa dei discorsi che avevano preceduto il loro ingresso trionfale: si era parlato di poliziotti uccisi dalla mafia, di poliziotti condannati ingiustamente, di vittime del terrorismo e della criminalità.

Questo spiega, a detta di alcuni, il lungo applauso che ha salutato l’arrivo in sala di Paolo Forlani, Luca Pollastri e Enzo Pontani, tre dei quattro agenti condannati dalla Corte di cassazione il 21 giugno del 2012 per l’omicidio di Federico Aldrovandi a tre anni e sei mesi (tre anni dei quali coperti dall’indulto). Chi spiega così l’accorato sostegno ai tre assassini, specifica che in ogni caso si è trattato di un applauso e di un apprezzamento che intendevano essere un gesto di solidarietà umana nei confronti di «persone che hanno avuto dei problemi».

«Persone che hanno avuto dei problemi». Come il 12 aprile, quando il povero «cretino da sanzionare» (parole del capo della polizia Alessandro Pansa) ha calpestato deliberatamente una manifestante inerme già malmenata e distesa sull’asfalto, forse «per dare una mano ai suoi colleghi» o per «frenesia e frustrazione», come suggerisce il prefetto di Roma. La tesi del “cretino isolato” è veicolata non solo direttamente dagli uomini delle istituzioni e dagli uomini dell’ordine pubblico, ma anche indirettamente dal montaggio di certi video (esempio) da parte di quelle trasmissioni che intenderebbero denunciare le violenze (finendo spesso per alimentare il consumo di dissenso). Che senso ha zoomare e mostrare alla moviola il piede di un agente che calpesta una manifestante quando tutto intorno si assiste alla violenza gratuita dei manganelli che infieriscono sui corpi aggrovigliati di persone indifese? Che senso ha, se non condannare selettivamente lo scarpone legittimando implicitamente il manganello?

«Persone che hanno avuto dei problemi». Come qualche giorno dopo, quando gli agenti in assetto anti-sommossa hanno sgomberato 200 famiglie in occupazione abitativa alla Montagnola a Roma (vedi), caricando, entrando negli appartamenti per gettare a terra i malcapitati e manganellarli, lasciandosi dietro feriti, bambini piangenti e nuclei familiari senza più un tetto (vedi). Anche di loro è stato detto fossero «frustrati» e dunque, poveretti, in qualche modo giustificati.

Descrivere queste azioni come spinte da una frustrazione eccezionale in contrapposizione ad un equilibrio ordinario significa muoversi all’interno di una narrazione che ne addossa al singolo poliziotto, o qualunque altro membro delle forze dell’ordine a seconda del caso, tutta la responsabilità (si tratta della ben nota narrazione delle “mele marce”). Eppure, se si è capaci di giustificare le teste calde e le mele marce in quanto «persone che hanno avuto problemi» e che sono «frustrate» a causa della situazione personale o familiare che li circonda, questo tipo di retorica non riesce a fare altrettanto riguardo all’influenza che può esercitare l’ambiente lavorativo, perché ciò significherebbe ammettere che ad essere marce non sono le mele, bensì l’intera cesta.

Il Sap vanta circa 20 mila aderenti a fronte di un numero complessivo dei membri della polizia di Stato pari a 105.000 unità effettive. Ciò significa che circa un poliziotto su cinque vi è iscritto (non solo vicino, proprio iscritto), e un numero indefinito di altri costituisce quell’area rosa costituita da simpatizzanti non aderenti, tipica di ogni organizzazione strutturata. Dunque, almeno un poliziotto su cinque si riconosce in un’organizzazione che ha attaccato personalmente (vi ricordate?) la madre di Federico Aldrovandi esponendo sotto il suo ufficio uno striscione in solidarietà agli assassini del figlio. Coloro che innumerevoli volte hanno parlato della necessità di «isolare i violenti», coi violenti solidarizzano.

In quell’occasione, l’allora ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri osservò che «chi ha manifestato non rappresenta la maggioranza dei poliziotti» (li rappresentava invece lei che li mandava in anti-sommossa a reprimere le proteste degli studenti) e l’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro definì l’azione un «fatto da condannare» (lui che di fatti da condannare se ne intende).

Questa volta ancora un’unanime condanna morale da prima pagina: il presidente del consiglio Matteo Renzi , il ministro dell’Interno Angelino Alfano e il capo della Polizia Alessandro Pansa rivolgono i propri sentimenti di vicinanza e di solidarietà ai genitori di Federico, indignati e agghiacciati dall’accaduto. A tali manifestazioni di solidarietà si accodano una serie di voci provenienti soprattutto dal PD e da SEL. Chi, come Cecilia Strada, presidente di Emergency, invita i «poliziotti democratici» a «dire qualcosa» aspettandosi nette prese di posizione, ottiene timide e ambigue esternazioni da parte di altre organizzazioni di polizia, come quelle di Ruggero Strano (segretario generale Autonomi di polizia) secondo cui «gli applausi di oggi sono una cosa vergognosa» ma non bisogna dimenticare che «questa vicenda ha mietuto solo vittime, da una parte e dall’altra», ad ulteriore dimostrazione di quanto poco peso e voce in capitolo i poliziotti “democratici” abbiano tra i reparti della Polizia di Stato.

Matteo Renzi si dice solidale con la madre di Federico Aldrovandi, sia a titolo personale sia a nome di tutto il governo. Ma se Renzi volesse essere solidale più che a parole (perché la solidarietà è tale solo se si fa carne) potrebbe cominciare a pensare di fare qualcosa in suo potere. Potrebbe pensare di invertire la rotta di chi lo ha preceduto, riformando il sistema di selezione e addestramento delle forze di polizia; riformando il sistema carcerario affinché non esistano mai, in nessun posto, celle zero e spazi in cui si assiste ad una sospensione dello stato di diritto; introducendo il reato di tortura; arginando le derive autoritarie e le politiche repressive; ponendo le basi per la costruzione di un ambiente in cui gli abusi in divisa non si verifichino; garantendo che eventuali abusi in divisa vengano puniti integralmente e con la rimozione degli incarichi di chi insabbia, copre e spalleggia assassini, torturatori e corruttori. Finora, chi doveva essere punito non è stato mai trovato oppure ha ricevuto apprezzamenti, riconoscimenti e promozioni. Se Renzi è solidale deve invertire questa tendenza.

E invece gli assassini di Federico saranno reintegrati nonostante le vive proteste.

E invece chi rompe una vetrina sta dentro 12 anni e chi ammazza di percosse gratuite sta dentro qualche mese (se va bene).

«Persone che hanno avuto dei problemi». Come i tre «sadici», gli aguzzini del carcere di Poggioreale. Come i macellai della Diaz. Come i torturatori di Bolzaneto. Come quelli che dal cavalcavia lanciano sassi sui manifestanti. Come quelli che sparano ad altezza uomo lacrimogeni vietati dalle norme internazionali. Come quelli che infieriscono in strada sui corpi di semplici cittadini fino ad ammazzarli. Come quelli che seviziano i detenuti. Come quelli che sgomberano a manganellate i blocchi di protesta dei migranti. Come quelli che sanno che resteranno impuniti.

«Persone che hanno avuto dei problemi». Come tutte le altre volte.

Tutta quella gente applaudiva, in massa all’unisono e col cuore, degli assassini. Mele marce un cazzo.

congresso sap