L’abuso di evoluzionismo, il sessismo e il complottismo
Che alcuni, anche tra gli appartenenti alla comunità scientifica, considerino la scienza come uno strumento reazionario di legittimazione delle disuguaglianze sociali e di conservazione delle tradizioni a prescindere dai contesti e dall’etica, già lo si sapeva. In questo blog, l’argomento è stato ampiamente discusso in calce a un articolo intitolato Convergenze ideologiche.
In Biologia come ideologia, R. Lewontin critica fortemente tale utilizzo e lo decostruisce organicamente. Un buon esempio è dato dall’articolo I Pennacchi di San Marco, da lui scritto in collaborazione con S. Gould, in cui mette in discussione l’integralismo di alcuni scienziati che pretendono di applicare la teoria dell’evoluzione impropriamente per spiegare qualunque fenomeno biologico, seguendo il paradigma il fenomeno esiste, quindi è stato favorito dalla selezione naturale. In realtà tanti caratteri che l’evoluzione si porta dietro sono selettivamente “neutri”, o sono il relitto di strutture preesistenti, o sono negativi ma selezionati in combinazione con caratteri positivi.
La teoria dell’evoluzione è un buon modello, spiegano i due, ma non può essere la risposta a tutte le domande: un approccio del genere non solo rischia di portare a conclusioni errate, ma anche mortifica la ricerca scientifica.
Un esempio valga per tutti: quello delle mele. In linea con l’usuale iter definito dal metodo scientifico, lo sperimentatore è inizialmente osservatore. Questi osserva che le mele cadono tutte verso il basso. Se assume che l’evoluzione possa spiegare l’esistenza attuale di ogni fenomeno biologico, egli concluderà che le mele cadono verso il basso perché sono state naturalmente selezionate, in quanto quelle che inizialmente cadevano verso il suolo avevano l’opportunità di rilasciare i semi e dunque germogliare, trasmettendo alla prole il proprio patrimonio genetico; le mele che “cadevano verso l’alto”, diversamente, non erano evolutivamente favorite.
Un simile ragionamento, lo si trova nel testo Dalla natura alla cultura di B. Chiarelli; il secondo tomo è dedicato alle “origini della socialità e della cultura umana” e i seguenti sono alcuni esempi di applicazione forzata dell’evoluzionismo a fenomeni sociali:
«Con la postura eretta […] l’apparato riproduttivo femminile si è venuto a trovare in posizione verticale. In queste condizioni, la ritenzione del liquido seminale dopo l’accoppiamento risulta difficile e dunque, per massimizzare le possibilità di concepimento, deve essersi verificato un insieme complesso di adattamenti» (notare il dunque deve);
«La tendenza all’accoppiamento notturno conduce a incrementare la possibilità di fecondazione, poiché coincide con un periodo di tempo di diverse ore in cui la donna rimane in posizione orizzontale dopo l’accoppiamento»;
«L’accoppiamento durante la notte o comunque in luoghi appartati, tipico della nostra specie, costituisce un doppio vantaggio: minimizzare la vulnerabilità nei confronti dei predatori e massimizzare la ritenzione dello sperma»;
«L’aver relegato l’attività sessuale alle ore notturne e l’averla ridotta e considerata disdicevole in presenza d’altri può aver costituito una caratteristica atta a prevenire che altri maschi fossero tentati di accoppiarsi con le femmine già inserite in un legame di coppia»;
ma Chiarelli dimentica che l’accoppiamento notturno e in luoghi appartati è tipico della nostra cultura (e non ne sono neanche del tutto sicuro). Noi non sappiamo se nelle culture preistoriche la sessualità fosse vissuta con meno inibizione e con abitudini diverse. E anche se le nostre abitudini attuali rispecchiassero quelle dei nostri antenati, niente dimostra che tali abitudini siano ereditabili e geneticamente determinate, e dunque soggette a selezione.
Nella trattazione Interpretazione sociobiologia sull’origine della costante presenza del seno nella femmina umana, che fa compagnia ad altri interessanti titoli che non c’è tempo di analizzare, Interpretazione evolutiva dell’origine del pianto e del sorriso e L’origine del pudore e della vanità, Chiarelli cerca di rispondere alla domanda: «sotto quale pressione selettiva la presenza costante del seno e la sua forma si sono mantenuti ed hanno acquisito la funzione di carattere sessuale secondario, tra i più rilevanti nelle femmine della nostra specie?»
La riposta è che «nella donna non esistono segnali esterni certi che caratterizzano il momento dell’ovulazione; l’acquisizione della postura eretta ha nascosto i genitali e […] il maschio, avendo perso questo importante meccanismo di segnalazione [turgore delle grandi labbra] è stato privato anche della possibilità di sincronizzare l’accoppiamento con l’ovulazione. In qualche modo questa perdita deve essere stata sostituita […] dalla prominenza del seno»
L’argomentazione che segue è articolata ma non regge: si basa infatti sull’assunto che «la dimensione e la forma del seno hanno la funzione di mezzo attraverso il quale i maschi umani stabiliscono subconsciamente il probabile stato riproduttivo della donna», data la corrispondenza tra forma e dimensione del seno e stato riproduttivo (amenorrea, mestruazione, gravidanza, allattamento, menopausa), una corrispondenza però poco chiara e non sostenuta da dati sperimentali (se non in alcuni casi).
Altre criticità riguardano alcune affermazioni di dubbia validità scientifica, come «l’uomo preferisce donne con distribuzione equilibrata delle masse» o «in generale gli uomini concordano che il seno rappresenti il simbolo sessuale per eccellenza». Il problema, infatti, è che per quanto l’attrazione sessuale sia un comportamento istintivo e quindi innato, il comportamento umano è profondamente influenzato da fattori culturali e quindi acquisiti, su cui la selezione naturale non può aver agito.
A queste affermazioni vagamente arbitrarie, si affiancano trattazioni di sapore chiaramente maschilista, come quella che inizia perentoria dicendo «In genere gli uomini manifestano una maggiore aggressività rispetto alle donne» e che contiene da sé l’elemento che la smentisce, poiché continua «Quasi tutte le società e le culture umane favoriscono l’aggressività maschile, per cui uomini e donne crescono aspettandosi che gli uomini siano aggressivi».
Per chiudere con il sorriso, ecco un’ultimo estratto:
«Un aspetto recente nella cura del seno, da parte delle donne di civiltà europea, che merita considerazione per le conseguenze che può avere sulla riproduttività, è rappresentato dall’uso generalizzato del reggiseno. L’indiscriminato uso di questo indumento, introdotto alla fine del Settecento, si deve considerare come la conseguenza di un malcompreso egualitarismo. Infatti le donne dotate di un seno meno interessante hanno coperto questa loro parte del corpo, imponendo quest’uso, attraverso la moda, anche alle donne con seno appetibile, ciò ha condotto a ridurre l’interesse del maschio verso queste ultime, con l’intento di attirare l’attenzione sessuale anche su quelle con seno meno interessante».
Insomma, l’indiscriminata applicazione dei principi dell’evoluzione può condurre a veri e propri complottismi.
P.S.: durante qualche ricerca per la stesura di questo articolo, mi sono imbattuto in alcuni fatti imbarazzanti: Brunetto Chiarelli, l’autore di “Dalla natura alla cultura”, professore di Antropologia all’Università di Firenze, era iscritto alla P2 (tessera 797) e negli anni Ottanta lanciò la proposta dello “scimpanzuomo”, un ibrido uomo-scimmia da utilizzare per i trapianti e per i lavori servili. Cazzo, ho finanziato un massone simil-nazista.
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Anni fa simili spiegazioni – “storie proprio così”, come le chiamava credo Dennett rifacendosi a Kipling – andavano di moda. Ne ho lette diverse; tempo fa mi sembravano verosimili, se non vere. Oggi la penso come te: senza un approccio storico e paleontologico – proprio di biologi come Gould – si rischia di sparare cazzate senza fondamento.
Tuttavia, al di là del sessismo che emerge in molti “scienziati”, la teoria della selezione sessuale mi sembra ancora attendibile.