VOTA DADA

«Dada non significa nulla»
Tristan Tzara, Manifesto Dada

Alla fine della settimana corrente, gli italiani saranno chiamati, nella maniera più colorata, gioiosa, pacifica e civile possibile, a festeggiare il compleanno di mio fratello. Nell’attesa, molti amici, ritenendomi chissà quale esperto di compleanni, chiedono indicazioni di voto.

A me non è mai piaciuto dare questo tipo di suggerimenti per poi dichiararmi sistematicamente deluso e gridare al tradimento dello spirito originario, ed è per questo che rispondo a tutti di essere ben disposto a dar piuttosto indicazioni di non voto: non nel senso di promuovere attivamente l’astensione, ma in quello di fornire elementi per costruire una visione critica, attività più comunemente nota come “rompere i coglioni” oppure, con una variante cara soprattutto agli elettori di centro-sinistra, “fare polemica”.

Non è mia intenzione intavolare di seguito la solita «sterile polemica» sul fatto che il Movimento Cinque Stelle ricalchi le stesse pulsioni psicologiche e antropologiche sottese al primo fascismo degli anni Venti, che Rivoluzione Civile non sia affatto un partito rivoluzionario bensì uno schieramento socialdemocratico, seppur l’unico probabilmente presente nel prossimo Parlamento, che il Partito Democratico sia un partito di destra liberale moderata, che Giannino esattamente come il PD non possa essere considerato opzione votabile da una persona di sinistra (e sono ancora turbato dalla scoperta che queste persone effettivamente esistono). Propongo di dare per scontati tutti i contenuti di queste fastidiosissime polemiche.

Invece, ci si potrebbe chiedere se i principali problemi che ci troviamo a fronteggiare, e che condannano la nostra società alla genuflessione innanzi agli eterei, universali, assoluti, divini e impalpabili valori del mercato e della concorrenza, siano in qualche modo risolvibili dall’interno del Parlamento, o perlomeno dall’interno del prossimo, quello votato tra fiumi di spumante stappato in occasione del natale di mio fratello. A ben vedere, la risposta è “no”, giacché qualunque voto, direttamente o indirettamente, sarà un voto per il sobrio professore, per il tecnico disinteressato, per il servitore dello Stato (leggi qui per saperne di più).

Come fare dunque? Essendo io, come dicevo prima, poco esperto in compleanni, mi rivolgo a un amico che sembra sapere il fatto suo:

«Non rimane», risponde dopo aver scolato il suo boccale di birra scura «che seguire le regole dell’attuale democrazia e, in mancanza di un partito che mi rappresenti fra i due schieramenti che possono davvero decidere qualcosa, votare. Ma non un partito qualsiasi, quello è qualunquismo ed è pericoloso: bisogna avere dei criteri ben definiti, ed io condivido ora i miei, che possono essere riassunti in ciò che chiamo voto DADA.

«Il punto principale è quello estetico: devi trarre soddisfazione dall’avere tracciato una “X” su quel simbolo e non su di un altro. Secondariamente, va considerato l’impatto del voto: idealmente il partito che stai votando non deve poter usufruire del tuo voto esattamente come i big che non hai votato, vale a dire che più è lontano dalla soglia di sbarramento meglio è. Meno importante ma non banale è il fattore random: non fissarti su di un solo partito, selezionane due o tre (fino a sei per gli estimatori del dado) e lascia che sia il caso a decidere».

Insomma, vota dada. Tanto, questa volta, davvero ogni voto è inutile.

Dada non significa nulla. Il voto è dada. Il voto non significa nulla.