O noi o i nazisti – «Da te non me l’aspettavo»: quando Grillo non urla

Questo articolo è la seconda di quattro parti di un’analisi del Movimento Cinque Stelle dal titolo O noi o i nazisti
«L’antifascismo non mi compete»: anti-antifascismo del M5S
«Da te non me l’aspettavo»: quando Grillo non urla
«Questa è la democrazia»: il movimento come Stato
«Questo movimento è ecumenico»: la concezione del popolo

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO: il secondo link citato nel testo, “stranamente”, è stato rimosso; per fortuna qualcuno ha pensato di recuperarlo, per cui la copia del testo originale la trovate qui.

Non si deve pensare che la posizione espressa da Grillo nei confronti del movimento neofascista non abbia suscitato reazioni di indignazione da parte di esponenti, anche con ruoli rappresentativi, nel M5S. Queste reazioni hanno addirittura comportato le dimissioni, ad oggi, di due consiglieri eletti a Carpi (vedi) e a Roma (vedi).

Dichiarazioni di stupore costellano i post di attivisti delusi, commenti increduli inondano le pagine dedicate ai commenti. «Ma come? Lui non antifascista? Grillo?», «Stavolta mi hai davvero deluso», «Da te non me l’aspettavo». Questa ondata di incredulità mista a indignazione è indice della scarsa profondità di analisi di parte dell’elettorato grillino proveniente da sinistra: infatti, non c’era nessun motivo di ritenere che Grillo fosse antifascista o che si interessasse al problema, visto che nel M5S la cosa non è mai stata accennata.

La domanda che si pone è la seguente: perché tanti attivisti ed elettori delusi provenienti da sinistra, che credevano di militare in un movimento antifascista, dando per scontata la cosa? La spiegazione si compone di due elementi.

La prima plausibile motivazione va ricercata proprio nella “liquidità” del M5S, di cui si è già parlato ampiamente (qui): per fare in modo che tutti possano riconoscervisi, il M5S riduce al minimo i contenuti politici, perché per ogni presa di posizione esiste una fetta di cittadinanza che non è d’accordo. In altre parole, il grado del consenso è inversamente proporzionale al livello dei contenuti e il M5S, avendo l’ambizione di rappresentare i cittadini in generale e in maniera trasversale, punta al più largo consenso possibile.

Il secondo motivo è che il consenso per Grillo deriva in larga parte da impulsi irrazionali, catalizzati dallo stile comunicativo, dal tipo di linguaggio e dalla teatralità del personaggio, come sapientemente indagato da Giovanna Cosenza, professoressa di semiotica all’Università di Bologna (l’analisi è suddivisa in cinque parti). Grillo –si osserva– «non afferma, esclama; non parla, grida fino a perdere la voce; non suda, s’inzuppa; non gesticola, si scompone». Inoltre, «sul palco non si limita a camminare, ma lo percorre a grandi falcate da un lato all’altro, o addirittura corre; non si limita a rivolgersi agli spettatori, ma si piega a novanta gradi, s’abbassa, si sporge oltre eventuali sbarre e transenne, come se volesse tuffarsi nel pubblico». Un buon comunicatore non può ovviamente trascurare l’espressione del volto come suo sommo strumento: «mobilissima, sempre pronta a trasformare ogni emozione in maschera di teatro, sempre capace di passare in un lampo dal comico al tragico, dall’euforico al disforico e viceversa».

Queste considerazioni non sono affatto banali. Se in tanti “cadono dalle nuvole” quando vengono rilasciate certe dichiarazioni, non c’è da stupirsi: erano praticamente ipnotizzati dall’affabilità, la convinzione e l’entusiasmo di Grillo, talmente presi dalla sua foga da non fermarsi a riflettere un attimo: così come il movimento millanta la democrazia diretta, la partecipazione immediata, anche l’adesione al M5S da parte dei sostenitori è priva di intermediazione, stereotipata, incondizionata. Non passa dal cervello, ma dal cuore.

Tante cose che Grillo afferma durante gli spettacoli o i comizi farebbero accapponare la pelle se le dicesse in maniera non spettacolare, da uomo normale. Se Grillo in un’intervista dicesse serio rivolgendosi a un poliziotto «vuoi dare una passatina a un marocchino che rompe i coglioni? Lo prendi, lo carichi in macchina senza che ti veda nessuno, lo porti un po’ in caserma e poi gli dai, magari, due schiaffetti» una buona parte dell’opinione pubblica che normalmente lo sostiene gli si scaglierebbe contro. Il problema è che Grillo ha veramente pronunciato questa frase (vedi), e come questa altre, a cui in molti non hanno dato peso perché in quel momento si trattava di uno spettacolo comico e satirico, non di una dichiarazione politica.

Il fatto è che in questo caso show comico e comizio politico sono indistinguibili, e con questa scusa ci si può permettere di lasciarsi andare a considerazioni paurose; l’indistinguibilità e l’assenza di confine tra il Grillo comico e il Grillo politico sono gli strumenti di difesa più utilizzati dai sostenitori: «ma lasciatelo stare, lui stava scherzando, non fatene una tragedia!» ricorda, come fosse ieri, il modo con cui si giustificavano le uscite grottesche di Berlusconi.