Funghi e burocrazia
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Non molto tempo fa mi sono trovato a percorrere una strada di montagna che costeggia un bosco in cui, da piccolo, andavo con famiglia e amici a raccogliere funghi. Un bel paesaggio, non c’è che dire, dato che il bosco di trova su un pendio da cui è possibile godere di una vista ampia dei monti e della vallata e dei paesini che ne sono ospitati.
–Qua una volta ci venivamo a raccogliere funghi, te lo ricordi?
–Sì, veniva sempre Enrica. Perché non ci torniamo qualche volta?
–Ormai per raccogliere funghi ci vuole il patentino: non ho nessuna voglia di spendere soldi e tempo per prenderlo, in fondo lo facevamo solo una o due volte all’anno…
–Allora facciamolo lo stesso, appunto era un evento raro!
–Se ci beccano ci fanno una multona… sinceramente non ne vale la pena.
Un patentino per raccogliere funghi avrà anche una sua ragion d’essere, ben inteso: monitorare la raccolta a livello territoriale, tutelare la salute dei consumatori, regolamentare eventuali attività commerciali connesse sono tutti motivi più o meno validi che le istituzioni e i cittadini sono legittimamente liberi di sposare.
Con questa breve considerazione non ho intenzione di entrare nel merito burocratico della questione, ma piuttosto riflettere sulle conseguenze distruttive che un tale tipo di organizzazione può avere sulla psiche delle persone, perché in queste occasioni ci si rende conto di come la burocrazia soffochi l’entusiasmo, la spontaneità e la creatività della vita umana.
Le persone svolgono una miriade di attività, alcune quotidianamente o secondo ritmi scanditi dai fenomeni naturali, dal modo di produzione o da convenzioni sociali, altre sono occasionali, non subordinate a cicli particolari, altre ancora rare e dipendenti esclusivamente dal caso o da scelte sporadiche. Immaginiamo per un momento cosa accadrebbe se ciascuna di queste attività fosse sottoposta a un controllo burocratico da parte dell’apparato statale o di altre istituzioni, come quello che interessa la raccolta dei funghi.
Chi volesse vivere con spontaneità la propria vita e operare le proprie scelte indipendentemente dalle istituzioni, non potrebbe farlo senza correre rischi, o potrebbe farlo soggiacendo alla logica del controllo. Nel primo caso, uno può andare a funghi infischiandosene della normativa in materia, consapevole del fatto che se venisse scoperto da un controllore, una guardia o un funzionario apposito, potrebbe essere punito. Nel secondo caso, si paga e si segue un corso, spendendo soldi e tempo, per poter avere il patentino del raccoglitore di funghi, ma una volta ottenuto si ha la libertà di gestire la propria attività indipendentemente dall’istituzione che lo ha fornito. C’è chiaramente una terza possibilità, se si sopporta male sia la regolamentazione dell’attività che il rischio di incorrere in una punizione: rinunciare all’attività.
Bene, se ciascuna attività fosse oggetto di un controllo di questo tipo, gli esseri umani sarebbero costretti a segliere che attività fare non in base alle proprie inclinazioni o alla creatività del momento, ma soprattutto secondo criteri di calcolo razionale. In particolare, un sistema del genere obbliga a valutare le possibilità e compiere una scelta tra queste adottando criteri di convenienza economica, nel senso di risparmio razionale di tempo e denaro. In questo modo, vale meno ciò che si fa di meno mentre si premia la routine: infatti è più conveniente, in termini di tempo e denaro, essere in regola per un’attività che si fa tutti i giorni, senza il cui patentino rischieremmo molto di più, piuttosto che essere in regola per la raccolta dei funghi, che si pratica per poche volte all’anno: messi in condizione di scegliere quale tra i due corsi pagare e seguire per ottenere il rispettivo patentino, si è portati inevitabilmente a optare per l’attività di routine. Paradossalmente, al limite, le esperienze irripetibili e uniche diventano le meno convenienti, quelle di minor valore. Anche questa è alienazione.
Short Link:
quello dei funghi almeno è un patentino palese, ce ne sono tanti altri latenti e anche molto più condizionanti per la libertà di pensiero e d’azione…
Essendoci dimenticati di parlarne di persona ti rispondo qui.
Una risposta troppo significativa non potrò darla, perché non conosco in cosa in particolare il patentino consista (ovvero, a quali competenze, conoscenze, eventuali corsi preparatori e via dicendo sia associato). Mi sembra ragionevole tirare a indovinare che il patentello sia stato istituito al duplice scopo di proteggere la pellaccia dell’ignaro fungicoltore occasionale dal farsi un’insalata di Velenosus Diarraeicus, e al tempo stesso proteggere il fungame dai raid del fungicoltore di cui sopra, ovvero evitare che chiunque abbia una folgorazione bucolica o un raptus funghicida assalti e saccheggi il sottobosco senza rispettare le norme di buona condotta e buon senso (ad esempio lasciarne almeno uno per ogni “gruppo”, immagino ce ne siano anche altre).
L’imposizione di avere il patentuccio svolge così proprio la funzione che dicevi tu Piero di scoraggiare il fungante “ingenuo”.
Cosa ne penso?
La mia prima e dunque istintuale reazione è di fastidio per l’introduzione di un ennesimo diaframma fra la spontaneità e la possibilità, l’ispirazione e l’atto. Alienante non lo so, un po’ frustrante e demotivante di sicuro.
Vagliando però razionalmente la questione, mi rendo conto che qualcosa del genere (senza voler entrare illegittimamente nel merito della efficacia del patentucolo) sia necessaria, proprio per le ragioni che spiegavo all’inizio. Mi vengono in mente gli scogli senza più ricci (picchì s’i manciarru tutti) delle coste ragusane, i pesci GnamGnam dei Simpsons, la politica struzzesca del Tea Party e tante devastazioni compiutesi in nome della libertà umana a seguire senza inibizioni “inaccettabili” la propria ispirazione (magno-saccheggiatrice).
A conti fatti, ho in linea di massima più fiducia in un tentativo di razionalizzazione normativa (che tale è destinato a rimanere, come insegna Platone) che nel “buon senso” e nel “senso del limite” dell’umanità, ove per umanità intendasi in questa istanza la somma dei singoli uomini che si troveranno a fungare per i nostri boschi…
Non credo che alla base della fungopatente ci siano le considerazioni di sicurezza e razionalizzazione nei consumi che tu ipotizzi Stefano, conferendo una capacità etica e progettuale a chi non ce l’ha.
Per me si tratta solo di creare un uteriore balzello economico e burocratico (burocrazia= ottuso impedimento= clientela) come testimonia anche la recente [delirante] notizia che vorrebbero mettere una tassa sulle bevande gassate/dolcificate per limitarne l’uso visto che fanno male.
Non vedo analoga cura per la nostra salute nella vendita di alcolici e tabacchi, quindi ne deduco quello che mi pare lapalissiano…
Penso che il mio discorso sia stato frainteso. Quello dei funghi era solo un espediente narrativo, una scusa per parlare d’altro: non ho nemmeno le competenze necessarie (in materia di ecologia, conservazione e tutela del territorio, raccolta di funghi) e le conoscenze specifiche (normativa, sue motivazioni, modi per ottenere il patentino) per poter affrontare il discorso. L’avevo anche scritto: «non ho intenzione di entrare nel merito burocratico della questione, ma piuttosto riflettere sulle conseguenze distruttive che un tale tipo di organizzazione può avere sulla psiche delle persone, perché in queste occasioni ci si rende conto di come la burocrazia soffochi l’entusiasmo, la spontaneità e la creatività della vita umana».
Insomma, non era mia intenzione prendere posizione pro o contro la regolamentazione della raccolta di funghi, perché non era di funghi che volevo parlare, bensì indagare gli effetti oggettivi, i fenomeni psicologici e sociali che si innescherebbero (e si innescano) se ogni attività umana fosse posta a un controllo organizzato burocraticamente, senza necessariamente condannare questa tendenza.
«Il vizio e la virtù sono prodotti come il vetriolo e lo zucchero» H. Taine
Non sono entrato nello specifico perché non lo conosco, ma non mi è difficile immaginare che possano esserci motivazioni ben più squallide dell’ideale, come dice Nello. A me però interessava la stessa cosa che ribadisce Piero nell’ultimo commento, ovvero dire una parola sulla contrapposizione di principio fra spontaneità e regolamentazione.