Cecità
Non molto tempo fa ho letto Cecità di Saramago (titolo originale Ensaio sobre a Cegueira, “Saggio sulla cecità”).
Un bel romanzo di certo, che, come tutti i romanzi di Saramago, non sembra mai avere la pretesa di raccontare una storia universale anche se in realtà nasconde una profonda attenzione per l’umanità, le sue debolezze e i suoi difetti, affrontati con caratteristica ironia.
Lo stile è quello spesso riscontrato in altre opere dello scrittore, con un uso anticonvenzionale della punteggiatura e, in particolare, vorrei ricordare l’espediente letterario che preferisco: i personaggi non hanno mai un nome. Forse perchè il nome è già un’etichetta, una maschera pirandelliana che impedisce la libera espressione, forse perchè l’assegnazione di un nome ad un’entità molteplice e mutevole come un’onda quantistica equivale al collasso d’onda. Fatto sta che questa tecnica conferisce al racconto un sapore un po’ fiabesco, perchè i personaggi appaiono lontani, senza tempo e senza luogo, un po’ reale, perchè quei personaggi potrebbero essere chiunque, anche il biciclettaio, il giardiniere o il vicino di casa, con il risultato che nel periodo in cui lo leggevo tendevo a confondere il contenuto del romanzo con la realtà quotidiana, tanto che cominciando una nuova pagina mi stupivo del fatto che non fossi ancora diventato cieco e fossi ancora in grado di leggere.
La trama, di cui non svelo i dettagli per amore degli amanti della lettura a cui consiglio il libro, è semplice e la si può trovare riassunta su qualche recensione o direttamente sul retro del libro stesso: gli abitanti di un paese sono improvvisamente affetti da una malattia endemica che provoca cecità, di un tipo mai visto prima e dalla natura misteriosa, che dilaga senza alcun accenno di arresto. Perdendo la vista, gli altri sensi cercano di compensare il più importante che l’uomo ha per conoscere l’ambiente che lo circonda e instaurare relazioni con altri individui (non sempre ce ne accorgiamo). Eppure, evidentemente, non riescono a sostituirsi alla vista e a colmarne la deficienza, e ciò provoca lo sgretolamento delle relazioni umane, sociali e familiari: a prendere il sopravvento è l’istinto egoista di ciascuno, che si afferma anche con la violenza e il degrado morale in un climax di bellum omnium contra omnes, di homo homini lupus, di mors tua vita mea e probabilmente di altre espressioni latine.
Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono (moglie del medico, personaggio di Cecità)
Vi rimando, a proposito della vista come senso i cui aspetti possono essere sintomi di qualcosa che nella società non funziona, ad un altro blog (avrei potuto rimandarvi al sito de La Repubblica, ma ho mille motivi per non farlo e per pubblicizzare piuttosto uno spazio virtuale interessante e sicuramente più libero e meno untuoso).
Per finire, un link anche al blog di José Saramago (traduzione italiana), che merita di essere ricordato come artista e come persona sempre dedita a dar voce ai sentimenti più umani e universali e che «con parabole, sostenute dall’immaginazione, dalla compassione e dall’ironia ci permette continuamente di conoscere realtà difficili da interpretare» (ragioni per cui nel 1998 gli è stato assegnato il premio Nobel per la Letteratura).
Short Link:
Non amo Saramago. Ma “cecità” è bellissimo. Così bello che sembra che non l’abbia scritto lui. 🙂
Dai, non essere cattiva 🙂
Saramago è (il passato non mi va) una persona meravigliosa, lo sento molto vicino e mi fa una gran simpatia.
Non fare il modesto, dillo che il penultimo link era “il più migliore” 🙂
Di Saramago ne ho letti due, entrambi molto belli anche se ne ho preferito uno. Questo devo dire che per il tema trattato non lo avevo ancora considerato, ma ora sì: lo leggerò senz’altro.