L’illusione del binomio liberismo-benessere
Uno degli argomenti utilizzati più di frequente in difesa del sistema neoliberista è che garantisce il massimo benessere alla maggioranza della popolazione, infatti la nostra cultura e il nostro modello economico ci fanno star bene, qui nonostante tutto quasi tutti hanno l’indispensabile per vivere e abbiamo garantiti diritti civili il cui rispetto è impensabile in altre parti del mondo, dove pullulano teocrazie e governi formati da gerarchi e dittatori senza scrupoli.
Quante volte si sente dire «non si sputa nel piatto da cui si mangia! Il sistema che tu critichi, intanto, ti garantisce la libertà di espressione, una certa sicurezza e una serie di diritti e comodità che nella solo esso è in grado di dare»?
In realtà, dall’adozione di un modello neoliberista non segue esattamente l’istaurazione e la maturazione degli Stati di diritto, quelli in cui tutti i cittadini, dal primo all’ultimo, sono uguali davanti alla legge, la libertà individuale è tutelata e l’agire dello Stato è vincolato dalle sue stesse leggi. Mettendo per un attimo da parte la constatazione che ciò, anche nei cosiddetti Stati di diritto, non sempre avviene, e che anzi in alcuni paesi (come l’Italia) la violazione di tale principio è sistematica, cerchiamo di capire che, dopo tutto, noi occidentali ce la passiamo piuttosto bene (o almeno così è stato finora) rispetto a un contadino nigeriano, brasiliano o bengalese che ogni anno deve far fronte alla siccità, alla desertificazione, al disboscamento o all’inquinamento rischiando di non avere niente da mangiare e morire di fame.
Smontare la convinzione che il liberismo implichi benessere è facile: infatti tale implicazione nasconde un inganno, che dipende dall’illusione che il mondo finisca ai confini con l’Asia e l’Africa. Mi spiego meglio usando una semplice considerazione di natura termodinamica.
(Potreste aspettarvi un’applicazione del secondo principio della termodinamica, considerando che la Terra è limitata ma il sistema economico teorizza la crescita; ma la mia osservazione sarà molto più banale.)
Il binomio liberismo-benessere si potrebbe accettare se il mondo si esaurisse al confine italiano o ai confini dell’Europa: in tale ipotesi, potremmo guardarci intorno e osservare che la maggioranza delle persone ha tutto ciò che gli serve, cibo, vestiti, casa, addirittura un mezzo di trasporto, e potremmo concludere che l’attuale stato di cose è preferibile a qualunque altro, che tende all’utopia dell’uguaglianza e del benessere totale, che è vero che il nostro sistema economico fa star bene tutti. Ma non siamo soli, né possiamo dividere il mondo in due mondi, uno formato da Stati di diritto che adottano il libero mercato, l’altro da Stati dittatoriali che non lo adottano.
Nella scienza, che parte sempre dall’osservazione, si divide l’universo in sistema e ambiente, il primo è oggetto dell’osservazione e dello studio, il secondo è tutta la parte di universo che non è sistema. L’inganno che porta alla corrispondenza tra liberismo e benessere per tutti deriva da una scelta parziale del sistema di osservazione. Infatti, piuttosto banalmente, scegliendo come sistema l’occidente (quello noto con l’odiosa espressione Primo mondo) la corrispondenza è vera: il liberismo ha portato benessere alla maggior parte delle persone. Ma, come già detto, non siamo soli e non esiste nessun primo, secondo, terzo o quarto mondo: esiste un mondo solo e dentro ci siamo tutti. Prendendo come sistema di osservazione il mondo intero, si scopre ancora più banalmente che il liberismo non porta al benessere della maggioranza, ma al benessere di una minoranza sulle spalle di una maggioranza povera e sfruttata.
Lo stesso vale per il rispetto dei diritti umani e per la garanzia della libertà individuale: sebbene siano variabili omogenee all’interno del sistema occidente, non lo sono affatto nel sistema mondo.
Allora ciò che deve essere chiaro è questo: che il libero mercato non crea Stati di diritto, crea Stati di diritto e Stati dittatoriali fantocci degli Stati di diritto, e a lungo andare assoggetta tutti gli Stati, di diritto e non, al mercato e al potere del capitale.
Un esempio che valga per tutti è il caso della Nigeria, in cui da decenni multinazionali come la Shell e l’Agip sfruttano le risorse petrolifere del paese senza che i popoli locali ne traggano alcun beneficio, derubandoli della ricchezza nazionale e danneggiando i loro territori, spesso non più adatti alla coltivazione a causa dell’inquinamento legato alle raffinerie e ai pozzi. Contro un’ingiustizia e un furto di ricchezza di tale entità, oltre che per bisogni materiali di sussistenza, sono nate diverse organizzazioni (quali NDPVF, MEND, MOSOP) che intendono colpire il profitto e porre fine allo sfruttamento da parte delle multinazionali.
Tale movimento culminò in Nigeria nel 1993, con una manifestazione di centinaia di migliaia di persone e la guida dell’attivista Ken Saro-Wiwa. Il movimento era diretto anche contro il governo militare, responsabile di scelte in materia economica che favorivano le multinazionali.
Dietro pressioni della Shell, ormai accertate, Ken Saro-Wiwa e altri attivisti furono incastrati con un’accusa di omicidio basata su false testimonianze, incriminati e impiccati il 10 novembre 1995, dopo un processo di dubbia regolarità che attrasse l’attenzione di molti movimenti per i diritti umani.
Ditemi voi se questo è il rispetto dei diritti e delle libertà individuali che il liberismo dovrebbe garantire, se il liberismo ha portato benessere alla maggior parte del popolo Ogoni in Nigeria: i poveri e gli sfruttati nel mondo sono la maggioranza.
Se posso comodamente uscire e comprare al supermercato ciò che mi serve invece di produrlo (e il processo di produzione è nascosto il più possibile e rimosso dalla coscienza collettiva dei consumatori occidentali, con il preciso obiettivo che non si facciano nessuno scrupolo a comprare; a proposito, all’inizio degli anni novanta, da un’indagine svolta a New York, risultò che la metà dei bambini era convinta che il latte fosse un prodotto industriale completamente artificiale, alla stregua della Coca-Cola o del chinotto. Lascio a voi le considerazioni.) non è perché con il liberismo tutto è più comodo per tutti, ma è solo perché qualcun altro, lontanto geograficamente da me ma unito a me dagli stessi rapporti di produzione, lavora per me come uno schiavo e fatica al posto mio.
Se non soffro la fame non è perché il liberismo dà cibo a tutti, ma perché lo toglie ad alcuni per darlo ad altri, quando invece basterebbe per tutti.
È per questo che, anche se non lo sai, voti ogni volta che compri. Nella società di massa del consumismo l’atto dell’acquisto è un atto importante più del voto, e se non si vuol essere complici di violazioni dei diritti umani, di guerre e omicidi, di sfruttamento, di furti e devastazione delle risorse, non restano che due possibilità, proprio come nel voto: o l’astensione, che si traduce nell’autoproduzione, o il consumo critico e consapevole, che si traduce nella riduzione dei consumi e nel boicottaggio.
Ovviamente cercare di trarsi fuori dal problema con queste strategie non basta: non far più parte del problema non significa già far parte della soluzione, ma è un presupposto secondo me necessario.
Probabilmente ho scritto una banalità dopo l’altra e niente che non si sapesse già, ma ho sentito l’esigenza di scriverle per ribattere a chi difende il libero mercato adducendo come giustificazione il benessere che a questo sarebbe connaturato.
Viva la decrescita! (anche se quello della decrescita è un argomento controverso che mi lascia perplesso su alcuni punti e su cui presto scriverò qualche considerazione)
Short Link:
benissimo, chiaro e condivisibile, allora resto in attesa delle note sulla decrescita…
Bravissimo. Anche se trovo un imprecisione: non è il ibero mercato a creare stati di diritto, ma gli stati di diritto creano il libero mercato.
Credo che il liberismo c’entri poco: il problema è l’uomo. (Prova a chiederti: quale sarebbe l’alternativa etica? Anche Latouche, parlando delle possibilità effettive di realizzazione della decrescita, paventa una ‘ecodittatura’. Un male necessario?).
Quanto alla critica ai consumi spensierati, mi trovi perfettamente d’accordo. Non dobbiamo rimuovere lo sfruttamento; anzi, dobbiamo portarlo alla luce. Ma non basterebbe. Dovremmo dunque vietare la vendita dei pomodorini? (Forse dovremmo fare a meno della vendita tout court. Torniamo al baratto, scambiandoci il frutto equivalente dei rispettivi lavori).
@Anonimo: argomento delicato. Prima di tutto perchè mette in discussione la differenza tra struttura e sovrastruttura, immaginando che un’entità politica (lo Stato) sia in grado di creare e gestire un’entità economica (il mercato) prescindendo dai rapporti di forza e produzione: mi stai dicendo che la divisione tra sfruttati e sfruttatori nasce con lo Stato di diritto?
@Davide: non capisco se intendi dire che secondo te il liberismo c’entra poco con il benessere. Se intendi questo, sono d’accordo, e questa corrispondenza automatica che molti citano io la chiamo non per niente illusione. Altrimenti, penso di non essere stato chiaro: lo spirito di questo articolo è diretto contro un’illusione, appunto, ma non intende ricondurre tutti i problemi al liberismo. Non sto discutendo dell’alternativa, ma provando a smontare uno dei tanti inganni che ci vengono propinati da quando siamo nati e le maestre raccoglievano da noi i soldini da dare in beneficienza ai popoli “più sfortunati” di noi.
E comunque, l’alternativa che proponi, quella dell’economia del dono o del baratto, è effettivamente una proposta di uscita dal liberismo, così mi pare di capire che questa necessità sia avvertita e condivisa.
Hai ragione. Sbagliamo entrambi nell’utilizzare il termine ‘creare’.
Il tuo ragionamento è corretto se espresso come: “il libero mercato non NECESSITA di Stati di diritto, ma di Stati di diritto e Stati dittatoriali fantocci degli Stati di diritto”.
Per quanto riguarda la tua domanda, tale divisione nasce nel momento in cui allo stato di diritto si accompagna la nascita (o attualmente la convivenza) del libero mercato. Poichè lo stato di diritto ha come finalità l’uomo al mezzo dei diritti umani, il libero mercato ha come finalità il profitto. Due finalità opposte ed inconciliabili.
Va bene, ma anche sostituendo l’atto di creazione con una necessità esiste ancora un nodo da sciogliere: tu scrivi che lo Stato di diritto crea il libero mercato, nel senso che istituisce formalmente un’insieme di condizioni che permettono il suo perpetrarsi. Su questo sono d’accordo, ma ritengo che ciò non significhi che lo Stato di diritto preceda il libero mercato: anche storicamente, infatti, esso non è che la sua manifestazione sul piano politico e giuridico, un’emanazione sovrastrutturale che è retta da vincoli e rapporti economici.
Sentiamo cosa scrive Foucault: «Storicamente, il processo con cui la borghesia divenne nel corso del XVIII secolo la classe politicamente dominante viene mascherato con l’istituzione di una cornice giuridica esplicita, codificata e formalmente egualitaria, resa possibile dall’organizzazione di un regime rappresentativo parlamentare. Ma lo sviluppo e la generalizzazione di meccanismi disciplinari costituirono l’altro lato – quello buio – di tali processi. La forma giuridica generale che garantiva un sistema di diritti, egualitari in linea di principio, era sorretta da questi minuscoli, quotidiani, fisici meccanismi, da tutti questi sistemi di micro-potere – essenzialmente non-egualitari ed asimmetrici – che noi chiamiamo discipline»
Per concludere (non che abbia molta importanza): chi sei? Lo chiedo così, per soddisfare un capriccio mio. Mi piace sapere con chi sto parlando.
Cerco di riprendere il discorso invitandoti a riflettere su questo articolo. Ovviamente il presupposto è che una visione della vita libertaria contempli anche le libertà economiche oltre a quelle personali – del resto l’economia, anche sotto forma di semplice scambio, tocca singolarmente ognuno di noi…
Che poi il sistema attuale sia marcio… ça va sans dire.
Mi volete dire quindi che quando Robinson Crusoe e Venerdì si scambiavano gli oggetti con un libero scambio, a monte c’era uno Stato di diritto? Quindi è lo Stato che crea il mercato, libero per giunta?
Sul contrasto tra benessere e liberismo, bisogna per prima cosa definirli. Per esempio per me il liberismo è diverso dal tuo. Tu parli di crony capitalism, io di anarchia.
@fabristol: Scusa, hai ragione: quando parlo di liberismo mi riferisco alla sua forma monetarista, quella che la finanza e i grandi paesi occidentali hanno imposto al mondo negli ultimi decenni con la globalizzazione neoliberista, per l’appunto. Ma anche alcune radici più “antiche” del liberismo mi sembrano nient’altro che storielle fallaci inventate ad hoc per ingannare gli individui: che dire della teoria smithiana della “mano invisibile”? Se ciascuno fa il proprio interesse individuale siamo sicuri che alla fine stiamo tutti bene? L’assunto principale del liberismo (nella sua formulazione ottocentesca, fonte Treccani) è la convinzione che «l’individuo lasciato libero sia in grado di scegliere la via che assicuri a lui e quindi alla collettività il massimo beneficio». Come diceva un mio amico non molto tempo fa, basare un sistema economico su questa convinzione è «come basare la fisica sull’assunto che gli atomi sono fatti di marzapane».
Fare il proprio interesse individuale non significa solo “fottere gli altri”, scusa il termine. Nel fare il mio interesse individuale per esempio produco un bene, o lo trasformo e questo viene comprato da un altro individuo il quale per interesse individuale comprerà il prodotto migliore al prezzo più basso. E’ uno scambio libero tra individui liberi e il valore dell’oggetto, al contrario di quanto pensava Marx, è soggettivo. Cioè ci sono individui che danno un valore ad un oggetto diverso rispetto ad altri. Ed è questo valore soggettivo che fa andare avanti la ruota degli interessi individuali.
È qui che, secondo me, casca l’asino. Quando prima mi sono dichiarato d’accordo con il mio amico che dice che basare un sistema economico sulla convinzione che il singolo individuo lasciato libero sia in grado di scegliere ciò che per lui è più conveniente, pensavo proprio a qualcosa che con la tua risposta mi dai modo di esporre.
Sostanzialmente, il discorso sull’individuo, atomo dell’economia e del mercato, che libero è capace di scegliere è fallace per il semplice fatto che l’individuo non è libero di scegliere, nel senso che non prende le sue decisioni avulso da ogni condizionamento sociale: l’individuo non è isolato, vive in mezzo ad altri individui e ne è influenzato nelle scelte. Dire che l’individuo lasciato libero è capace di stabilire ciò che gli conviene potrebbe funzionare come discorso teorico, ma nella realtà l’individuo non è libero.
Se dunque gli individui attribuiscono valori diversi allo stesso oggetto, ciò potrebbe facilmente essere dovuto a condizionamenti esterni rispetto ai singoli individui (e lo è: personalmente trovo quotidianamente conferme dell’esistenza di questi condizionamenti sull’attribuzione del valore a un prodotto).
Scommetto che presto affronteremo il discorso della generale stupidità umana, e della liceità di “fottere” il prossimo o piuttosto, paternalisticamente, “tutelarlo” – con lo Stato, ovviamente e purtroppo.
Monsieur, quello di cui parli si chiama dawkinsianamente un fenotipo esteso. Ovvero la capacità di altri individui di interagire con altri individui utilizzando memi. E questo esiste in qualsiasi società con o senza stato, con o senza libero mercato. E’ una questione biologica prima ancor che sociologica o politica. Ed è lo stesso meccanismo che utilizza lo stato per i suoi interessi: ovvero influenzare le masse per fargli fare delle scelte. Il problema quindi non è se gli individui siano influenzati da altri ma che tipo di influenza vuoi dare. In questo contesto quindi non capisco perché l’influenza dello stato, monopolistica tra l’altro, possa essere meglio dell’influenza dei mercati, policentrica e variabile nel tempo e completamente slegata da ideologia politiche.
Inoltre non è vero che le masse scelgono la stessa cosa. Esistono meccanismi biologici nella specie umana che automaticamente creano gruppi che non seguono la maggioranza.
Esempio della musica: in una classe di studenti (una sorta di società in piccolo) non ci sarà mai l’80% che ascolta pop music. Per reazione ci saranno sempre minoranze che ascolteranno musica alternativa come metal, punk o hip hop. Esempio un po’ stupido lo ammetto ma che cerca di farti capire che i gusti sono spesso legati a scelte individuali, a inlfuenze di massa ma anche a reazioni dalle masse.
Per esempio io non uso facebook, non ho un iphone né un mac, ascolto metal estremo e leggo letteratura fantascientifica, tutti gusti non di massa. Molte di queste scelte sono coscienti, cioè le ho fatte perché ne vedevo i benefici ma molte altre sono sicuro che le ho fatte per reazione alle masse.
Lo stato di diritto non è il frutto del libero mercato, piuttosto non vi può essere libero mercato senza tutela dei diritti, sia in senso liberista ortodosso della « mano invisibile » che a maggior ragione per il pensiero neoliberista. Questo, credo sia il punto cruciale della discussione.
Il mercato è nato quando è comparso il baratto, il mercato libero con il riconoscimento e la tutela dei diritti della sfera economica. Il mercato libero propriamente detto, secondo definizione da vocabolario, probabilmente non esisterà mai ed è solo un modello teorico.
Credo perciò che non si possa parlare di responsabilità del liberismo per le condizioni in cui versano le popolazioni dei paesi in via di sviluppo, in quanto, è lo stesso commercio internazionale a operare in una condizione di quasi anarchia che non è né liberismo (i dazi doganali ne sono la negazione) né neoliberismo (troppo sregolato per esserlo).
La stessa UE adotta in ambito di commercio extracomunitario una strategia fortemente protezionistica (quindi anti liberista) a tutela dei produttori interni.
Il meccanismo dell’interesse personale dovrebbe far muovere l’economia portando le parti ad un punto d’incontro favorevole per entrambi, equo per il produttore ed equo per il consumatore, lo stato deve però intervenire attivamente per fare sì che ciò avvenga.
In paesi come la Nigeria è evidente che manchino le prescrizioni basilari alla realizzazione di questo sistema. Il brasile, che è più evoluto verso la democrazia e i diritti, ha gravi problemi di povertà. Sicuramente il libero mercato e lo stato di diritto da soli non sono sufficienti per la realizzazione del benessere.
Come dici tu Monsieur, chi ci dice che l’individuo non si faccia influenzare e quindi inculare? Aggiungo che il condizionamento esterno non è il solo a ostacolare la scelta corretta, spesso il consumatore non conosce le caratteristica del bene che sta andando ad acquistare, è il caso dell’elettronica, dei farmaci, dei servizi e spesso non conosce il programma del partito o del candidato che sta andando a votare. Penso che questo faccia parte del gioco.
In economia pianificata lo stato ha un altro ruolo, fa da giudice e si interpone fra le parti, scglie lui, così da essere sicuro che l’individuo non la prenda nel culo.
Se dovessi scegliere tra economia di mercato ed economia pianificata come impianti ideologici sceglierei ad occhi chiusi la seconda, considerandoli nella loro applicazione reale preferisco l’economia di mercato ed è solo in quest’ambito che possono essere valutati, al di là della mano invisibile.
Sono poi d’accordo sul fatto che ci sia cibo a sufficienza per tutti ma l’ingordigia della società è un problema culturale che penso prescinda dal liberismo.
Secondo me non è un problema tanto del sistema liberale in quanto tale ma del modo in cui esso è stato utilizzato.
Il concetto di base è semplicissimo : ognuno individualmente persegue i propri fini e lo stato dovrebbe mettere i paletti di diritto della libertà d’ogni persona.
Se ci fossero delle buone norme di contenimento, non si sarebbe arrivati a queste conseguenze e la colpa è soltanto di chi manipola dall’alto la situazione.
Situazione identica per il comunismo : parte da ideali rose e fiori e nel concreto si è ridotto,ad esempio per la russa, ad un cieco fruttamento delle nazioni “sorelle”per il bene della russia.
Il liberismo fallisce nel momento in cui cade nelle mani dei “pochi” che gestiscono la situazione (in seguito ad un diritto inesistente o che politicamente li ha favoriti) facendo si che nascano esigenze inutili come macchine di una certa marca, chicche elettroniche e quant’altro, non contando lo sfruttamento che ,come dici tu, proviene dal “terzo mondo”(anche qui conseguenza di un dirtto inesistente o manipolato dall’elite politica).
Forse il liberismo è il sistema che meglio si presta ad una tale manipolazione elitaria, non so ben dire, ma credo che il problema sia altrove.
A mio avviso il problema sta nella natura “egoista e maligna” umana e nel trovare cosa o chi possa realmente limitarla e contenerla.
Il sistema in se per se non credo IL problema, ma il modo in cui ci si approccia.
Magari il liberismo ha portato a conseguenze X, ma quale sistema risulterebbe realmente infallibile o meno manipolabile dall’alto? Se non c’è una “rivoluzione delle coscienze” a mio avviso hanno fallito tutti gli ideali dell’800 e del 900, liberismo, comunismo e quant’altro e dare “una colpa ” è piuttosto difficile. Per me ogni sistema ha fallito,ogni ideale ha fallito.
Il problema a mio avviso è trovarne una soluzione concreta. Far fallire il liberismo non è così difficile, se lo si vuole.. ma dopo?