Esperimento letterario [1]
Prendi il vassoio. Il blu, non il bianco. Il bianco ha i bordi meno rialzati e poi se uno sceglie la frutta questa rotola via alla minima inclinazione. Prendere la forchetta. Prendere il coltello. Gesti meccanici come quelli di una macchina. Il bicchiere a destra. Capovolgerlo e poggiarlo sul vassoio. Chi c’è oggi a mensa? Che domande, sempre gli stessi. Ah, eccoli. Staranno parlando di com’è andata la lezione e magari di cosa fare oggi pomeriggio. Che domande, cosa potranno mai fare? Studiare per il prossimo esame. Poggiare il vassoio sulla corsia di metallo. Farlo scorrere di un metro, per lasciare spazio al vassoio di quello in fila dietro. Qualche passo in avanti, scavalcando quattro persone ma lasciandosi il vassoio a tenere il posto. Cosa c’è oggi da mangiare? Niente di nuovo. Che stupido, oggi è venerdì. C’è il fritto, ovvio. E la pasta al tonno come primo. Indicare la pasta. Sorridere. Mi porgono il piatto con un movimento automatico. Riconoscono la mia faccia: saranno anni che la vedono quasi tutti i giorni. Il mio nome no, non lo conoscono, e io non conosco il loro. Alzare la mano scuotendo la testa, in segno di diniego, ma ancora sorridendo. Il fritto è troppo pesante, stavolta fa caldo e non è proprio il massimo. Come se lo fosse quando fa freddo. Indicare piuttosto uno dei contorni. Cosa c’è per contorno? Che domande, ci sono le patate. Indicare le patate. Ringraziare, sollevare il vassoio dalla corsia, voltarsi. E affrontare la mensa.
–Allora, come va? Cosa fai in questo periodo?– Ci vediamo tutti i giorni, cosa vuol dire “in questo periodo”? Ma davvero vuole saperlo, davvero riceverà una risposta?
–Ho appena dato un esame, ma…
–E com’è andata? Non ti senti più libero ora?
–…ma non posso riposarmi: oggi inizio a studiare per il prossimo, manca poco tempo.
–Ah, non dirlo a me. In dieci giorni tre esami, devo dare.
–Perché hanno fissato degli appelli così ravvicinati?
–Ce n’erano altri dopo, ma io voglio dare tutto al primo appello disponibile.
–Ah… ho capito.
Una voce proveniente da destra sovrasta il brusio generato dalla moltitudine indistinta di frasi di circostanza. Intere discussioni di circostanza.
–No, non è un diritto! Se uno non lo merita, non lo merita, punto!
Di che stanno parlando? Che domande, di una lezione di stamattina. Discutono del principio secondo cui la formazione universitaria debba essere accessibile a tutti. L’osservazione di qualche collega deve aver innescato il dibattito, magari ponendo una domanda dalla risposta scontata per chi è molto disinvolto in materia.
–…però se dici così sei antidemocratico. E va bene, sono antidemocratico! Se essere per la meritocrazia significa essere contro la democrazia, allora sono contro la democrazia. C’è bisogno di competenza, non di elemosine caritatevoli.
–Ma quali elemosine? Quello ha solo fatto una domanda su una parte della lezione che non aveva capito! Una lezione è una lezione, ogni domanda è legittima…
–Sarà legittima quanto vuoi. Per quanto mi riguarda, poteva chiedere qualunque cosa. Tu non sai quanto ho goduto!
–Che… goduto per cosa?
–Come sarebbe “per cosa”? Non aveva capito nessuno! Nes-su-no, tranne me. Ah, quanto ho goduto!
Basta. Correre ai ripari. Alzarsi, ritirata, abbandonare l’arena.
–Buono studio, ci vediamo.
Contro la democrazia, che discorsi assurdi. Queste non sono più semplici discussioni di circostanza. L’impressione è che le discussioni di circostanza normalmente coprano come un velo, una patina, la superficie viva del mostro. Quanti saranno d’accordo? Ma consapevolmente o inconsapevolmente? Che domande, sono stati abituati così, è connaturato alla struttura di questo posto. Loro lo pensano veramente. Quando chiedono “allora, come va?”; quando si interessano, “cosa fai in questo periodo?”; quando informano, “in dieci giorni tre esami”. Quando entrano a mensa, scelgono il vassoio, lo spingono lungo la corsia di metallo, indicano il pasto desiderato, prendono posto ai tavoli. In ogni momento, sanno che la meritocrazia è meglio della democrazia. È il leitmotiv, il filo conduttore, la chiave di volta che tiene insieme tutta la baracca.
–Grazie, buonasera.
Controllare la data di scadenza del prestito. Due mesi. Poco male, meno della metà del tempo e l’esame sarà passato. È così che passa il tempo: passando gli esami. Colazione, studio, lezione. Mensa. Lezione, studio, mensa. Letto.
Ventotto, ventinove, trenta. Trenta e lode, trenta, ventinove.
Una gamma poco vasta di numeri, una varietà molto scarsa di luoghi e azioni. Studio cose interessanti. E la mia vita è interessante? A che età si comincia a considerare interessante una vita monotona? Rispetto delle scadenze, aderenza ai parametri di valutazione: la chiave per il prestigio accademico e per il successo professionale. A chi suscita interesse? A me interessa? Che domande, certo che mi interessa, soprattutto di questi tempi. Il lavoro mica lo regalano, conviene rientrare nei criteri richiesti dal mercato.
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oh, e in questa routine io dove sto?
comunque bello, sns (di pisa) inspired?
Appunto, non ci sei: è una routine totalitaria, che non ammette concorrenti.
La fonte di ispirazione mi pare piuttosto evidente. Comunque cara Noe dovresti essere contenta di non far parte della routine, tutto ciò che è routine perde di spessore ai nostri occhi e, per quanto potresti desiderare una perdita di spessore fisico, meglio mantenerlo e conservare anche quello agli occhi di Monsiuer e degli altri.