Un marchio a 5 stelle [3]
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Qui la prima parte e la parte introduttiva, qui la seconda parte.
Distruggere la concorrenza. La cosa che più colpisce in tantissimi grillini è la cieca convinzione che il M5S sia l’unica alternativa possibile, l’unica via percorribile. Questa è una componente fondamentale della retorica di Grillo e degli attivisti del suo movimento: «senza di noi ci sarebbero i nazisti», «o con noi o con i ladri», «chi ci critica non dà alternative serie», e così via. Tale convinzione è alimentata parallelamente da una scarsissima profondità di analisi e memoria storica: a sentirli, pare che portare un panettiere o un salumiere in consiglio comunale sia una rivoluzione, ma dimenticano che il PCI portava gli operai in parlamento; pare che le mobilitazioni contro le grandi opere non ci sarebbero state senza l’appoggio decisivo del M5S, ma dimenticano che, per esempio, il movimento NoTav e quello contro il nucleare sono esperienze decennali; pare che nessun partito politico abbia mai destinato parte degli stipendi degli eletti ad attività diverse da quelle connesse alle tasche private dei singoli, ma dimenticano, per esempio, Rifondazione comunista; pare che i referendum contro la privatizzazione dell’acqua siano stati una vittoria politica del M5S, ma dimenticano quello che fu il popolo di Genova; insomma, esattamente come il blog di Beppe Grillo, anche il M5S si vanta di essere «il primo», e ciò fa parte della strategia finalizzata a renderlo appetibile agli occhi dei cittadini (smemorati): se tutto il resto non esiste e non è mai esistito, rimane solo il M5S.
Il primo metodo adottato dal marchio M5S per eliminare la concorrenza consiste dunque nel proporsi come unica vera via: tutte le altre alternative sono dimenticate o bollate come «poco serie».
Il secondo modo è espandersi invadendo “nicchie” simili nel panorama dei marchi: per tutelarsi dalla “contraffazione”, Grillo ha registrato anche simboli simili a quello del M5S che potrebbero essere adottati da “cloni” che si dicano forza alternativa, come ad esempio “Pirati a 5 stelle” (vedi). Come se la Nike detenesse diritti non solo per lo “swoosh” ma anche per i simboli simili apposti sulla merce contraffatta (in realtà ciò non avviene, perché per la multinazionale la diffusione del logo è un vantaggio a prescindere dal profitto diretto derivante dalla vendita dei singoli prodotti: bisogna ricordare che l’opera di costruzione del marchio è qualcosa di trascendente, e che se circolano simboli che imitano il logo della Nike, è tutta pubblicità gratuita per il “logo madre” che ne trarrà il vantaggio; ciò non accade per il M5S perché, diversamente dalla Nike, il suo spirito include l’idea di unicità, sopra menzionata, che sarebbe compromessa da una sfilza di loghi di imitazione).
A questo punto, è chiaro il motivo per cui il dissenso provoca reazioni come quella del comunicato di dieci giorni fa: Beppe Grillo è un marchio. In quanto marchio, ambisce invariabilmente all’egemonia e al monopolio non solo commerciale ma anche culturale.
Qualcuno, come Favia, che si proponga come innovatore dall’interno del movimento priva Grillo del suo ruolo: l’innovatore è lui e non deve esserlo nessun altro. In quest’ottica, la cacciata di Favia è dettata più da motivi di natura aziendale che da problemi politici: quello di Favia è un dissenso che si manifesta prima di tutto come rottura dell’incanto maturato attraverso il branding intorno al marchio di Grillo. Infatti l’espulsione, prima che politica è legale: a Favia viene fatto divieto di utilizzare il logo a cinque stelle o di riferirsi al M5S o alla figura di Grillo (vedi). Il problema quindi non è nelle azioni politiche di Favia, il disaccordo non è sui programmi, il vero problema è che la figura di Grillo deve rimanere immacolata, intaccata, unica nell’impersonare l’idea.
Come la Nike che, quando la figura di Michael Jordan diventò troppo ingombrante e si configurò come marchio in competizione con gli altri, compreso quello della Nike stessa, decise di mollarlo, allo stesso modo Grillo, nel momento in cui emerge qualche “marchio” come Favia che rischia di scalfire parte della sua fetta di “mercato delle idee” (ma non solo idee…) imperniata sul concetto del “nuovo”, fa di tutto per eliminare la concorrenza, lo boicotta, lo ostacola, lo ripugna, lo espelle, anche se è diretta emanazione del suo marchio. Anzi, proprio perché è diretta emanazione, e dunque condivide il retroterra culturale e gli elementi particolari del carattere aziendale, appena si fa strada un barlume di indipendenza e autonomia questo mette in pericolo l’egemonia del marchio.
Del resto, se è vero che Grillo è un marchio, e che il marchio è espressione della globalizzazione neoliberista e strumento delle multinazionali, è anche vero, come ha sostenuto Noam Chomsky, che «una multinazionale è più vicina al totalitarismo di qualunque altra istituzione umana».
Short Link:
È la volta buona che Nello smette di andare agli show del “comico”… 😀
Complimenti comunque per l’analisi. Anche a me il così detto “M5S” è sempre parso anzitutto marketing. Non diversamente da TUTTI gli altri partiti, del resto…
[…] la prima, la seconda e la terza parte e attendo commenti e […]
È la volta buona che Nello smette di andare agli show del “comico”…
Perché dovrebbe essere quella buona? Da mesi sostengo queste posizioni, non vedo come scriverle qui ora possa cambiare qualcosa. Eppoi mica sono un “opinion maker”.
A me il così detto “M5S” è sempre parso anzitutto marketing. Non diversamente da TUTTI gli altri partiti
Scommetto che questa l’hai scritta apposta per provocare una mia reazione.
Conosco il tuo scetticismo sul concetto di rappresentanza, ma dovresti riconoscere che c’è una differenza sostanziale tra un M5S e un PCI, un PRI o un PLI: il fine. I vecchi partiti, per la maggior parte, nacquero come strumenti per cambiare la società; il M5S è sempre stato impostato, fin dall’inizio, come un enorme esperimento di marketing finalizzato essenzialmente al profitto.
Magari la tua opinione la posso capire in relazione a partiti più recenti, in cui tutto è subordinato all’immagine, a sponsor e branding, ma che in periodi recenti si sia affermata questa tendenza (tra le democrazia rappresentative, solo in Italia e in USA con Obama, che io sappia) è dovuto solo alla capillarità della cultura aziendale, che ci ha invasi in tutti gli ambiti.
«Dopo alcuni anni di concerti della Molson, visite papali sponsorizzate Pepsi, zoo Izod e corsi doposcuola di basket della Nike, si crede che tutto abbia bisogno di uno sponsor.
Ci convinciamo tutti che non sono le aziende che scroccano un passaggio alla nostra cultura e alle nostre iniziative pubbliche, ma che la creatività e la congregazione non sarebbero possibili senza la loro generosità»
Ecco, questo è il passo della Klein che mi sembra utile alla comprensione del fenomeno: il capovolgimento di ruoli tra sponsor e sponsorizzato.
Insomma, restano delle differenze: non tutti i partiti sono o erano come il M5S o Forza Italia.
lo spettacolo inteso come show comico è apprezzabile, le considerazioni politiche sono altro; comunque io mi so mettere in discussione, e qualche volta anche pesantemente, quindi nessun problema 🙂
Il fatto è che in questo caso show comico e comizio politico sono indistinguibili, e con questa scusa il guru può permettersi di lasciarsi andare a considerazioni paurose; l’indistinguibilità e l’assenza di confine tra il Grillo comico e il Grillo politico sono anche gli strumenti di difesa più utilizzati dai sostenitori: «ma lasciatelo stare, lui stava scherzando, non fatene una tragedia!» mi ricorda, come fosse ieri, il modo con cui si giustificavano le uscite grottesche di Berlusconi.
Inoltre, questa pericolosa mescolanza tra i due ruoli porta a pensare che se piace il suo spettacolo allora automaticamente Grillo diventa una valida alternativa politica.
ok mea culpa, il prossimo sarà un voto dadaista…
Chissà se Edo ci sta leggendo…
“Grillo pericoloso? ma dopo tutto quello che hanno fatto questi qui, adesso il problema è Grillo? Niente può essere peggio di quello che abbiamo visto in questi ultimi vent’anni. Preferisco questi giovani di Grillo a una classe politica dove si contano circa 150 indagati… come mai voi giornalisti non pensate a questo? Ci sarà la rivoluzione? E allora ci sarà, va bene così”
[Franco Battiato]
“Niente può essere peggio di quello che abbiamo visto in questi ultimi vent’anni” è stato il cavallo di battaglia della scesa in campo di Berlusconi dopo tangentopoli.
Poi, non so più come dirlo, che il M5S sia contro la corruzione non può che farmi piacere, ma non basta. Come si fa a non rendersi conto che non basta? Voglio dire, questi non vogliono indagati e condannati tra le loro fila (cosa peraltro discutibile, se non si contestualizza, perché il “senza se e senza ma” è un tipo di approccio totalitario e anche abbastanza cieco e forcaiolo: un attivista di movimento condannato per un blocco stradale o per un’occupazione di protesta è inaccettabile? Consiglio un commentino di Evangelisti sull’argomento) però poi non hanno una posizione (e attenzione, intendo una posizione di movimento, non posizioni personali dei singoli; lo dico per anticipare contestazioni già incontrate in passato, che dicevano: “ma io una posizione ce l’ho!”) sulla questione di genere (se non una mediocre affezione per il feticcio delle quote rosa), sui diritti omosessuali, sulla questione del lavoro, sul sistema carcerario, hanno addirittura posizioni cripto-xenofobe in materia di immigrazione e cripto-fasciste in materia di antifascismo, né infine poggiano il proprio agire politico su solide basi di analisi della società o su un retroterra politico e storico.
Cosa vogliono? Cacciare i corrotti. E dopo? Mettere al governo un tecnico imparziale che applichi i dettami del suo campo di specializzazione, avulso da condizionamenti ideologici, in linea con la retorica dell’Uomo Qualunque, secondo cui “per governare uno Stato basta un bravo statista”? Questo sosteneva Grillo fino all’arrivo di Monti, poi ecco serviti i tecnici ed ecco distrutto uno dei maggiori pilastri della sua retorica.
Anche a me, come a Battiato, possono piacere i “giovani di Grillo” che si rimboccano le mani per cambiare le cose. Ma bisogna sapere anche come cambiarle e in cosa trasformarle. Insomma, ancora una volta: sono stato un grillino anch’io. Ma queste sono derive narcisistiche e (tendenzialmente) autoritarie che ipnotizzano il ceto medio e la piccola borghesia, non politica.
Ottima analisi che condivido totalmente, sicuramente c’è una pericolosità insita in quel modo di agire, in quanto i delusi potrebbero non reagire tutti come stanno ora facendo quelli attuali, e cioè civilmente e facendo il punto della situazione.
Riguardo un errore di battitura, mi permetto di farti notare (se capisco bene) che volessi scrivere “inattaccata” anziché intaccata”.
In realtà intendevo proprio “intaccata”, ma dopo tutto il senso rimane sempre quello.
Comunque, il punto non è se i dissidenti siano civili ed educati o meno, ma se siano in grado di affrontare la questione su un piano politico anziché di immagine e di marchio. E, viste le premesse, lo trovo molto difficile: c’è pochissimo contenuto politico nel contenitore a cinque stelle.
Davvero riflessione interessante e nuova, che non fa altro che aggiungere un altra motivazione per ritenere questo non-movimento la farsa delle farse.
La mancanza di una “posizione di movimento” si nota ancor più quando non è presente all’ interno del programma un filo conduttore che sappia legare le lotte territoriali tra loro e ad una lotta comune. Poco fa non mi ricordo dove leggevo di questa consigliera comunale grillina fervente sostenitrice del referendum sull acqua a suo tempo e che in una dichiarazione di pochi giorni fa ha detto che si è rotta le palle di questi ferrovieri che scioperano tutti i giorni anzichè fornire il servizio adeguato… sostengono il movimento notav, scendono in piazza una volta ogni tanto per mandare affanculo il loro target di turno e poi tutto svanisce in una nuvola di fumo e in un’ imperscrutabile teoria neo-masso-cripto-complottista a cui manca una chiara analisi dei processi sociali.
Comportamento che ricorda altri soggetti, vedi Partito Pirata (praticamente i grillini europei), che cavalcando l’ onda delle “questioni hacker” sono partiti alla carica senza saper costruire attorno a questi temi un discorso omogeneo che possa cogliere nel sistema capitalistico l’ origine dei problemi che la cultura deve affrontare, ma anzi addirittura cascando nella facile trappola dell’ anarco-capitalismo.
Tra l’ altro, non sarà casuale il confronto, questi sono stati proprio al centro di un altra vicendo legale in merito all’ utilizzo indebito del logo “Partito Pirata”.
@Florian
A proposito di rapporti tra M5S e movimento NoTav: tra i fondatori della Casaleggio Associati e tra i suoi maggiori soci fino a due mesi fa, quando ha lasciato per motivi di altra natura (vedi), c’è Enrico Sassoon, il cui nome compare anche in uno degli articoli citati sopra, nella seconda parte. Questo bricconcello, oltre a essere consulente aziendale del M5S, in quanto appartenente alla Casaleggio Associati, fa parte anche di un cartello di aziende private noto come American Chamber of Commerce, in cui riveste un ruolo di importanza non irrilevante: è membro del Board of directors che gestisce la sezione italiana della lobby. Scopo dichiarato del cartello è «sviluppare e favorire le relazioni economiche, culturali e politiche tra gli Stati Uniti d’America e l’Italia, di promuovere e tutelare gli interessi dei propri associati nell’ambito dell’attività di business tra i due Paesi e di diffondere tra i propri associati le informazioni relative alla propria attività». Tra questi associati i cui interessi sono “per statuto” tutelati da Sassoon, c’è la Impregilo S.p.A, cioè l’azienda costruttrice di TAV e Ponte.
Grillo può sgolarsi quanto vuole contro le grandi opere inutili.
Per quanto riguarda il Partito Pirata, perlomeno loro non hanno una visione feticistica della rete, anzi sono addirittura intervenuti nel dibattito pubblico qualche mese fa criticando il feticismo del M5S. Del resto, le “parlamentarie” del M5S parlano chiaro: un flop colossale.
Non concordo molto sulla conclusione riguardo il PP, ricordiamoci che loro sono i sostenitori del celebre Liquid Feedback cura per tutti i mali, e che ad una presentazione a cui ho partecipato io stesso il pirata di turno ha esordito con “dato che i movimenti non hanno mai concluso un cazzo, questa è la prova che quello che ci mancava era internet”!
non per andare ot, ma i pirati hanno davvero quasi tutto in comune con i grilli, dal populismo sfrenato agli occhiolini con i nazi…
Non conosco molto i Pirati, ma le tendenze che riporti di aver conosciuto per esperienza mi sembrano più il sintomo della crisi del concetto di rappresentanza che una loro caratteristica particolare. Da qualche parte di recente ho trovato un’analisi di classe del fenomeno, secondo cui l’ascesa dei pirati nel nord Europa corrisponde alla presa di coscienza dei lavoratori sfruttati dal capitalismo nel settore cognitivo. Non conoscendoli abbastanza, non sono in grado di dire quanto questa descrizione sia sensata e attinente al reale, ma sono sicuro che lo stesso non potrebbe mai dirsi del M5S.
Per esempio, mi sembrano lucidi quando dicono: «Siamo un partito che lotta contro ogni logo, come potremmo simpatizzare con chi detiene il monopolio di un marchio?».
Questo articolo uscito su Left mi pare interessante: http://www.left.it/2012/12/06/pirati-il-partito-della-rete/7823/