L’orgasmo della mente
«Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».
Mahatma Gandhi
Non esiste aspetto della nostra vita che non sia in qualche modo influenzato dai rapporti sociali che, come singoli, intratteniamo con i nostri simili. Fin da quando nasciamo, il nostro cervello ancora in sviluppo risente della presenza dell’ambiente culturale, della rete di relazioni interpersonali, della simbologia del linguaggio: da queste cose esso è plasmato, sia metaforicamente che materialmente. Il nostro modo di vivere, di parlare, di pensare, di amare, di relazionarci, dipende in ultima analisi dall’influenza che la società esercita su di noi, attraverso la creazione e trasmissione di valori, l’insegnamento della cultura, i condizionamenti cognitivi del linguaggio, la tendenza all’omologazione, la pressione conformista. Siamo imbrigliati in ogni nostra azione, siamo vincolati da gabbie invisibili che confinano l’Io alle sole regioni permesse dai rapporti sociali.
Prendere coscienza di questo è il primo passo verso la liberazione individuale, che precede, accompagna e segue la liberazione sociale: senza la prima, la seconda è vuota; senza la seconda, la prima è sterile. Una rivoluzione per potersi definire tale deve comprendere, in senso etimologico, la rottura, la discontinuità, nell’approccio che il singolo ha rispetto alla società e alla natura: deve comportare un ribaltamento nella visione del mondo.
Potrebbe forse sembrare, da ciò che si è detto, che liberazione individuale e liberazione sociale siano due cose separate, nettamente distinguibili. Non è così. Le due cose possono commistionarsi insieme a dare una liberazione dell’Io in funzione della liberazione sociale, la quale risulta dall’incontro degli Io liberati e dal conseguente potenziale di rottura esplosiva.
Quando si dice che noi «dobbiamo essere i primi a cambiare» si intende questo: la necessità di stravolgere gli schemi e i canoni imposti. A partire dalla scelta del prodotto da acquistare, per finire con il modo di camminare, definito dalla psicogeografia situazionista, passando per il modo di interpretare le azioni di altre persone e addirittura di noi stessi, per l’atteggiamento che adottiamo quando viviamo un’esperienza nuova, per la scelta di ciò che mangiamo, per il modo di usare uno strumento di comunicazione, per il nostro modo di vivere le relazioni sociali e affettive, i nostri amori, le nostre soddisfazioni, le nostre delusioni. Si può diventare un ingranaggio inceppato. Un ingranaggio inceppato ostacola il funzionamento della macchina. Non serve moltiplicare i propri punti di rottura. A volte ne basta uno per scatenare un’energia con forte carica rivoluzionaria. È un atto politico, di lotta. Un atto che inizia dalla mente, dalla persona.
La forza politica si produce quando le alternative si traducono in reale, invadono la vita delle persone, la abbracciano, si compenetrano in essa. Quando l’arte, la cultura, il linguaggio, le singole azioni, entrano nella lotta, assumono un significato permeando la nostra vita in ogni suo momento e unificando la vita stessa con la lotta. Allora forse si può vincere.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=lr7J5Wf28sw]
Short Link:
Molto bello, sono d’accordo!
[…] parola ma anche alla sfera concettuale richiamata dalla parola stessa. Invece il linguaggio deve entrare nella lotta, perché il linguaggio nutre e precede il pensiero e plasma la mente. Negli Stati Uniti dicono: […]
Sempre a proposito di spunti “situazionisti”, segnalo tre articoli in linea con l’idea sopra espressa della necessità di svincolarsi radicalmente dagli schemi imposti, anche in quei campi che sembrano non sottoposti a vincoli e imposizioni sociali di sorta.
Il primo (in inglese) sulla necessità di costruire sacche di resistenza che siano “invisibili”, comprende anche un buon riassunto dell’affaire Tarnac e una breve recensione de “L’insurrection qui vient” del Comitato Invisibile. Qui.
Il secondo sul coinvolgimento e la passione che ha preso gli studenti canadesi, da tre mesi in rivolta permamente (letteralmente, sia per quanto riguarda la rivolta sia per quanto riguarda la permanenza) qui.
L’ultimo è una riflessione di Wu Ming 1 sull’importanza e la centralità dei tempi, spesso dimenticati e trascurati a favore degli spazi rivendicati a più riprese dai movimenti sociali locali. Invece lo spazio non è più importante del tempo (vi ricordo questo articolo): entrambi sono terreni di lotta paralleli. Anzi sono proprio lo stesso terreno. Qui.
è proprio così che deve essere, e d’altronde non avrebbe alcun senso non cambiare le proprie abitudini e non dare senso di lotta a quotidiano perchè nel caso di un cambiamento sociale ci troveremo in un modo nuovo con abitudini appartenenti al mondo che non volevamo.
«nel caso di un cambiamento sociale ci troveremo in un modo nuovo con abitudini appartenenti al mondo che non volevamo» (immagino tu volessi scrivere “mondo”)
In realtà quello che voglio dire è che non può esserci cambiamento sociale senza cambiamento di abitudini. Immaginare che possa esserci il primo senza il secondo, come se le due cose non fossero interdipendenti, è una fantasia romantica e distorta. Per questo sopra, parlando di liberazione individuale e liberazione sociale, ho scritto «senza la prima, la seconda è vuota; senza la seconda, la prima è sterile».
Insomma, mi suona male l’espressione «nel caso di un cambiamento sociale»: sembra quasi che dobbiamo aspettarcelo come evento naturale o soprannaturale e dunque inevitabile. Le profezie lasciamole ai Maya.
[…] diffuso sia su Twitter che via blog accompagnandolo ad altri due articoli (li trovate linkati qui) che secondo me bene interpretano l’esigenza di rompere rispetto alle imposizioni sociali e i […]