Il migliore dei mondi possibili al tempo del pensiero unico
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Riporto in versione integrale una discussione digitale avvenuta tra me e alcuni miei amici (uno in particolare), che spero possa dare spunti di riflessione ai lettori. La continuazione del dibattito è naturalmente benvenuta.
La discussione si articola inizialmente su un video, che in realtà non è indispensabile vedere (e non costa nulla, è breve) per poter comprendere il resto. Basti sapere che si parla di decrescita: un esponente del Movimento 5 Stelle, Giovanni Favia, sostiene la teoria della decrescita, mentre il responsabile di economia del Pd di Ferrara, Luigi Marattin, la boccia come inconsistente.
Giuseppe: Devo ammettere di non essere molto informato sul tema della decrescita. Però nessuno dei due dice cazzate. È vero, come dice Marattin, che il segno + davanti al PIL ci vuole, ma è anche vero, come dice Favia, che se fai un incidente e deve venire ambulanza, carrattrezzi, eccetera, il PIL cresce, ma non è che noi stiamo effettivamente meglio.. Credo il tema sia piuttosto complicato, non a caso ci sta lavorando Stiglitz.
Tancredi: Sono sicuramente meno informato di te sul tema. Comunque sì, sono d’accordo con ciò che dici.
Piero: Perché dovrebbe essere indiscutibilmente vero, ovvio ed evidente che «il segno + davanti al PIL ci vuole»? Io non ci trovo un minimo di questa verità, ovvietà ed evidenza.
Giuseppe: Perché, ad oggi, rimane il miglior indicatore di cui disponiamo per misurare il benessere di un paese. Come dice Marattin nel video, il segno – davanti al PIL vuol dire licenziati, disoccupati e cassintregrati. Se poi vogliamo discutere del sistema malato, che non funziona, di diversi modelli di sviluppo economico, quello è altro conto. Allo stato attuale delle cose dovremmo sempre augurarci di avere il segno + davanti al PIL.
Piero: Sinceramente mi auguro che si riesca a scardinare il sistema malato basato sulla necessità di avere sempre il segno + davanti al PIL. Proprio perché allo stato attuale di cose un PIL negativo significa licenziati, disoccupati, cassintegrati io penso che il mito del PIL sia un’arma dei padroni con cui questi possono ricattare il resto della società, come con lo spread e la morbosa ricerca di approvazione di scelte politiche da parte dei mercati, considerati come un’entità astratta ed impersonale. «Aboliamo l’articolo 18 altrimenti lo spread sale! Tagliamo le borse di studio, ce lo chiedono i mercati! Privatizziamo tutto o il PIL va in rosso!».
La questione, per come la poni («allo stato attuale di cose»), sembra non potersi risolvere in alcuna alternativa al neoliberismo e al capitalismo finanziario, sembra che il fatto che il PIL debba essere sempre positivo sia una legge inconfutabile della natura. Allora io dico che non mi accontento di augurarmi un PIL in crescita allo stato attuale di cose, ma che voglio cambiarlo, lo stato attuale di cose. Non so se mi spiego.
Eppoi esistono anche queste cose: http://www.benessereinternolordo.net/
Scusa per i pensieri espressi confusamente.
Tancredi: Se il segno più non vuol dire necessariamente incremento del benessere, il segno meno vuol dire disoccupazione. Se ciascuno di noi incominciasse a consumare solo i prodotti del proprio orto il PIL diminuirebbe, probabilmente aumenterebbe il nostro benessere (magari si tratta di prodotti biologici, poi diminuisce anche l’inquinamento) ma diminuirebbe quello di chi fino ad ora ha lavorato nel settore agricolo (che si trova senza lavoro).
Se si fanno degli altri interventi e si trovano delle soluzioni a questa contropartita della diminuzione del PIL allora la cosa funziona, altrimenti, come dice Marattin più realisticamente, sarebbe meglio parlare di “conversione dell’economia”/“qualificazione della crescita”.
Piero: Ma (molto riduttivamente e semplicisticamente) il lavoratore del settore agricolo che si trova senza lavoro non può anche lui coltivare come tutti gli altri? Immagina un attimo: tutti coltivano e chi non può coltivare ne riceve un po’ dagli altri, «todo para todos, nada para nosotros».
Jack: Ragazzi non scordiamoci cosa diceva Toni Negri riguardo al fatto che possiamo lasciare alle macchine il lavoro alienante (me lo posso anche essere sognato, ma mi ricordo così).
Giuseppe: Il PIL misura il valore totale (al netto dell’inflazione) dei beni prodotti durante l’anno da un paese. In altre parole, è una misura della produzione industriale. Ora, si può immaginare un mondo in cui si produce di meno, lavorando di più? Se la produzione cala, diminuisce anche il bisogno di forza-lavoro e, quindi, aumenta la disoccupazione. Personalmente, non riesco ad immaginare come si potrebbe avere più occupazione producendo di meno. Data questa premessa, il PIL è e resta un importante indicatore per la situazione economica di un paese e, qualsiasi modello di sviluppo abbiamo in testa non possiamo non preoccuparci dell’andamento del PIL.
Il capitalismo resta ad oggi il miglior sistema economico che si sia riusciti ad attuare. È’ sicuramente pieno di difetti e aspetti “oscuri” ma ciò non toglie che si possa migliorare (ed è a questo che gli economisti lavorano, anche se qualcuno li immagina come degli stregoni malvagi pronti a tutto pur di conquistare il mondo). Anche la finanza rapprenta un miglioramento del capitalismo, contrariamente a quanto si possa pensare. Costituisce un ottimo strumento per la circolazione dei capitali e fornisce a tutti (non solo ai superpotenti) la possibilità di rimediare denaro più velocemente e facilmente per i propri investimenti. Anche la finanza poi è piena di difetti e se ha portato all’attuale crisi, è a causa di giochi di potere e dell’eccessiva innovazione che si è avuta in mancanza di regole e che ha portato alla creazione di strumenti semi-sconosciuti e pericolosi (vedi muti sub-prime, securisation, abs, cdo e via dicendo).
Poi possiamo anche decidere di tornare ognuno a coltivare la propria terra, ma lo sviluppo e il progresso hanno un prezzo e, onestamente, a periodiche epidemia di colera o che altro, preferisco periodiche crisi finanziarie che, in un modo o nell’altro, si superano sempre.
Piero: Mi sembra di capire che facciamo partire i nostri ragionamenti da basi troppo differenti e inconciliabili: io di sinistra, tu di destra.
Se non riesci a immaginare come si possa avere più occupazione producendo di meno posso proporre un’idea: lavorare tutti e meno, la produzione globale del pianeta è di moltissimo superiore ai reali bisogni della popolazione mondiale. Per fare un esempio, c’è cibo a sufficienza per sfamare ben più dei 7 miliardi di persone, eppure quasi 2 miliardi soffrono cronicamente la fame. Lo sai perché? Grazie all’amato capitalismo e alla globalizzazione neoliberista, una manciata di multinazionali sottraggono terreno all’agricoltura di sussistenza sfruttandolo per piantagioni di té, tabacco e caffè, perché sono più produttive, competitive sul mercato globale e quindi «aumentano il PIL». Ma è più importante aumentare il PIL o dare da mangiare a milioni di famiglie espropriate della propria terra?
E poi, gli aspetti “oscuri” del capitalismo e della finanza, la perfettibilità del sistema, l’elogio della finanza buona contro quei cattivoni degli speculatori che ci hanno portato all’attuale crisi. Questa storia che c’è un capitalismo cattivo e uno buono è un meme che si ripete come un mantra ogniqualvolta si metta in discussione la struttura intrinseca del modo di produzione, di accumulazione e di distribuzione attuali. Il capitalismo è intrinsecamente ingiusto, puoi provare a migliorarlo, ma con scarso, anzi scarsissimo successo. Questo era l’obiettivo dei partiti socialisti, riformisti e socialdemocratici di tutto il Novecento e dove ci hanno portato? A miliardi di morti di fame e ad un’isola di pace e prosperità (a dir la verità ultimamente neanche molto sicura) in un oceano di povertà e guerra.
Con questo non propongo assolutamente di tornare ognuno a coltivare la propria terra, come qualche decrescitista e comunitarista dell’ultim’ora, nostalgico dei bei tempi andati del Medio Evo. Se è questo che hai capito dovrei scrivere molto di più fino a farmi venire l’artrite e la tendinite insieme, perché in sostanza e molto in breve, quello che propongo è la rivoluzione (e non perché sono un romantico o un utopista o un idealista o un pericolosissimo marxista rosso, che sono tutti appellativi con cui, se vuoi, puoi anche chiamarmi).
Giuseppe: Sicuramente hai ragione nel dire che partiamo da basi differenti: io cerco di basarmi sui fatti, tu mi sembra più sulle ideologie. Scusa ma non mi prendo nemmeno la briga di rispondere alla tua prima frase. Certi argomenti mi sembrano fatti più di retorica che di logica.
Demonizzare il capitalismo per intero basandosi sui suoi mali mi sembra un po’ ipocrita. La nostra democrazia ha tanti difetti e spesso ci lamentiamo di come non funzioni a dovere, eppure continuiamo a ritenerla il modello migliore e a cui tendere di giorno in giorno. Perchè allora alcuni aspetti negativi del capitalismo, dovrebbero rendere tutto il capitalismo stesso un sistema marcio?
Le ruberie e le devastazioni delle grosse multinazionali nei paesi del terzo mondo rappresentanto sicuramente uno dei mali del capitalismo, ma ciò è dovuto più alla mancanza di regole e, spesso, alla complicità dei governi di quei paesi, più che all’ingiustizia intrinseca del capitalismo. L’Italia e i paesi occidentali sono costellati di multinazionali, eppure non mi sembra che noi facciamo la fame.
Su quali basi affermi che il capitalismo sia “intrinsecamente ingiusto”? Se ci ispiriamo ai principi, quelli del capitalismo mi sembrano anche preferibili: il merito viene premiato, il denaro ripaga i tuoi sforzi, per cui “chi fa di più avrà di più”; mi sembra molto meglio che “chi fa di più avrà quanto gli altri”, indipendentemente dagli sforzi. L’uguaglianza va garantita nei punti di partenza, nelle capacità potenziali, non nel punto di arrivo. So bene che la realtà del capitalismo attuale è ben diversa e spesso succede tutto il contrario di quel che dovrebbe, ma d’altronde non mi pare che nell’URSS (o in altri paesi che hanno sperimentato sistemi di produzione comunista/socialista) tutti fossero felici e contenti, anzi. Mi dirai che non si è mai avuta una vera forma di comunismo nella storia, ti posso rispondere con la stessa argomentazione che non si è mai avuta una forma di capitalismo perfetto, ma possiamo sempre provare ad avvicinarci un po’.
Facciamo la rivoluzione, e poi? In cosa consisterebbe questa rivoluzione? Cosa dovrebbe venire dopo? Il mondo delle favole è bello e attraente, ma la realtà, purtroppo, è tutta altra cosa.
Piero: Ho riletto diverse volte la mia prima frase per cercare che cosa la rendesse poco logica. Ho avuto scarso successo, quindi ignorerò anche io questa sottile arroganza.
Tu dici «io cerco di basarmi sui fatti, tu mi sembra più sulle ideologie»; mi sembra di aver riportato alcuni fatti, come i monopoli della distribuzione alimentare e i tentativi storici fallimentari di indirizzare socialmente il capitalismo. Che questi siano fatti è innegabile, come è innegabile che per argomentare la mia posizione io mi sia basato su di essi. Non capisco quindi perché dici che non mi baso sui fatti ma sull’ideologia. Cosa intendi per ideologia? Per me è uno strumento di interpretazione della realtà, quindi non è da contrapporsi ai fatti. Se hai intenzione di rispondere che è necessario abbandonare l’ideologia per basarsi sui fatti oggettivi, metto le mani avanti dicendo che ritengo che ciò sia impossibile: i fatti, comunque vada, qualunque sia la loro natura, vanno interpretati e la interpretazione che se ne dà costituisce l’ideologia; abbandonare l’ideologia significa abbandonare l’interpretazione dei fatti, il che a mio parere non è una cosa sensata. Ovviamente va da sé che questo discorso vale soltanto se per ideologia io ho inteso ciò che tu intendevi.
Tu dici: «la nostra democrazia ha tanti difetti […] eppure continuiamo a ritenerla il modello migliore e a cui tendere di giorno in giorno. Perchè allora alcuni aspetti negativi del capitalismo, dovrebbero rendere tutto il capitalismo stesso un sistema marcio?»
Personalmente (ma non è vero che tutti, indistintamente, ritengono la democrazia il modello migliore: chiediamolo agli anarchici individualisti, ai fondamentalisti islamici, ai nostalgici fascisti. Come vedi, ci sono delle minoranze non democratiche), io credo che la democrazia sia la migliore forma decisionale e ciò nonostante gli innumerevoli difetti che ha e che, come dici, spesso ci troviamo a lamentare e denunciare. Perché: perché ritengo che i principi fondamentali della democrazia siano giusti.
Contrariamente, ritengo che siano intrinsecamente ingiusti i principi fondamentali del capitalismo: proprietà privata dei mezzi di produzione, privatizzazione dei profitti, socializzazione delle perdite, darwinismo sociale. Quindi non vedo come da parte mia respingere il capitalismo sia ipocrita. Semplicemente non è conciliabile con alcuni principi in cui mi riconosco.
Tu dici: «l’Italia e i paesi occidentali sono costellati di multinazionali, eppure non mi sembra che noi facciamo la fame».
Non facciamo la fame perché le multinazionali prendono le risorse ambientali rinnovabili e non rinnovabili dai “paesi poveri” e le portano nei “paesi ricchi”. L’illusione che il capitalismo possa far star bene interi popoli come quelli occidentali nasce nel momento in cui si considera un sistema di osservazione incompleto. Infatti, piuttosto banalmente, scegliendo come sistema l’occidente l’affermazione è vera: il capitalismo ha portato benessere alla maggior parte delle persone. Ma prendendo il mondo intero, si scopre ancora più banalmente che il capitalismo non porta al benessere della maggioranza, ma al benessere di una minoranza sulle spalle di una maggioranza povera e sfruttata. Non crea Stati di diritto, crea Stati di diritto *e* Stati dittatoriali fantocci degli Stati di diritto, e a lungo andare assoggetta tutti gli Stati, di diritto e non, al mercato e al grande capitale.
Questa è la dura realtà, il mondo delle favole è pensare che il sistema capitalistico faccia stare tutti bene senza produrre sfruttati e crescenti divari sociali ed economici.
Giuseppe: Della tua prima frase criticavo solamente quanto semplicisticamente ti affrettavi ad affermare “io sono di sinistra, tu di destra”, parole che hanno sempre meno significato, di questi tempi, in cui quello di cui abbiamo bisogno sono conoscenze tecniche, non ideologie. Un esempio? Alla domanda “Dovremmo introdurre un salario minimo per legge per certe categorie?”, credo che uno “di sinistra” si affretterebbe a rispondere che sì, assolutamente, si deve garantire un salario minimo. Tuttavia, se questo tizio “di sinistra” avesse studiato anche un po’ di economia, saprebbe che la soluzione non è così facile e che anzi, spesso, un salario minimo può essere controproducente per le aziende ed i lavoratori stessi.
Per me è ideologica la tua contrapposizione a priori al capitalismo (quando ad esempio dici che esso è “intrinsecamente ingiusto”). Ideologia e idee sono due cose completamente diverse. L’ideologia è tutto il contrario delle idee: ne è l’annullazione. Credo che ognuno debba avere un proprio sistema di idee, sviluppandolo e modificandolo continuamente. Racchiudersi tra le strutture di un’ideologia, non mi pare molto diverso dall’aderire pienamente ad una religione ed accettarne tutti i dogmi: al pari delle religioni, le ideologie costituiscono oppio per la mente e il pensare critico.
La proprietà privata dei mezzi di produzione e dei profitti si è rivelata storicamente l’unico modo di stimolare l’ingegno, l’investimento e, quindi, favorire la crescita e lo sviluppo. Senza un’adeguata remunerazione per gli sforzi sostenuti, quanti dedicherebbero la loro vita alla ricerca e allo sviluppo di nuove idee? (sì, ok, esiste gente buona, dal cuore tenero e dal profondo senso civico che lo farebbe per l’amore della ricerca, ma non prendiamoci in giro, siam realisti)
A cosa dovrebbe portarci la rivoluzione di cui parli? Quale nuovo sistema dovrebbe instaurarsi, per renderci tutti felici? I fatti, hanno dimostrato che il capitalismo è il miglior sistema che si sia riusciti a creare finora. Credo non ci sia bisogno di commentare i fallimenti di sperimentazioni attuate in passato. Il comunismo si è rivelato un fallimento sia dal punto di vista pratico, che dal punto di vista tecnico-teorico (soprattutto come sistema di produzione).
Nessuno qui ha mai parlato di un capitalismo perfetto, in grado di renderci tutti felici e spensierati. Il capitalismo va migliorato e questo va fatto anche ispirandosi a principi “di sinistra” (e questo è già successo, non è illusione, vedi nascita del Welfare State e dello Stato sociale). Non è un’illusione pensare che questo sistema si possa migliorare. L’illusione, semmai, nasce nel momento in cui si addossano al capitalismo tutte le colpe di questo mondo e si millanta una rivoluzione che d’un tratto cancellerebbe tutte le ingiustizie e le meschinerie dei più potenti. La realtà è un’altra cosa.
Piero: Sinistra e destra hanno un loro significato, se poi esso è sfigurato dall’uso comune, dalle imposizioni culturali della classe dominante e dal martellamento quotidiano dei mass media, le parole non ne hanno alcuna colpa. Non ritengo assolutamente di doverlo spiegare, visto che studiando queste cose ne saprai più di me, ma ricordo che se cerco una definizione generica del termine “sinistra” trovo (su wikipedia inglese perché è il luogo più spersonalizzato possibile) «In politica, per sinistra si intende generalmente il sostegno al cambiamento sociale al fine di costruire una società con una struttura più egualitaria. Solitamente le politiche di sinistra comportano una preoccupazione per coloro che nella società sono svantaggiati rispetto agli altri e un’assunzione che esistano delle disparità ingiustificate (che la destra vede come naturali o tradizionali) che dovrebbero essere ridotte o abolite».
Quando io scrivo di ritenermi di sinistra e di ritenerti di destra lo faccio basandomi su ciò che leggo nei miei e nei tuoi commenti, non è che lo dico per insultare, prendere in giro o altro: affermo ciò che per me è un’evidenza, ovvero che la tua posizione è di difesa del sistema capitalistico, che vive di disparità, e dunque è di destra. Non è peccato mortale, è solo la tua opinione, io la rispetto ed espongo la mia, precisando, all’inizio di questa, che partiamo da presupposti inconciliabili. Non è retorica, ma logica.
Chiarito questo punto, non sono d’accordo sul fatto che competenze e conoscenze tecniche possano superare il binomio destra-sinistra (a proposito, se ne sta discutendo, piuttosto confusamente, in calce a questo articolo). La competenza dei governanti è necessaria, ma deve essere accompagnata da scelte politiche, anzi non può non esserlo: tutte le scelte spacciate per puramente tecniche nascondono intenti politici (espliciti o impliciti). Per esempio, se la scelta “tecnica” è di privatizzare i servizi, in realtà esegue i dettami di un’ideologia (quella neoliberista). Lo stesso si può dire del Tav o dei tagli allo stato sociale. Tagliare la formazione e lasciare intatti miliardi di spese militari è una scelta politica. Eccetera.
Sul superamento delle ideologie, dico solo che generalmente chi fa questo discorso di contrapposizione tra idee e ideologie tende a considerare idee tutto ciò che fa parte dell’ideologia dominante (neoliberista, capitalistica) e ideologie tutto ciò che non ne fa parte. Quello che sto cercando di dire è che non può non esserci ideologia, perché l’ideologia è un modo di interpretare la realtà dei fatti. Cosa sono le idee, astrazioni slegate dai fatti senza alcuna pretesa di interpretarli?
Propugnare il superamento delle ideologie significa di fatto sostenere un’ideologia del pensiero unico, in cui si accettano “le idee” (ovvero ciò che è conforme al sistema attuale) e si respingono “le ideologie”. A proposito, prendo una frase da questo mio scritto di tempo fa: «Vorrei informare chi crede alla favoletta della mano invisibile che il liberismo è un’ideologia, con le sue mitizzazioni e le sue idealizzazioni, come quella del self-made man, della crescita e delle missioni di pace, e con i suoi martiri, i suoi ideologi, i suoi eroi e le sue vittime».
Tu dici: «Il capitalismo va migliorato e questo va fatto anche ispirandosi a principi “di sinistra” (e questo è già successo, non è illusione, vedi nascita del Welfare State e dello Stato sociale)»; ma lo Stato sociale si è dimostrato incompatibile, a lungo andare, con il capitalismo finanziario. Basta guardare com’è ridotta la Grecia e come sono ridotti quei paesi europei oggi, africani, asiatici e americani anche ieri, che hanno sperimentato l’attuazione del modello neoliberista e delle politiche di austerity, di tagli e privatizzazioni.
Tu dici: «L’illusione, semmai, nasce nel momento in cui si addossano al capitalismo tutte le colpe di questo mondo e si millanta una rivoluzione che d’un tratto cancellerebbe tutte le ingiustizie e le meschinerie dei più potenti».
Avevo previsto, già qualche commento fa, che si sarebbe arrivati a questo punto: tra gli appellativi che avevo proposto (“romantico, utopista, idealista, marxista”) non ne hai usato neanche uno ma il succo è quello.
Tuttavia, nessuno sta millantando una rivoluzione che dovrebbe risolvere tutti i mali, bensì quelli connaturati all’attuale sistema di produzione. Né tanto meno dovrebbe risolverli d’un tratto. Prima mi hai chiesto «facciamo la rivoluzione, e poi? Cosa dovrebbe venire dopo?». Il punto è che la rivoluzione non è l’evento di rottura, è ciò che viene dopo. Non è l’abbattimento del sistema precedente, è la costruzione del sistema successivo. La Rivoluzione Francese è nel 1791, non nel 1789. Non so se mi spiego. Il capitalismo ha dei problemi che sono risolubili cercando di perfezionarlo, come dici, ma ha altri problemi che non sono risolubili che con la negazione di esso stesso.
Detto questo, lasciami abbandonare questa serietà e abbracciare un po’ di umorismo: ma tu non eri un compagno?
Short Link:
Non ho voluto “inquinare” la versione originale con miei commenti (come se già non bastassero!), per preservarne l’aspetto e la successione dialettica. Ma mi sento di aggiungere alcune osservazioni, tra tutte la più significativa viene dalla rilettura di questo passaggio: «a periodiche epidemia di colera o che altro, preferisco periodiche crisi finanziarie che, in un modo o nell’altro, si superano sempre»; ma in passato le crisi finanziarie si sono risolte con le guerre mondiali e il consumismo. Siamo sicuri che ci vada poi così bene?
Infine una tra le conclusioni che ho tratto da questo dialogo (che ancora non è definitivamente terminato): nella logica del pensiero unico, chi sostiene il capitalismo ha idee, chi non lo sostiene ha ideologie.
Concordo globalmente con Piero.
Dissento da Giuseppe, in particolare su “Il capitalismo resta ad oggi il miglior sistema economico che si sia riusciti ad attuare”.
La realtà dimostra che non è così.
Nel 1989 tutto il mondo di centro e di destra esultò per la chiusura del fallimento delle ideologie comuniste, o meglio del “socialismo reale”.
Questo trionfo (che condivido in merito alla limitazione delle libertà individuali) non tenne -e non tiene- conto che anche in un sistema comunista ci può essere qualcosa di buono da prendere, invece i filo-capitalisti hanno buttato via tutto nel loro delirante trionfo: acqua sporca e bambino.
Il risultato è che i festeggiamenti li hanno portati a esultare senza guardarsi intorno, e non si accorgono che tutto sta crollando intorno.
Il sistema migliore che si sia riusciti ad attuare è la socialdemocrazia, ovvero il sistema di governo dei Paesi scandinavi.
E ora non venite fuori con le solite bufale sulle statistiche dei suicidi, ché non se ne può più… se volete trovare motivi di critica su quei Paesi, attaccateli piuttosto sul clima, è iuna motivazione reale e di certo più seria.
Certo, anche la socialdemocrazia è fondata sul capitalismo, ma è un capitalismo più efficace perchè ha un welfare molto forte, a differenza che nei Paesi presi spesso a modello dai capitalisti -USA in testa- in cui il welfare è inesistente.
Un’altra considerazione: Marx parlava di capitalismo perchè ai suoi tempo non era facilmente immaginabile ciò che sarebbe arrivato dopo il postcapitalismo, e che ci angustia la vita oggi: altro che forza lavoro e plusvalore, oggi siamo preda di Standard&Poors e alla mercè della Goldman Sachs… questo non è più capitalismo, è un delirio di massa, e la mia convinzione è che non ci sarà possibile uscirne, e che il sistema economico-finanziario odierno si tutelerà con l’uso della forza, tra l’altro operazione facile visto che i governi nazionali -con le loro forze militari e di polizia- sono sottoposti al potere del mondo della finanza.
Non so se conosci questo
http://www.albanesi.it/Societa/democrazia_benessere.htm
Kirill
Personalmente io non mi arrischio a fare previsioni o immaginare scenari come quelli descritti da te. Però aggiungo che se si dovesse arrivare alle maniere forti, ci sarebbero non solo i governi nazionali, a fare da cani da guardia degli interessi dell’alta finanza e del grande capitale, ma anche le forze di polizia speciali internazionali, come l’Eurogendfor, che non dipendono dai parlamenti e dai governi nazionali e hanno potere e margine d’azione superiore a quelli lasciati dalle forze di sicurezza nazionali.
Sono in parte d’accordo sul fatto che attualmente i filo-capitalisti «non si accorgono che tutto sta crollando intorno». Se, ormai insistentemente, sul New York Times o sul Wall Street Journal escono articoli che si domandano che fine farà il capitalismo e si chiedono se quella a cui stiamo assistendo è l’inizio di una sua lunga agonia, da noi in Italia nessuno sembra mettere nulla in discussione, siamo troppo attratti dai trascorsi piccanti di Silvio ad Arcore o troppo occupati a fomentare la paura del ritorno del marxismo e della lotta di classe, noncuranti del fatto che in alcuni paesi occidentali stiano già tornando lentamente “in voga”.
Sul modello socialdemocratico ho già detto che penso che, a lungo andare, neanch’esso può funzionare.
Le misure di austerità hanno eroso le risorse dei paesi cosiddetti del Terzo Mondo negli ultimi trent’anni, poi hanno intaccato lo Stato sociale di alcuni paesi in via di sviluppo ricattandoli con il debito sovrano (il caso argentino valga per tutti), oggi si sono spinte ancora più in alto, minando allo stato sociale, ai servizi e ai beni comuni di paesi relativamente benestanti, come la Grecia, la Spagna, la Repubblica Ceca, il Portogallo e per finire l’Italia.
Insomma, il livello dell’acqua sale sempre più in alto.
Chi respira ancora è solo perché è più alto degli altri.
Ma l’unico privilegio che ha potrebbe essere quello di essere l’ultimo ad affogare.
@kquadro
Grazie del link, mi sembra interessante. Lo leggerò con più cura.
nello, giuseppe dice che il “sistema economico” migliore che si sia mai riusciti ad attuare è il capitalismo. se sostieni che, a tuo avviso (che è pure il mio, e senz’altro anche quello di giuseppe), il sistema migliore sia la socialdemocrazia non smentisci affatto quell’affermazione. tra l’altro lo riconosci dicendo che “la socialdemocrazia è fondata sul capitalismo”, allora possiamo pure ammetterlo: sino ad oggi il capitalismo è il sistema economico migliore mai attuato (in un futuro non si sa).
Aggiornamento: to’, è uscito un articolo di Stefano Feltri sul libro di Luciano Gallino intitolato “La lotta di classe dopo la lotta di classe” che recita più o meno così, in sintonia con ciò che volevo esprimere inizialmente e da cui è partita tutta la discussione, quando ho affermato che il PIL è uno strumento di ricatto a vantaggio dei padroni:
«La teoria (neo) liberista, che secondo Gallino è una delle espressioni più compiute della lotta di classe, sostiene che se il Pil cresce tutti ci guadagnano, che rimuovere gli ostacoli alla crescita, rendere il lavoro più flessibile e i salari più competitivi, alla fine è nell’interesse di tutti. Il filosofo John Rawls affermava nei suoi principi di giustizia che una disuguaglianza è accettabile soltanto se migliora la condizione anche di chi ha meno. E Gallino dimostra che all’arricchimento di pochi, soprattutto nella finanza, ha corrisposto un impoverimento della base della piramide sociale, con la perdita della capacità di essere una classe “per se” (soggetto attivo, consapevole di avere interesse comuni).»
@Tancredi:
La conclusione del tuo ragionamento è «in futuro non si sa». Ma questo basta per te a rinunciare a qualunque possibile alternativa? Come dovrebbe essere il futuro se nessuno cerca di cambiare il presente? E per cambiare si chiaro che intendo cambiare davvero sistema, per cercare di risolvere i nodi cruciali che, a mio avviso, rendono il capitalismo intrinsecamente ingiusto.
Immagina se, nel Medio Evo o prima della Rivoluzione Francese, tutti si fossero limitati ad osservare il sistema economico di allora. Avrebbero tutti constatato che il feudalesimo era il miglior sistema economico e sociale prodotto dall’uomo, anzi, sappiamo che si pensava che fosse il sistema economico, quello naturale, quello che rispecchiava l’ordine divino. Allo stesso modo ora mi si viene a dire che il sistema naturale, che più si confà alla indole umana, è quello capitalistico e dei mercati. Ma Polanyi e gli antropologi in generale sono vissuti invano? Non avevano forse dimostrato che la “naturalità” non esiste e che tutto è da contestualizzare e storicizzare?
se dico che «in futuro non si sa» è proprio perché non sono in grado di escludere un sistema diverso e migliore, fermo restando che io giudichi quello attuale come il migliore mai attuato.
ma ho difficoltà a seguirti: dopo la rivoluzione che si fa?
Tu non escludi che in futuro possa esistere un sistema diverso e migliore di quello attuale; ma se così dovesse accadere, come potrebbe accadere se non sostituendo il sistema attuale? Auspichi la realizzazione di un sistema migliore ma allora stesso tempo affermi che il capitalismo è finora il modello migliore. Ha senso dal punto di vista formale, logico, grammaticale, ma come ti rapporti praticamente nei confronti del capitalismo? Invece di cercare un’alternativa, ti accontenti di alcune conquiste (a dire il vero molto precarie) ottenute nell’ambito del sistema capitalistico. Ma qua, a lungo andare, si tratta di vincere, non di resistere, perché prima o poi per semplici considerazioni scientifiche il sistema di accumulazione dovrà giungere a capolinea: non si può accumulare all’infinito.
Dopo la rivoluzione che si fa? La rivoluzione non è lo spartiacque ma ciò che viene dopo, l’ho già detto alla fine del post.
Per essere più chiaro te lo dico con le parole di Roberto Bui (WM1): «Se la rivoluzione consistesse banalmente nello spodestare un despota o in un cambio di governo o di regime, allora sarebbe poca cosa. Un colpo di mano, un putsch, magari partecipato e di massa, ma pur sempre un episodio, più che un Evento. “Rivoluzione” è quel che *comincia* dopo la caduta del regime, è l’esplosione progettuale che nasce dalla rottura, dalla discontinuità. E’ l’esperimento sociale, il tentativo di allargare la sfera delle libertà non formali, di stabilire l’uguaglianza.»
La rivoluzione consisterebbe nel riorganizzare la produzione tenendo conto di fattori ambientali (limitatezza delle risorse) e sociali (redistribuzione).
Vuoi i dettagli? Vuoi sapere come si risolverà ogni piccolo problema? Be’ allora ti rispondo anche io che riguardo al futuro non ho alcuna capacità di previsione. La rivoluzione si fa tutti insieme.
Il ricco di oggi se ne fotte della limitatezza delle risorse, tanto sa che a lui basteranno, e il futuro non lo riguarda… in questo contesto, riorganizzare la produzione significa rinunciare a buona parte della propria ricchezza, l’unico motivo reale (ossia non ideologico) per cui dovrebbe farlo, è il mantenimento di un assetto sociale ma questo può diventare un affare di facile soluzione facendo ricorso alla forza. Mi spiace ragazzi, ma non vedo soluzione “razionale” alla situazione…
Scusa Piero non ho avuto molto tempo per scrivere. Per rispondere alla tua ultima domanda, diciamo che mi sono convinto si possa trovare un modo per conciliare il livello di crescita e di sviluppo del capitalismo con valori etici e morali della “sinistra”, in particolar modo dell’uguaglianza, intesa nella sua accezione di uguaglianza procedurale e non di uguaglianza di tipo consequenziale, o “end-state”. Mi hai preceduto nel citare Rawls, per molti versi le sue teorie sull’eguaglianza espresse in “A theory of justice” riflettono proprio questo concetto.
Forse le mie parole sono state fraintese. La mia non voleva essere un’ode al capitalismo e alle sue promesse di prosperità e sviluppo illimitati. Per riprendere il discorso di Nello, io penso proprio a qualcosa di simile alle socialdemocrazie dei paesi scandinavi. Anch’esse si basano su sistemi di tipo capitalista, eppure dimostrano livelli di equità sociale invidiabili.
Sono ben consapevole che un capitalismo sfrenato stampo USA a lungo andare non potrà che crollare, ma questo non basta a sostenere che il capitalismo per intero sia inefficace e/o “intrinsecamente ingiusto” e quindi un male da estirpare.
un’alternativa non la vedo, aspetto che qualcuno me ne proponga.
ho capito che la rivoluzione è nel 1791, dal punto di vista pratico poi che si fa? se per cancellare la disoccupazione bisogna “lavorare tutti e meno”, ti rispondo che l’impiego non si salvaguarda col part-time.
dovresti spiegare un po’ più nel concreto quello che vuoi costruire, era questo che giuseppe ti contestava. banalmente, riorganizzare la produzione tenendo conto di fattori ambientali e sociali, si può fare anche nel sistema capitalistico (nel mondo dei sogni, certo); al di là dei principi, nel pratico, cosa connota il tuo sistema? e cosa avrebbe per essere più realizzabile?
insomma, le alternative fino ad ora proposte non mi sembrano convincenti.
Grazie per il sostegno Tancredi, hai colto quello che intendevo 🙂
@Giuseppe
Innanzitutto grazie per aver concluso il dialogo, anche se la mia domanda finale della discussione si accompagnava a una strizzatina d’occhio. Ho capito ciò che intendi dire, è anche il pensiero espresso da Tancredi e, parzialmente da Nello: la convinzione che si possano in qualche modo conciliare le tutele sociali e ambientali con il capitalismo.
Però io già ho espresso la mia opinione chiaramente riguardo a questo punto: mi sembra che la storia degli ultimi decenni, in particolare con la globalizzazione, mostri piuttosto come a lungo andare il sistema capitalistico non sia conciliabile con quei principi.
(Nel caso tu, Giuseppe, non l’avessi ancora letto, ti rimando al mio commento di ieri delle 23:23).
Ma anche senza andare indietro nel tempo, questo io vedo nel presente: in Italia, per fare star buoni “i mercati” si taglia lo stato sociale, si privatizza, si aumenta l’età di pensionamento, si precarizza il lavoro, si mettono in discussione le libertà sindacali. Questo è l’unico modo che il capitalismo ha in questo momento per salvare se stesso a breve termine, ed è un modo inconfutabilmente inconcepibile con i valori e i principi di cui sopra.
Infatti Rawls io lo stavo citando, sì, ma per criticare il sistema capitalistico, non per giustificarlo; egli sostiene che la disuguaglianza è accettabile se comporta un miglioramento delle condizioni di vita dei meno abbienti, e l’analisi di Gallino (oltre che, a mio parere, l’evidenza dei fatti) mostra che questa condizione non è soddisfatta e dunque la disuguaglianza è inaccettabile.
@Nello
Purtroppo la riorganizzazione del sistema di produzione provoca sempre la violenza delle unghie e dei denti di chi resta attaccato alla carcassa che ha catturato e smangiucchiato per decenni (o secoli). Lo spettro della forza usata in difesa dello status quo e per il «mantenimento dell’assetto sociale» non è nuovo, è esattamente ciò che l’Europa ha vissuto all’inizio del Novecento con i vari fascismi.
Il problema non è che non ci sono soluzioni razionali, il problema è che le possibili risposte a soluzioni razionali sono tutte irrazionali, violente e oppressive.
@Tancredi
«riorganizzare la produzione tenendo conto di fattori ambientali e sociali, si può fare anche nel sistema capitalistico (nel mondo dei sogni, certo)»
Non credo che sia così: ammettiamo pure di essere nel mondo dei sogni, e che i capitalisti decidano volontariamente di produrre nel rispetto dell’ambiente. Ciò implica (e in proposito raccomando Collasso di Jared Diamond, su cui ultimamente ho scritto diversi articoli, che se hai voglia di farti venire la curiosità ti invito a leggere) l’adattamento dei ritmi di produzione ai tempi richiesti dalla natura per il rinnovo delle risorse (nel caso delle risorse rinnovabili) oppure la sperimentazione di tecnologie che possano sostituire le risorse non rinnovabili con risorse rinnovabili. Questo significa che, raggiunto l’equilibrio tra ritmi di produzione e tempi naturali, si deve avere “crescita zero”, il che è incompatibile con i principi su cui si basa il capitalismo. Prima o poi arriverà sempre il momento in cui l’accettazione della crescita come principio indiscutibile dovrà fare i conti con la realtà, in cui le risorse sono limitate e quelle rinnovabili si rigenerano in tempi non nulli.
Sulla mia proposta (che poi non è mia, ma ha una storia lunga): cosa non ti sembra convincente nell’idea che tutti producano qualcosa e ciò che non producono ricevono? È esattamente ciò che intendo quando dico “lavorare tutti e meno”. La produzione è già sufficiente per tutta la popolazione mondiale ma non viene equamente distribuita. Il problema da risolvere è dunque la redistribuzione della ricchezza, che può avvenire se ciascuno ne ha una parte. Mi sembra lineare.
E questo risolverebbe anche il problema della tutela dell’ambiente: non sarebbe necessario far crescere a tutti i costi la produzione, sfruttando i territori e le risorse oltre i limiti tollerati dal pianeta, perché si produrrebbe ciò che serve realmente, e se per due anni di seguito serve la stessa quantità di prodotti non cascherebbe il mondo con crisi finanziarie, borse che crollano e giornali preoccupati per il “rallentamento dell’economia”.
Quando parliamo di uguaglianza, dobbiamo metterci d’accordo sull’accezione da dare a tale termine. Nel mio discorso, come dicevo prima, auspico un’uguaglianza di tipo procedurale, dove ognuno ha le capacità potenziali, le possibilità e gli strumenti, per raggiungere una qualsivoglia posizione all’interno della società. Che si raggiunga o meno tale posizione, dipenderà solo dall’impegno profuso.
Non mi interessa un’uguaglianza di tipo “end-state”, in cui l’impegno e l’operosità non hanno nessun riconoscimento. Solo la proprietà privata e il profitto stimolano tale operosità e impegno.
E’ giusto che il Presidente del Consiglio guadagni molto più di un operaio. E’ giusto che un magistrato guadagni molto più di un panettiere.
E’ ingiusto che il Presidente del Consiglio o il magistrato non facciano il loro lavoro in maniera adeguata, come è ingiusto che l’operaio non percepisca un salario sufficiente al sostentamento suo e della sua famiglia.
L’uguaglianza “end-state” toglierebbe ogni incentivo, porterebbe la società ad atrofizzarsi. La ricchezza è un valore, il vero male è che, ad oggi, non sia davvero collegata agli sforzi profusi, ma a giri di corruzione e clientelismo. Non il sistema di produzione capitalista ma quelli appena citati, sono i mali da estirpare e questi sarebbero presenti (come lo sono stati storicamente) anche in sistemi di tipo capitalista/socialista o di qualsiasi altro tipo.
Peppe il tuo ultimo periodo riguarda soprattutto l’Italia, non è ovunque così per fortuna, e comunque concordo con te sulla necessità di differenziare in base a impegno, capacità, responsabilità.
@Giuseppe
Stiamo tornando ad una questione già affrontata, cioè l’inconciliabilità tra destra e sinistra. Non vedo come i valori della sinistra, che come già detto implicano l’assunzione che «esistano delle disparità ingiustificate (che la destra vede come naturali o tradizionali) che dovrebbero essere ridotte o abolite», possano essere conciliati a un pensiero come quello che hai appena esposto.
Personalmente, per esempio, ritengo che sia ingiusto che un lavoratore che in un mese produce 10 mila euro ne debba ricevere solo mille mentre la restante parte va ad accumularsi nelle tasche del datore. In un linguaggio un po’ vetero è esattamente ciò che si chiama plusvalore ed è uno dei motivi per cui si parla di sfruttamento e di ingiustizia congenita del capitalismo.
Piuttosto questo mi dà l’occasione per rilanciare anche io un argomento già affrontato: quello che secondo me è il frame di fondo della discussione, che, se non lo si fosse già capito, è in realtà il motivo principale che mi ha spinto a pubblicarla, ovvero la distinzione fittizia tra idee e ideologie.
Ho particolarmente a cuore che sia chiaro che cosa penso in proposito: quando io affermo che “il capitalismo è intrinsecamente ingiusto” sto esprimendo una posizione ideologica, è vero, che non è né più né meno ideologica di quella che esprimi tu quando affermi che “l’uguaglianza end-state porterebbe la società ad atrofizzarsi”. E infatti, quando lo affermo, implicitamente o esplicitamente aggiungo la parola “personalmente” e non ho la pretesa di esprimere posizioni non-ideologiche o post-ideologiche, perché sono consapevole dell’impossibilità dell’oggettività fuori della scienza (che poi non è neanche propriamente “vera”).
Sono disponibile a continuare il dibattito sui sistemi economici (anche se non ho la presunzione di dire di intendermene e, se devo essere sincero, in questi casi rimpiango di non essermi iscritto ad una facoltà umanistica, che mi avrebbe dato perlomeno una certa autorevolezza nel fare alcune affermazioni, nel senso che avrei rischiato meno di non essere preso sul serio), ma pregherei di incentrare la discussione su questo tema.
Inoltre, segnalo che ho aggiunto un link a un post di mesi fa in calce al quale si era sviluppato un dibattito simile al qui presente. Il titolo è «Aiutiamo il vicino».
probabilmente dirò quacosa poco di sinistra, ma a proposito del fatto che “un lavoratore che in un mese produce 10 mila euro ne debba ricevere solo mille” direi che se produce 10mila euro non è solo merito delle sue capacità mentali o muscolari, anzi a volte accade che la produzione avvenga ‘malgrado’ le sue doti…
@Tancredi
Ti avevo già risposto da ore, quando mi sono imbattuto, per pura coincidenza, in un commento su un blog che casca proprio a fagiuolo e che risponde ad una critica simile alla tua sulla mancanza di alternative e di proposte. Lo riporto quindi qui di seguito:
«Questa storia del “non fate proposte!” è da sempre il falso argomento con cui i poteri costituiti interdicono la critica e su cui basano l’assioma T.I.N.A. (“There is no alternative”). Uno dei massimi critici di questo frame era Michel Foucault, uno che per tutta la vita si impegnò in mille cause, studiava le relazioni di potere e sapeva riconoscere una mossa di guerra psicologica quando la vedeva insinuarsi – soavemente o rozzamente che fosse – nel discorso pubblico.
L’argomento è falso perché si chiede a chi critica di presentarsi con un programma a tavolino, un modello di società fatto e finito. I padroni e i governi possono navigare a vista, improvvisare alla boia vigliacca, fare cazzate immani, mentre a chi resiste e lotta dal basso viene richiesto l’impossibile: tirare fuori di tasca il plastico della civitas ideale!
Non funziona così: le proposte concrete nascono da prassi materiali collettive, dalle lotte per i diritti, le libertà e la dignità. Il “programma” è ridefinito dalle vittorie e sconfitte nel rapporto di forza»
Salve ammetto di aver visto solo il video e letto solo l’articolo e non i commenti postati poi…
Vorrei solo linkarvi questo articolo ( http://tratturi.noblogs.org/2012/03/22/si-fa-presto-a-dire-decrescita/#more-1473 ) che spiega e scioglie molti dei nodi iniziali comparsi nella discussione e anche nel video, almeno dal mio punto di vista.
(Vorrei scrivere un milione di cose dopo quello che ho letto ma forse la cosa migliore è che io abbia linkato quell’articolo)
ps
Voglio decidere di me senza padroni ne politicanti, voglio contare nella comunità dove vivo come una persona e non come un consumatore e neanche come un elettore.
“Sii realista, pretendi l’impossibile !”
Arrivo adesso, dopo una lunghissima discussione. Forse è troppo tardi.
Volevo solo dire:
1 I “trent’anni gloriosi” hanno visto lo sviluppo mostruoso di tre paesi in particolare, i famosi “miracoli”, Giappone (il massimo in quanto a crescita), Italia, Germania. Questo per via degli ingenti capitali che gli USA e i suoi investitori hanno stanziato.
Ma non è la sola cosa vera. La Bulgaria ha avuto una crescita media del 10% del PIL durante questo periodo. E, in generale, tutti gli stati del Patto hanno avuto un sostanziale miglioramento produttivo. Non hanno prodotto beni di consumo, almeno non principalmente, ma si sono concentrati sull’industria pesante (cosa, che insieme alla guerra in Afghanistan e a altre concause ha determinato la fine del Patto).
Che questa sia una esperienza comunista, è da vedere, ma, di per sé, ha funzionato nei termini di produttività.
2 Le esperienze comuniste che potrebbero essere assunte come tali non escono fuori dal cerchio della gestione di alcune aree della Spagna durante la Guerra Civile, la Comune di Parigi e, se non si è pignoli, i primi crudi sette anni di Lenin in Russia.
La storiografia trockijsta ha definito paesi come la Cina o l’URSS “stati operai deformati”. Per farla breve, non sono stati paesi comunisti. A dirla tutta, si definivano socialisti.
Tuttavia, non si può dimenticare che il mondo intero ha vissuto esperienze storiche di sistemi dispotico-comunitari prima dell’avvento del capitalismo occidentale, sia per quanto riguarda l’impero Maya che alcune culture tribali. Questi sistemi funzionavano, se questo c’importa, ma non si possono definire sistemi marxisti.
3 Il capitalismo non è il neoliberismo. Bisognerebbe fare due analisi diverse.
Diciamo in generale che l’economia di mercato segna un divario forte tra ricchi e poveri, tra chi può e chi non può e che sacche di efficiente welfare state scandinavo sono il prodotto di sacche di tremenda povertà e miserie in Africa. Cosa dico? Ragioniamo in termini mondiali, prendiamo spunto da “Impero” di Toni Negri.
4 Questione ideologica. L’ideologia è sovrastruttura. Marx ha introdotto questo termine e l’uso comune che è documentato è quello di Marx. Non una struttura di pensiero, neppure una generica menzogna, ma un insieme di idee, abitudini e costruzioni sociali legate a un processo economico.
Se diciamo di vivere nel migliore dei mondi possibili, abbiamo fatto dell’ideologia.
5 La decrescita è un tema spinoso. Pensare di produrre dieci casse di pomodori per poi bruciarne due è folle. Questo è palese. Pensare che questo danno si possa riparare attraverso riforme è essere estremamente ottimisti: è come voler riparare una macchina che va a pezzi; costa meno comprarne una nuova (perdonate la mentalità consumista).
L’idea di Negri di lasciare il lavoro manuale e alienante alle macchine mi pare quella migliore. Noi oggi sapremmo sopravvivere senza tutte le comodità che la società ci offre? Queste comodità ci fanno del bene? Fino a che punto? Non potremmo avere le comodità, ma imparare comunque a lavorare la terra, sistemare un asse di legno, leggere e studiare, invece di fare otto ore di torchio o dieci ore di lezioni frontali?
@Nello
a proposito del fatto che “un lavoratore che in un mese produce 10 mila euro ne debba ricevere solo mille” direi che se produce 10mila euro non è solo merito delle sue capacità mentali o muscolari, anzi a volte accade che la produzione avvenga ‘malgrado’ le sue doti…
A volte i conducenti dei motorini sorpassano a destra provocando incidenti stradali, ma non è un motivo per bandire i motorini dalle strade.
A volte la stampa è controllata indirettamente da interessi particolari anche in paesi democratici, ma non è motivo per abolire la libertà di stampa.
@Manuel
Grazie del link, che come sai già conoscevo. “Si fa presto a dire decrescita”, e infatti abbiamo iniziato a parlare di decrescita e guarda dove siamo arrivati, al vero nocciolo della questione: le alternative agli attuali dogmi economici del sistema.
P.S. Se hai un milione di cose da dire, sei il benvenuto e ti invito a scriverle arricchendo il dibattito
@Giulio
1) In effetti è risaputo che, dopo la Rivoluzione, la Russia passò nel giro di pochi anni dall’essere un paese marginale all’emergere come superpotenza. A questo punto io mi chiedo: se le energie investite nell’industria pesante fossero state spese per altri obiettivi come la produzione di beni di consumo, i paesi del Patto sabbero ugualmente stati così poveri (intendo a livello di disponibilità di “beni pro capite”)?
Dopo tutto, la scelta di dedicarsi quasi esclusivamente all’industria pesante, che non dà da mangiare alle persone e rischia di farle morire di fame, penso (anche se non sono un esperto) sia stata dettata dall’esistenza dei due grandi blocchi geopolitici del secondo dopoguerra e quindi dall’esigenza di difendersi da eventuali “minacce esterne”; ma questa scelta non è intrinsecamente connaturata al sistema di produzione della Russia socialista.
2) Aggiungo che l’esistenza in passato (ma anche nel presente) di società egualitarie, spesso basate sulla distribuzione equa delle risorse e della produzione, che non sono implose, ma anzi sono prosperate per secoli o millenni, dimostra bene che l’affermazione «l’uguaglianza end-state porterebbe la società ad atrofizzarsi» ha scarsa capacità descrittiva dello stato reale di cose, non appena si esce da un sistema di pensiero espressione dell’organizzazione capitalistica della società.
3) Sono d’accordo sulla necessità di ragionare in termini mondiali.
Molti dei problemi della sinistra occidentale (specie quella istituzionale) derivano dal fatto che essa non è stata in grado di allineare la teoria con la realtà: alla globalizzazione dell’economia neoliberista non si è accompagnata una reale analisi critica dell’economia a livello globale, ma si è rimasti arroccati su rivendicazioni nazionali e (implicitamente) sul concetto di Stato-nazione. I partiti socialisti europei hanno creduto che il benessere dei rispettivi paesi fosse spuntato dal nulla e non si sono accorti che il prezzo da pagare era costituito, come dici bene tu, da “sacche di tremenda povertà in Africa”; quindi hanno optato per il sostegno a questo tipo di economia.
4) Ho deciso che mi riservo di trattare questo argomento in uno dei prossimi post. Nel frattempo dico che non si deve mai commettere l’errore di pensare che le leggi dell’economia siano universali: ogni sistema ha le sue leggi economiche, affermare che un sistema non potrebbe sopravvivere e porterebbe all’atrofizzazione della società per il fatto che questo è ciò che accadrebbe se in quel sistema valessero ancora le leggi di un altro sistema… be’ l’ho espresso confusamente ma spero di essere stato chiaro.
E allo stesso modo non esiste la “natura umana”. Ma questa è veramente un’opinione da argomentare in un altro post.
5) Lasciare il lavoro manuale e alienante alle macchine eccetera…
Interessante. Tra l’altro non sarebbe neanche troppo difficile immaginare (e realizzare) una produzione del genere con tecnologie moderne. Rivendico tempo libero per tutti!
Ammetto di aver letto il post ma che possa essermi sfuggita qualche cosa. E’ tardi ma avevo voglia di commentare già da un po’ e trovare il sollecito su facebook mi ha spinto a farlo subito.
Pil? Finanza? Economia? Sono tutti dei demoni che attanagliano il nostro mondo.
E’ vero,sì, il Pil è un indice di benessere e misura, in modo cieco, quelle che sono le condizioni generali di uno stato. E’ anche vero che un + o un – di fronte al Pil fanno tanto : si tratta di argomenti seri quali disoccupazione, crisi od occupazione e benessere.
E’ vero sì, alla luce del nostro sistema. Un sistema deviato,folle, che ha perso di vista quello che realmente è il centro del mondo : l’uomo.
L’economia è uno strumento dell’uomo, non l’uomo uno strumento d’essa.
Il problema ora è : seguire il feticcio del Pil o fare altro? E questo altro cosa significa?
Nel mio piccolo credo si debba demolire questo sistema che ha reso virtuale il denaro, il frutto del nostro lavoro,di fatto rendendo tale anche quest’ultimo.
Viviamo in un mondo in cui tutto è finzione, è un numero dentro un conto ma è nulla nelle nostre tasche.
Il sistema capitalistico è, per me, un mezzo ; un mezzo che ci ha permesso di poter progredire, di poter andare avanti velocemente giocando sul fatto che l’interesse personale, la competizione ed il profitto individuale accendono velocemente l’ingegno anche nel più pigro. Oggi abbiamo tutto ciò che ci serve per vivere, tutte le conoscenze che ci bastano a fare anche più di quanto potrebbe servirci quindi il capitalismo ha terminato la sua funzione.
C’è più cibo che persone, più mobili che case, più case che persone e così via con ogni singola cosa che ci circonda.
Il capitalismo deve pur finire , le risorse sono limitare, quindi o lo si accetta o si sbatterà il muso.
Ora bisogna fare un salto ed andare avanti, ma verso cosa?
Io credo in un sistema social-democratico, che lasci libertà individuale ma che dia ciò che serve a chi di bisogno.
I progressi delle tecniche economiche ed amministrative che abbiamo ci permetterebbero di poter creare un sistema in cui alla base vi è la redistribuzione delle risorse nei confronti di chi non ha, di chi non può.
Si dovrebbe cambiare la prospettiva del vivere : Non più vivere per creare qualcosa, ma vivere per stare in armonia con ciò che si ha.
Giancarlo
(spero di non essere andato fuori tema o di aver capito l’anima del discorso in quanto sono un po’ preso di sonno)