L’ambientalismo non basta: il caso di Balaguer
Chi ha letto Diamond e conosce il suo stile oggettivo e imparziale, quello dello scienziato che disseziona la realtà e cerca di spiegarla senza pretese giustificazioniste, sa bene di non doversi aspettare troppe divagazioni politiche in senso stretto nei suoi libri. Trattando di popoli, modelli culturali, economici e sociali, di sistemi politici dai più egualitari ai più autoritari e dittatoriali, si trova spesso a scrivere di regimi: non c’è una volta che lasci trapelare quale sia il colore di questi regimi. Per esempio, leggendo il capitolo di Collasso sul genocidio dei tutsi, devi cercartelo per conto tuo che in Rwanda, ai tempi del massacro degli anni Novanta, c’erano di mezzo i fascisti del Hutu Power.
L’espediente letterario è sensato o perlomeno legittimo: Diamond ha operato una scelta nella sua analisi, ovvero quella di prediligere gli aspetti ambientali e di sfruttamento delle risorse naturali del territorio, e dunque resta coerente occupandosi esclusivamente di tali aspetti, senza sbilanciarsi sul resto. Che gli hutu estremisti fossero organizzati in squadre fasciste paramilitari poco importa ai fini della valutazione degli effetti che hanno avuto sull’ambiente in cui vivevano. Condivisibile o meno che sia, questo è il ragionamento seguito da Diamond.
Per questo motivo, sono rimasto sorpreso quando, a pagina 358 di Collasso, al capitolo XI, ho letto per la prima volta la parola «capitalismo». In realtà, trattando di economia in generale e dunque anche negli ultimi secoli, fin dal primo capitolo si parla di capitalismo, senza però menzionarlo. Questa inaspettata comparsa si ha nello stralcio seguente, a conclusione del paragrafo su Joaquín Balaguer, complice per trent’anni del dittatore Trujillo e poi autoritario presidente dominicano per decenni, fino al 1996:
Nel 1961, dopo l’assassinio di Trujillo, molto politici dominicani avrebbero potuto essere validi presidenti, ma nessuno di loro aveva, neanche in minima parte, l’esperienza pratica di Balaguer. Quasi tutto concordano sul fatto che riuscì a far nascere un abbozzo di capitalismo e un vero ceto medio, e in generale a modernizzare e rafforzare il paese. Grazie a questi risultati, molti dominicani sono disposti a chiudere un occhio sulla sua tirannide.
Non è la prima volta che Diamond, nella sua tradizionale imparzialità, si lasci sfuggire giudizi politici ideologici e non più scientifici. Nello stesso capitolo assume uno strano atteggiamento riguardo la nascita di Haiti nel 1804
Gli ex schiavi ribattezzarono il loro paese Haiti e si diedero a massacrare i bianchi e a distruggere le piantagioni. Le terre furono ridistribuite e suddivise in piccoli appezzamenti a gestione familiare. Anche se questa soluzione era più equa rispetto al sistema precedente, a lungo andare si dimostrò disastrosa per l’economia, perché la produttività calò e le esportazioni diminuirono. Tragica fu anche la perdita di risorse umane, per l’uccisione di gran parte della popolazione bianca e l’emigrazione dei pochi sovravvissuti.
o riguardo il neonato consumismo della Repubblica Dominicana, criticato esclusivamente per il fatto che «l’economia dominicana ancora non riesce a sostenerlo».
La spiegazione più plausibile, secondo me, è che Diamond, sulla cui onestà intellettuale non nutro dubbi, si sia lasciato sfuggire alcune opinioni che rientrano nei vari frame tipici della nostra epoca e della nostra società: del resto, nessuno può essere assolutamente obiettivo. Insomma, non credo che queste dichiarazioni siano camuffate in malafede.
Tenendo da parte queste considerazioni, l’aver tirato in ballo il dittatore Trujillo e il suo successore Balaguer ci permette di farne delle altre, a proposito dell’ambientalismo: Joaquín Balaguer, infatti, era uno strenuo difensore della causa ambientalista, in un momento storico in cui essa non si era ancora affermata né era efficacemente strutturata (si tratta di un periodo che inizia già agli inizi degli anni Sessanta).
Rafael Trujillo governò la Repubblica Dominicana dal 1930 al 1961, anno della su uccisione avvenuta forse con l’assenso o l’aiuto materiale della CIA. Il dittatore gestì il paese come se fosse un’azienda privata, ottenendo consensi attraverso il culto della personalità e cercando di ricavarne il massimo profitto: a tal fine, però, andava posto il problema dell’esaurimento delle risorse in un territorio, come quello dominicano, che per secoli aveva subito uno sfruttamento eccessivo e che rischiava la deforestazione, la perdita di fertilità, la salinizzazione dei suoli e la loro erosione, processi che erano già preoccupantemente in atto e che alcune organizzazioni cittadine locali avevano già cercato di limitare prima della dittatura. Per questo il regime finanziò un vasto programma di recupero, che prevedeva l’importazione dall’estero di gas, la costruzione di dighe per la produzione di energia idroelettrica e la protezione delle poche foreste rimaste: tutti provvedimenti volti a evitare l’abbattimento degli alberi.
Con la morte di Trujillo, i terreni pubblici incominciarono a essere occupati e le foreste a essere bruciate per ricavarne terreno agricolo: iniziò così un periodo di abbattimento delle foreste a ritmi forsennati, che non furono rallentati neanche dai tentativi del nuovo governo, democraticamente eletto, di regolamentare le attività, dato che i grandi proprietari terrieri riuscirono a farlo cadere.
Nel 1966 fu eletto presidente Balaguer, per decenni al servizio del precedente regime coprendo importanti posizioni di comando. Le politiche ambientali di Balaguer furono più drastiche di quelle di Trujillo, ma mentre quest’ultimo cercava un tornaconto, giacché aveva valutato il potenziale commerciale del legno e aveva fatto in modo di eliminare la concorrenza, il primo sembrava disinteressatamente convinto della necessità di proteggere il territorio (ciò è testimoniato dal fatto che fece distruggre delle ville appartenenti a suoi amici, perché si trovavano in aree protette): vietò il taglio del legno a scopi commerciali, fece chiudere le segherie, affidò all’esercito il compito di far rispettare le leggi ambientali, attraverso sorveglianza aerea e operazioni a tappeto (durante una delle quali furono uccise dieci persone), dichiarò l’abbattimento degli alberi un crimine contro la sicurezza nazionale.
Per ridurre la domanda di legno locale, scoraggiò la produzione e l’utilizzo di carbone e promosse l’importazione di gas naturale estero, regalando poi ai cittadini bombole di gas e stufe per agevolarne l’uso.
Ampliò le riserve naturali e istituì i primi parchi costieri, protesse le zone umide, dichiarò inviolabili gli argini dei fiumi, vietò la caccia per dieci anni, tassò pesantemente le attività minerarie inquinanti, cercò di combattere l’inquinamento atmosferico e il mancato trattamento dei rifiuti industriali.
I fini di tutela ambientale prevalevano per Balaguer sullo sviluppo direttamente economico, anche a costo di rinunciare ad infrastrutture: bloccò la costruzione di strade, aeroporti e porti.
Insomma, la Repubblica Dominicana sarebbe stata un paradiso per gli ambientalisti e i decrescitisti.
Non fosse che Balaguer si era macchiato di complicità nei precedenti trent’anni di regime, che ricorse alla violenza e all’intimidazione per vincere le elezioni, permise il dilagare della corruzione, organizzò squadracce criminali che assassinarono migliaia di esponenti dell’opposizione, scacciò i poveri senza terra dai parchi nazionali, diede l’ordine di uccidere chi fosse colto in flagrante nell’atto di tagliare un albero.
Una decrescita non proprio felice, eppure il programma era decrescitista ante litteram.
La morale della storia? Sta scritta nel titolo.
Short Link:
Forse non ho capito che questione vuoi porre. Ma mi sembra palese che sia un non-senso rispettare un diritto umano di terza generazione (o classe, come si voglia chiamarle) e violare quelli di prima, seconda (e io aggiungerei anche quarta) generazione.
Non ho capito quale sia in particolare l’obiezione alle teorie decrescitiste che deriva da questa storia di Balaguer; suppongo che anche l’organizzazione di un torneo di calcetto se affidata a un ex gerarca di una dittatura finisca in un modo simile. Credo ci sia una bella differenza fra una visione decrescitista e una visione Ent!
Se riguarda l’esportazione, beh di sicuro le teorie della decrescita non promettono di farla crescere 😀
La questione che voglio porre è che le rivendicazioni ambientaliste da sole non bastano a garantire un modello di società con caratteristiche preferibili alla condizione attualmente presente, per esempio, in Occidente; anzi, sarò più netto: non bastano a garantire un modello di società, semplicemente.
Stefano: parli di “visione Ent” e dici che quella di Balaguer non è una visione decrescitista, invece mi pare in accordo con le teorie proposte; ottimizzazione a lungo termine dell’uso delle risorse, rispetto e tutela degli equilibri naturali, limitazione dello sfruttamento del territorio, soppressione di infrastrutture ad alto impatto ambientale, tendenza a privilegiare aspetti diversi dalla crescita economica nella progettazione del futuro e nella gestione della cosa pubblica. Tutte proposte che bene si accordano all’esigenza di ricordare sempre che è impossibile una crescita infinita in un mondo finito.
Un decrescitista “non politicizzato” avrebbe potuto accettarle.
Elisa: scusami, anche io penso di non aver colto il contenuto del tuo commento. In base a quali criteri assegni una certa priorità ai diritti umani in modo da porli in una scala di generazioni, ciascuna più importante della successiva?
E se la realtà è che il rispetto di un diritto costa il mancato rispetto di un altro diritto, che senso ha soffermarsi sulla sua interpretazione, cercando di capire se ciò abbia senso o meno? Nella storia penso si siano avuti diversi casi di questa condizione di ambiguità.
Entrambi: insomma, il problema che pongo è che il rispetto dell’ambiente non implica automaticamente la strutturazione di società migliori di quella attuale (e questo è un obiettivo che ci si dovrebbe sempre porre) e che quindi va necessariamente specificata la connotazione politica di un qualsiasi progetto di difesa ambientale che pretenda di interessare tutti i livelli della società. Vanno cioè posti dei paletti ideologici in modo da prevenire possibili approvazioni di regimi dittatoriali come quello di Balaguer da parte di eventuali decrescitisti “non politicizzati”. L’obiezione quindi vert proprio su questo: la mancanza di tali paletti.
Gli alberi li possono piantare anche i fascisti o i banchieri. O i Massimo Fini.
Se dovessimo soffermarci sul significato che assumerebbe il concetto di bene,in questo contesto,appare evidente che si possa considerare strumentale ai fini politici di una determinata ideologia,in questo caso dittatoriale.Di certo ciò che si sarebbe dovuta in prima istanza salvaguardare,ovvero la dignità umana,è stata considerata in realtà una mera parentesi all’interno del contesto storico al quale ci riferiamo.Di fatti,in tal caso,la possibilità di realizzazione di un sistema economico basato sulla decrescita,può risultare nullo e insignificante al cospetto dei soprusi e delle violenze attuati nei confronti dell’individuo.Ragion per cui nessun mezzo né fine può essere,a maggior ragione,utilitaristicamente giustificato.Rispettabile poteva essere considerato il risultato,in questo caso la salvaguardia ambientale,se non si fosse violato un diritto universalmente riconosciuto:il diritto all’esistenza.Infine,se ci fosse stata la minima propensione a coinvolgere attivamente la comunità all’interno di tale programma “ante litteram”,il risultato sarebbe stato auspicabile e realisticamente “felice”.
@La Revanche
«la possibilità di realizzazione di un sistema economico basato sulla decrescita,può risultare nullo e insignificante al cospetto dei soprusi e delle violenze attuati nei confronti dell’individuo»
Ma il nodo che sto cercando di sciogliere è proprio questo: la decrescita non è realmente un sistema economico, perché non dice nulla (lasciatemi utilizzare un’espressione vetero ma efficace) sui rapporti di produzione. E quindi può andare a braccetto, volendo, con tutti i sistemi economici veri. Ciascun decrescitista deve specificare a che sistema economico vero intende riferirsi, o non ha detto ancora abbastanza.
No. Allora. I diritti umani sono classificati in 4 generazioni. Le quali non hanno alcun significato gerarchico, ma sono una mera classificazione in base alla natura dei diritti:
1- Generazione: diritti giuridico politici. Vertono sulla persona nella sua individualità immediata.
2- Generazione: diritti sociali economici e culturali. Riguardano la persona in quanto parte di una comunità
3- Generazione: diritti planetari (per cui alla pace, alla tutela dell’ambiente…)
4- Generazione: legati alle ultime scoperte scientifiche. Dunque riguardano ad esempio la bioetica e i diritti virtuali.
Posto questo, per me che muovo da una visione di democrazia e pace (e quindi questa per me è la società migliore di cui parli) che si configura come rispetto dei diritti umani, la domanda che tu poni trova subito risposta. E’ inconcepibile rispettare un solo diritto e violare gli altri, come fece Balaguer.
In realtà nessuno ha mai pensato che l’ambientalismo da solo, anzi, per meglio dire, che un ambientalismo “astratto”, serva a qualcosa (tranne appunto gli Ent, che chiamavo in causa perché non credo abbiano tanto in considerazione i diritti di chi taglia i loro amati alberi).
Un tale ambientalismo si compierebbe anche (soprattutto?) nello sterminare l’umanità, e lasciare così libero l’ecosistema di rigenerarsi.
L’ambientalismo “reale” è sempre antropocentrico, e dev’essere finalizzato in ultima analisi al bene (-ssere, se non si vuole scendere troppo nel filosofico) dell’uomo.
Le teorie della decrescita riguardano principalmente un modello economico a cui tendere, e danno indicazioni a riguardo sia a livello personale che a livello macroeconomico.
I metodi autoritari (o meno), la scala gerarchica dei diritti (più importante il diritto tuo a tagliare un albero o quello di tutti a non vederlo tagliato?) sono tutto un altro discorso, molto ampio anch’esso, e naturalmente riguardano una posizione politica e filosofica ed – in una democrazia – un dibattito sociale. Ma questo non è stato negato mai da nessuno!
@elisa
Ti ringrazio per la delucidazione. Ma il rispetto di un diritto a scapito di altri diritti umani è inconcepibile per te che hai un ideale particolare di democrazia e pace; per tanti non è inconcepibile e anzi è auspicabile «nell’interesse della nazione» o della «crescita». Purtroppo.
@Stefano
Va bene, allora siamo d’accordo. Quello che sto mettendo in discussione è la possibilità di definire la decrescita una posizione praticamente politica. Per quanto i contenuti della decrescita possano in parte o in toto trovare in me simpatia o appoggio, di fronte alla domanda «sei di destra o di sinistra?», «libertario o autoritario?», «liberista o comunista?» e altre simili dicotomie, una mia eventuale risposta «sono decrescitista» resta inadeguata e insufficiente. La decrescita non supera il binomio destra-sinistra come spesso sembra alludersi. Nel dibattito e nella pratica politica, dal mio punto di vista è, ripeto ancora una volta, necessaria ma non sufficiente.
Ho semplificato al massimo e ridotto all’osso il discorso, ma spero di aver espresso il succo della mia opinione.
ho capito. breve inciso, la democrazia E’ il rispetto dei diritti umani. e questo non lo sostengo io.
quello che dico è che non capisco il senso dei tuoi dubbi. è ovvio che il rispetto dell’ambiente non basta.
cambia angolazione da cui guardi le cose
Sono d’accordo nel non definire la decrescita in senso politico.
A tal proposito vorrei suggerire il libro “Per un’abbondanza frugale.Malintesi e controversie sulla decrescita” di Serge Latouche ( http://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/5282-per-unabbondanza-frugale).
Ritornando al dibattito qui affrontato, trovo interessante l’analisi condotta da Latouche riguardo le controversie che si sono sviluppate intorno al concetto di decrescita. Ciò che vorrei appoggiare di tale analisi sono i presupposti:la pratica attiva che ogni società dovrebbe compiere ai fini della propria realizzazione e preservazione. Il movimento dell’individuo,inteso sia come pratico che intellettuale è la condizione necessaria per raggiungere risultati concreti. Risultati positivi solo se nel movimento non si insinua una visione dogmatica restrittiva.Con questo non voglio sostenere che lo spirito critico dell’individuo debba essere negato, penso anzi che,dopo aver gettato le basi di cellule comunitarie, il passo successivo sia il dialogo con il sistema politico di riferimento.
Concordo inoltre con il pensiero espresso da Latouche: smettiamola di considerare l’utopia come un “non luogo” mitizzato.L’uomo è un “un’animale politico” ed è anche, e soprattutto, pensiero che deve essere manifestato e tutelato.
“L’utopia concreta è la costruzione di un futuro ideale ma comunque possibile”.
Tanto per la cronaca, ho trovato un altro pelo nell’uovo. Ne ho scritto qui.