Walden
Come promesso nell’articolo precedente, ho letto un altro libro di Thoreau. In verità confesso di aver saltato alcune parti a causa dello stile a tratti ripetitivo e poco conforme alla condizione in cui mi piace leggere, ma è probabile che questa mia sensazione sia stata, più che noia, un senso di pienezza di contenuti: come se, a un certo punto, fossi saturo del libro, perchè il suo messaggio fondamentale è talmente pregnante che mi sono imbevuto del suo significato, come una spugna, da poter difficilmente ottenere di più dalla sua lettura. Il pensiero di Thoreau mi ha permeato tanto che da un certo momento in poi è stata come superflua ogni ulteriore lettura.
Nel corso della lettura, condotta con una matita e un foglio bianco a portata di mano, ho trascritto alcune frasi che mi piacerebbe condividere e che mi auguro facciano riflettere e discutere i lettori di questo blog. Infatti, nonostante il misticismo religioso e i chiari riferimenti ad una cultura protestante bigotta come quella della famiglia da cui proveniva l’autore, è bene tenere presente che è stato uno dei primi pensatori moderni a mettere in discussione la legittimità dello stato e della società stessa, teorizzando la totale libertà individuale (non senza problemi di natura giuridica né senza intoppi in materia di filosofia politica).
«Si dice che Mirabeau si desse alla rapina sulle strade maestre “per vedere che grado di coraggio sia necessario onde porsi in chiara opposizione alle leggi più sacre della società”. […] “Un soldato, che combatta nei ranghi, non ha bisogno di tanto coraggio quanto un brigante” »
Il suo interesse per le dottrine orientali, in particolare indiane, lo si evince a più riprese sia da riferimenti espliciti a personaggi ed eventi, sia dalla tensione verso la spiritualità e la ricerca interiore, rafforzata dal suo trascendentalismo filosofico-religioso. Questo atteggiamento io l’ho intravisto nella seguente frase:
«Ogni uomo è il signore d’un regno accanto al quale l’impero terreno dello Czar non è che un insignificante staterello»
e in queste altre:
«Qualsiasi verità è meglio dell’inganno. Tom Tyde, il calderaio, mentre stava sul patibolo, a quelli che gli chiedevano se non avesse nulla da dire, rispose: “Dite ai sarti di fare il nodo in fondo al filo, prima di dare il primo punto”. La preghiera del suo compagno è stata dimenticata»
«La superficie della terra è morbida, atta a ricevere l’impronta dei piedi umani, così sono i sentieri che la mente percorre»
«L’anima, dalle condizioni in cui è posta, sbaglia a riconoscere il proprio carattere finché la verità non le è rivelata da qualche santo maestro, e allora essa scopre da sé di essere Brahma»
Per finire, qualche spunto decrescitista, che dedico con tutto il cuore al movimento NoTav:
«Chissà, se gli uomini si costruissero la loro casa con le loro mani e provvederanno il cibo per sé e per le loro famiglie con sufficiente onestà e semplicità, se le loro tendenze poetiche non sarebbero universalmente sviluppate come negli uccelli, che cantano anche quando si stanno costruendo il nido?»
«Se necessario, si trascuri di costruire un ponte sul fiume, e magari, così, in quel tratto si allungherà un po’ la strada; ma si getti almeno un’arcata sul più oscuro golfo dell’ignoranza che ci circonda»
Vi lascio con la traduzione dal latino di Alexander Pope:
“Nor wars did men molest
When only beechen bowls were in request”
Short Link:
Hai ragione: anche a me il libro, pur pregevole, è parso a tratti eccessivamente prolisso, con descrizioni fin troppo mistiche. Ma il primo capitolo vale l’intero libro.
Leggendolo, pensavo continuamente: sarebbe possibile, oggi, ripetere l’esperimento? (In fin dei conti Thoreau dopo due anni tornò alla così detta ‘civiltà’…). E me lo chiedo sia ‘oggettivamente’ (lo Stato me lo permetterebbe?) che ‘soggettivamente’ (davvero sarei in grado di fare a meno di pressoché qualsiasi comfort?).
Chissà: magari, dopo aver appurato l’impossibilità di un qualsivoglia futuro, sarà una scelta costretta.
È anche colpa di questo libro – letto alle vigne sotto l’ulivo – se adesso non riesco più a stare nell’appartamento e m’è venuta una fame smaniosa di terra.
@Davide: sei d’accordo con me nel ritenere che tentare di superare la difficoltà soggettiva, in questa epoca, sarebbe più interessante ma anche di gran lunga più difficile da realizzare rispetto alla difficoltà oggettiva? Perchè la questione principale, secondo me, non è fare a meno di qualsiasi comfort, come suggerisci, ma capire realmente cosa è il comfort e quanto me ne serve, se me ne serve.
Comunque condordo sulla valutazione del primo capitolo; in effetti è a partire dal secondo che si perde lo spirito d’invettiva e si insinua una vena misticheggiante. Tuttavia, devo ammettere che l’atteggiamento verso la meditazione mi ha colpito e affascinato, seppur meno che gli intenti sociali del primo capitolo.
@Ossidia: la terra non manca, il problema è l’acqua: avevo proposto a Nello di lanciare un progetto di condivisione della terra, di coltivazione di sussistenza e di scambio di prodotti attraverso la creazione di piccoli appezzamenti di terra ricavati dal terreno che resta vicino a casa nostra, che è abbastanza per qualche paio di orticelli. Purtroppo l’unico problema è che la nostra capacità idrica non è sufficiente! Mannaggia! Ci toccherà raccogliere l’acqua piovana e/o inventarci altri stratagemmi, ma prima di allora l’orto sociale non si potrà fare!
Credo che si possa capire quanto ‘comfort’ ci serva cercando di farne il più possibile a meno. Per anni, in piena era internettiana, ho vissuto al bosco, privo di qualsivoglia connessione (nonché di fonti di riscaldamento diverse dalla legna…); pure quest’estate per due mesi ho fatto a meno della rete – e delle news, del gossip strepitato da tanti giornali e troppi blogger.
Quanto all’acqua, credo che il problema sia più estivo che invernale – per non dire del fatto che è un problema soprattutto per certe colture (solanacee, cucurbitacee). Si spera che le fave siano più parche. 🙂