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  • Ripulirsi la coscienza con l’accoglienza

    «Chi non vuol parlare di capitalismo, dovrebbe tacere anche sul fascismo»
    Max Horkheimer

    Le lacrime non basterebbero per piangere o ridere di fronte all’ipocrisia con cui i governi europei stanno affrontando la crisi umanitaria sul confine orientale della Fortezza Europa. Dopo il greenwashing e il pinkwashing, oggi secondo la moda del momento all’ordine del giorno nell’opinione pubblica stiamo assistendo adlla comparsa di un’altra forma di lavaggio della coscienza (e del cervello): quello della millantata solidarietà per i profughi, che rende chiunque la decanti e la condivida innocente e nobile d’animo e di cuore. Basta dire che quelle vite hanno un valore per essere circondati di un’aura da benefattore, a prescindere dalle ricadute che poi le strategie di contenimento, respingimento ed espulsione realmente hanno sulle vite dei migranti.

    Così, Renzi, dai microfoni dell’Expo, evento sostenuto dalle peggiori multinazionali del pianeta che cementificano, desertificano, inquinano, sfruttano e devastano risorse e popolazioni in ogni angolo del mondo, ai suoi fan (come altro chiamarli?) può dire che «questa è l’Italia vera solida e solidale», può schierarsi contro la costruzione di muri come quello ungherese voluto da Orban al confine con la Serbia e definire «bestie, non umani» quelli che sono contro l’accoglienza dei profughi, poco dopo aver stretto la mano a Netanyahu, che intende estendere le recinzioni anti-immigrazione su tutto il confine tra Israele e la Giordania, apparentemente senza in questo vedere nessuna contraddizione. Del resto, anche Netanyahu dichiara che «Israele non è indifferente alla tragedia umana dei rifugiati siriani e africani».

    Così l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, già qualche mese fa dopo l’ennesima tragedia di un naufragio nel Mar Mediterraneo, annunciava che «per l’Europa è impe­ra­tivo sal­vare tutti insieme delle vite umane, così come tutti insieme dob­biamo pro­teg­gere i nostri con­fini e com­bat­tere il traf­fico di esseri umani», sorvolando sul fatto che gli scafisti e il traffico di esseri umani esistono proprio perché “noi” proteggiamo i “nostri” confini, apparentemente senza in questo vedere contraddizioni. Chiudere le frontiere, qualunque sia il modo in cui lo si fa, significa favorire il traffico di esseri umani; far finta di non capire questo è essere complici.

    Per non parlare di come si ripuliscono la coscienza la Germania e l’Austria, che improvvisamente diventano “buone” anche agli occhi degli attivisti per i diritti dei migranti in quanto hanno aperto le frontiere per fronteggiare l’ondata di rifugiati giunta dai vicini Balcani, dopo ripetuti episodi di violenza e repressione. Come se Austria e Germania non avessero sistemi di “identificazione ed espulsione” tanto lesivi dei diritti dei migranti quanto lo è la violenza delle forze di confine. E infatti ci sarebbe da chiedere una cosa: un mese o un anno fa migranti non ce n’erano? Le frontiere si aprono, momentaneamente, solo quando ci sono migliaia di persone intrappolate nella stazione di Budapest, con gli occhi del mondo puntati, giusto per fare bella figura rispetto all’Ungheria xenofoba che ha eretto il muro?

    Ma, a proposito di muri, vogliamo parlare di quegli occidentali che nel 1989 esultarono per la caduta del muro di Berlino, in nome della libertà di circolazione, ma oggi sono a favore dei muri attuali? E se non a favore, perlomeno non contrari, e se contrari perlomeno molto timidamente. Forse perché all’epoca la libertà di circolazione era limitata in nome del “comunismo” sovietico mentre oggi lo è dalle frontiere fantoccio del mondo neoliberista? Frontiere, tra l’altro, difese formalmente da organi e istituzioni di fatto esautorati dei propri poteri politici, e  le cui decisioni non sono che ratifiche di decisioni prese altrove: nelle stanze segrete in cui viene stipulato il TTIP, nelle sedi della finanza mondiale, nelle banche  in congressi di figure del tutto estranee al controllo democratico. I confini, di fatto, non esistono più per la finanza e il mercato; continuano ad esistere, invece, per gli esseri umani, in quanto portatori di una particolare merce, la forza-lavoro, la quale, se segregata e resa ricattabile, diventa più facilmente assoggettabile a crescenti forme di sfruttamento.

    Ecco perché chi non vuol parlare di abolizione delle frontiere come strumento di sfruttamento e di limitazione della libertà di circolazione, dovrebbe tacere anche sull’accoglienza.

  • Il PD non è una risposta

    In un suo saggio tagliente e conciso, dal titolo A brief history of neoliberalism, nel 2005 David Harvey spiegava come la globalizzazione neoliberista, portartice di un individualismo sfrenato e del totalitarismo del mercato, non manchi di incontrare resistenze e reazioni alla sua azione plasmatrice e invadente, che si insinua (come solo i rapporti di classe e di produzione sanno fare) in ogni singolo ambito della vita umana. Le resistenze che il neoliberalismo incontra sono molteplici, perché molteplici sono le forme con cui il neoliberalismo si presenta con la funzione di restauratore del dominio di classe. Ci sono reazioni che si contrappongono alla globalizzazione nel solco dell’anticapitalismo, in maniera più o meno radicale, rispondendo all’individualismo con il mutualismo e la solidarietà. Ne esistono altre che rispondono allo sfibramento dei legami sociali richiamandosi ad altre forme di comunità, più identitarie: si va dai gruppi religiosi alle formazioni nazionaliste, alle narrazioni identitarie se non apertamente fasciste.

    Alla luce di questa distinzione (che non è affatto banale), è possibile classificare con una certa facilità le risposte elettorali alla crisi del neoliberismo (che è tuttavia anche una crisi nel neoliberismo) manifestatesi in occasione del voto europeo. La crescita della sinistra nella penisola iberica è un esempio di risposta solidale: in Spagna al 17,98% sommando Izquierda Unida e il neonato movimento Podemos, in Portogallo al 17,24% sommando il Bloco de Esquerda e il Partido Comunista Português. Un’altro esemio di risposta mutualistica e solidale è costituito dall’incredibile vittoria di Syriza in Grecia col 32,5% dei voti, un risultato nato e costruito dalle esperienze di movimento, dalle piazze, dal conflitto, dai laboratori di autogestione e collettivizzazione dal basso. Dall’altro lato, le risposte identitarie, che all’individualismo di mercato si contrappongono costruendo legami sociali sulla base dell’etnia, della tradizione, della nazione ed esprimendoli con il nazionalismo e la xenofobia. Questo è chiaramente il caso di partiti come il Front National (24,85%) in Francia, il UKIP (28%) in Gran Bretagna, l’alleanza di governo tra Fidesz e Jobbik (66,2%) in Ungheria. Ovunque i partiti di governo escono indeboliti, se non additittura desautorati del mandato popolare. Tranne in un paese: l’Italia.

    Un paese che, in un contesto in cui tutti come reazione alla crisi cercano di cambiare qualcosa spostandosi a destra o a sinistra radicalizzando le posizioni di conflitto, è l’unico a non radicalizzare alcun tipo di contrapposizione. Premia il governo, favorisce la stabilità della crisi e nella crisi. Uno sciame di Don Abbondio che, spaventati dall’oppressione, si rifugiano sotto le ali dell’oppressore, trovandole l’unico luogo sicuro. Un’eterno fenomeno italiano che consiste in una tendenza alla diluizione in chiave “moderata” di qualunque cosa.

    Il maggiore partito di governo, cioè il PD (destra) ha superato la soglia psicologica del 40%. Questo non solo è una vittoria interna, in quanto rafforza la posizione del PD nel governo rendendolo meno passibile di ricatti da parte degli altri due partiti alleati, annientati completamente dalla competizione elettorale; è anche una vittoria continentale, poiché il PD in Europa sarà il maggiore azionista del raggruppamento del PSE (32 eurodeputati contro i 23 della Spd tedesca e i 23 della PSOE spagnolo), nonché l’unico in Europa ad aver aumentato i consensi sia in termini percentuali sia in termini assoluti (dagli oltre 8 milioni di voti delle scorse politiche agli oltre 11 milioni di ieri) e l’unico partito di governo del PSE a non uscire indebolito dal voto. In altre parole, il PSE obbedirà più a Renzi che a Schulz, con conseguente spostamento a destra del raggruppamento (come se già non bastasse la brillante carriera dei suoi partiti aderenti, tutto in un modo o nell’altro promotori, nei propri paesi, di politiche di austerity e di rispetto incondizionato delle ricette neoliberiste) e stabilizzazione della governance europea.

    Ora, tornando al discorso iniziale, la domanda è: a quale dei due generi di risposta al neoliberismo appartiene il risultato ottenuto dal PD?

    Classificarlo come risposta mutualistica e solidale sarebbe un’operazione di pura propaganda, che solo un mentecatto o un bugiardo potrebbe compiere. D’altro canto, è vero che il PD, nella sua retorica e nella sua azione, si richiama a concetti come coesione sociale, responsabilità nazionale, superamento degli steccati, ma questi non vengono declinati in un’ottica nemmeno apparantemente di contrapposizione alla globalizzazione. Ci si potrebbe spremere per ore senza trovare la risposta a questa domanda. Perché la domanda è semplicemente sbagliata. Il fatto è, signori, che il PD non è una risposta al neoliberismo. Il PD è il neoliberismo.

     

    E di fronte all’aggressione neoliberista, come reagiscono gli elettori italiani? Con una risposta solidale? Con una risposta nazionalista? No: di fronte all’aggressione neoliberista, gli elettori italiani la acclamano.