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  • O noi o i nazisti – «Questo movimento è ecumenico»: la concezione del popolo

    Questo articolo è la quarta di quattro parti di un’analisi del Movimento Cinque Stelle dal titolo O noi o i nazisti
    «L’antifascismo non mi compete»: anti-antifascismo del M5S
    «Da te non me l’aspettavo»: quando Grillo non urla
    «Questa è la democrazia»: il movimento come Stato
    «Questo movimento è ecumenico»: la concezione del popolo

    Confrontandosi con un sostenitore del M5S, la maggior parte delle critiche espresse sulle idee provoca un impasse: generalmente la risposta è che quella particolare idea non è che un’opinione personale e non deve essere considerata propria di tutto il movimento. Allora uno, per prevenire simili risposte, prova a criticare un’idea espressa sull’organo di movimento, il sito… che però è anche il sito personale di Grillo, quindi si torna al punto di partenza del semplicissimo diagramma di flusso: quella è un’idea di Grillo, non di tutto il movimento.

    Insomma, il problema è sempre lo stesso: è inutile cercare un’opinione di tutto il movimento, perché tale opinione non esiste. Questo concetto è stato espresso nella prima parte di questa analisi.
    Se mancano reali convergenze unificanti, non è sui contenuti che gli aderenti possono contare come collante; infatti ciò che li tiene insieme è Grillo, non un contenuto. Questo è stato argomentato nella seconda parte.
    Il risultato di tale mancanza è la vuotezza del concetto di democrazia propagandato, che si appella a un’inesistente e velleitaria volontà generale. Questo discorso è stato affrontato nella terza parte.
    In quest’ultima parte, si tratta della visione di fondo implicata dalla concezione grillina di democrazia.

    Lo sgretolamento dell’identità politica, espresso dal rifiuto delle “ideologie”, riflette quello dell’identità sociale, provocato dal crollo della coscienza di classe prodotto dall’atomizzazione di massa con i processi capitalistici degli ultimi decenni, che hanno realizzato il sogno dell’individualismo. Così come le “ideologie”, intese come sistemi onnicomprensivi, sono crollate frammentandosi in semplici “idee”, intese come singole soluzioni a problemi circoscritti, allo stesso modo le classi sociali, orfane della coscienza di classe, sono diventate categorie inadeguate frammentandosi in singoli individui. Il M5S intende dichiaratamente rapprentare i singoli individui con le singole idee, mettendo da parte qualsiasi appartenenza politica tradizionale o comunque pregressa.

    Questa volontà trova la sua spiegazione solo se inquadrata in una particolare visione, in cui, come osserva Giuliano Santoro (qui), «non esistono parzialità, differenze di classe, conflitti. Il popolo è la massa omogenea e pacificata unita in nome di chissà quale identità». Affidarsi alla “volontà generale” senza dotarsi anche di limitazioni oltre cui tale volontà sia da considerarsi inaccettabile non è democrazia, ma populismo, ovvero un atteggiamento volto ad assecondare le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto, della loro opportunità: se la maggioranza degli attivisti e degli elettori del M5S diventasse, per dire, omofobo da un giorno all’altro, per il movimento non ci sarebbe alcun problema: l’importante è rappresentare “i cittadini”, a prescindere da chi sono e cosa vogliono.

    In questo contesto, infatti, le azioni politiche dei comitati locali rispecchiano le posizioni dominanti in un luogo specifico in un momento specifico, e in certi casi questo risulta evidentemente contraddittorio dal punto di vista complessivo. Per esempio, il comitato di Parma ha manifestato per la chiusura di Casapound (vedi) perché «viola i principi della Costituzione italiana e leggi della Repubblica come il divieto di istigazione all’odio razziale e apologia di fascismo», ma quello di Bolzano contro la sua chiusura (vedi) asserendo che si trattava di «un gruppo di ragazzi che non solo hanno le carte in regola ma anche, fino ad ora, organizzato serate su temi diversi e interessanti, senza segni di apologia». Come è possibile? Semplice: si tratta di due comitati diversi. A causa della vuotezza di contenuti del M5S, il fatto che due comitati del M5S adottino posizioni l’una l’opposto dell’altra non genera assolutamente nessuna incoerenza.
    Oppure: il mese scorso, i consiglieri bolognesi del M5S hanno votato un OdG del PdL in cui si esprime cieca solidarietà a Casapound, senza se e senza ma, ancor prima di conoscere in dettaglio le dinamiche dell’accaduto (vedi).
    O ancora: a Pontedera il comitato locale si è rifiutato di partecipare a una manifestazione in solidarietà a bambini stranieri aggrediti da militanti di Casapound durante una cerimonia di premiazione all’insegna dell’integrazione (vedi).
    Di recente, il gruppo milanese ha votato a malincuore contro finanziamenti per il giorno della memoria (vedi), perché così avevano stabilito le consultazioni online. È evidente che, dal loro punto di vista, sono stati ineccepibili e trasparenti: personalmente avrebbero agito diversamente, «ma noi eletti siamo solo portavoce» e non gliene si può fare una colpa.

    Finora, per “cittadini” si è intesa la “totalità degli individui che vivono in Italia”, e la retorica del M5S tende a dipingerlo come rappresentanza di quest’ultima. In realtà, questo è falso.
    Non tutti sanno che l’iscrizione al M5S è permessa solo a italiani: il Non statuto recita all’articolo 5 che «il movimento è aperto ai cittadini italiani maggiorenni». I “cittadini” che il M5S vuole rappresentare, quindi, sono gli “individui con cittadinanza italiana”. Qui il cerchio si chiude: il rifiuto della rappresentanza di interessi “di classe” si accompagna all’accettazione della rappresentanza “di nazionalità”; questo discorso è puramente ideologico e ricalca e richiama vari tipi di rappresentanza storici, in primis quella nazionalista, che divide gli interessi politici degli individui non in base alle loro condizioni materiali ma a concetti astratti e arbitrari come la cittadinanza e la nazionalità.
    Ecco dunque che, dimenticando ed escludendo gli stranieri, anche di seconda generazione, e tutte quelle persone prive formalmente di cittadinanza, come gli immigrati senza documenti, il M5S inserisce delle limitazioni al concetto di rappresentanza “totale”, rivelandosi in questo un movimento ideologico al pari della politica da cui vanta di distinguersi.

    Un’ultima cosa: c’è anche da chiedersi il senso della pubblicazione di quegli stralci del dialogo tra Grillo e Di Stefano da parte di Casapound Italia, resi praticamente uno spot elettorale con tanto di slogan alla fine («La prossima volta che voti, falli piangere»): visto che il M5S si presenta come una forza indipendente per le prossime elezioni politiche, tale scelta si rivelerebbe un boomerang per i candidati dell’estrema destra, che si troverebbero a pubblicizzare un avversario, se non fosse motivata dalla consapevolezza che Grillo è benvisto da una consistente porzione dell’elettorato (anche se in contrazione) e che una sua uscita a favore di Casapound, da parte di lui che non si è mai dichiarato favorevole a nessun’altra forza politica, non può che fungere da sponsorizzazione nel contesto dell’invasione del campo politico da parte della cultura aziendale. In altre parole, Casapound spera di ottenere visibilità tramite il marchio Grillo (di cui si parla qui), conosciuto, apprezzato, familiare, affidabile per molti: si tratta quindi di una strategia di marketing che mira a intercettare il voto di chi trova credibile Grillo, non necessariamente votandolo. Un possibile corollario è che molti neofascisti “delusi” negli ultimi anni si sarebbero rivolti al M5S e che questo video serva a farli tornare sulla retta via.

    «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me»

    Nota a margine: grazie Giap

  • La disobbedienza civile

    H. D. Thoreau nel 1854

    Se nelle ultime due settimane non ho scritto nulla è stato per motivi di studio e non per mancanza di argomenti da trattare, che anzi mi affioravano alla mente con insistenza (decrescita, globalizzazione, movimenti). Ma fra un blocco di appunti e un libro di citologia ho trovato comunque come ritagliarmi il tempo per qualche sana lettura estiva, come potreste aver notato dall’elenco qui a lato, e così ho letto due libelli di Henry David Thoreau che hanno segnato la filosofia anarchica ottocentesca: La disobbedienza civile (1849) e La vita senza princìpi (1863).

    Non volendo tediarvi troppo con la sua biografia, che chi vorrà potrà leggere altrove, mi limito a ricordare che, tanto per la personalità quanto per le scelte di vita, Thoreau fu sempre un bel tipetto: si rifiutò di pagare le tasse in segno di protesta contro le scelte guerrafondaie degli Stati Uniti, allora in guerra con il Messico, e per questo fu arrestato; da allora perse completamente la fiducia nell’istituzione statale («compresi che lo Stato era stupido, […] che non sapeva distinguere gli amici dai nemici, e persi completamente il rispetto nei suoi confronti che mi era rimasto, compatendolo») e decise di distaccarsi non solo da essa, ma anche dall’idea stessa di società, ritirandosi ad una vita appartata anche fisicamente, una scelta questa che lo spinse ad abbandonare la città e a costruirsi una capanna, in riva ad un lago isolato, in cui visse (e scrisse) per due lunghi anni.

    Il linguaggio è chiaro ed i contenuti, nonostante i continui riferimenti biblici e religiosi, nonostante l’ingenuità di alcune sue considerazioni economiche (ma capiamolo, è un pensatore pre-marxista), hanno l’arditezza di andare contro una tradizione filosofica e politica che nello Stato borghese ottocentesco era difficile scalzare: quella di giustificazione dello Stato borghese stesso. Egli lo nega, ne rifiuta la legittimità, fa lo stesso con la democrazia, considerata innaturale (perchè infatti una maggioranza dovrebbe avere il diritto di governare? «La ragione pratica per la quale […] si permette ad una maggioranza di governare, non risiede nel fatto che è più probabile che essa sia nel giusto, […] ma è solo perchè la maggioranza è fisicamente più forte»). Egli propone un’anarchismo individualista, anticipando lo Stirner tardo ottocentesco, e suggerendo validi motivi e validi metodi per abbattere la tirannia democratica, dittatura e imposizione dei più sui pochi.

    Penso tuttavia che Thoreau si scontri con la realtà quando auspica una rinascita individuale e spirituale (ecco l’impeto religioso…) senza programmare un sistema di convivenza che possa prendere il posto dell’esistente (ma anche qui, gli manca l’undicesima tesi su Feuerbach). Si potrebbe liquidare la mia critica facendo notare che a Thoreau non interessano minimamente i massimi sistemi o la costruzione di modelli sociali successivi all’abbattimento della tirannia, semplicemente perchè una volta che l’individuo, da solo, arriva a rifiutare la forma statale, la tirannia è virtualmente abbattuta e la storia si è finita lì. Ma Thoreau commette lo stesso errore-orrore liberista nel considerare l’individuo come entità isolata, in grado di scegliere autonomamente e razionalmente ciò che gli conviene e di scartare e rifiutare ciò che non gli conviene: l’individuo, non c’è bisogno di dimostrarlo in alcun modo, vive tra gli altri e fa parte di una collettività; le sue scelte sono condizionate da regole, tabù, idee e idiosincrasie che non vengono da lui, né dal cielo, né da sole, ma dal rapporto che egli instaura con altri individui. Io posso rifiutarmi di pagare le tasse, di prestare il servizio militare, di votare alle elezioni, di rispettare una legge, ma il solo rifiuto individuale non basta a liberarmi.

    In compenso tanti sono gli spunti interessanti, primo fra tutti il pezzo in cui critica quelle che Benasayag poi chiamò «anime belle»: «Ci sono migliaia di persone che in teoria sono contrarie alla guerra e alla schiavitù, ma che in effetti non fanno niente per porvi fine, […] se ne stanno sedute con le mani in tasca e dicono di non sapere che cosa fare e non fanno nulla». Oppure: «Quando la maggioranza alla fine voterà per l’abolizione della schiavitù sarà perchè la schiavitù le è indifferente e perchè le sarà rimasta ben poca schiavitù da abolire con il voto».

    Infine, leggendolo in questo periodo di tempesta finanziaria e sociale, non posso che trovare considerazioni perfette per il momento, che lui faceva sulla guerra messicana ma che potrebbe trasporsi sostituendo il soggetto con la manovra del governo Berlusconi e con il peso schiacciante del capitale finanziario nel mondo globalizzato: «è opera di un numero relativamente ristretto di persone che si servono del governo stabilito come proprio esclusivo strumento, poiché il popolo non avrebbe consentito all’impresa». Mi sembra evidente che oggi, molto più che nell’ottocento, è ancora difficile scalzare l’ideologia di cui sopra.

    E ora il prossimo libro da leggere è Walden!

  • Spargimenti di sangue

    Mi chiedo se coloro che si ergono a difesa della democrazia liberale, condannando ferocemente “le ideologie” della sinistra radicale adducendo come motivo la violenza e la morte che a questa sarebbero connaturate, abbiano mai avuto cura di ragionare un poco.

    Pensano forse costoro, senza la minima profondità storica, che la democrazia borghese sia una costante della storia o un sistema immutato che da sempre è esistito e i cui valori risiedono nella natura stessa del genere umano? Pensano che due o cinque secoli fa un uomo qualunque potesse immaginarsi lontanamente un sistema in cui tutti potessero, votando, esprimere la propria opinione?

    Non tengono certamente conto (o non riescono a trarne le dovute conclusioni) del fatto che i liberali e i democratici in Europa erano appena due secoli fa considerati esattamente alla stregua di banditi, pericolosi sovversivi, elementi di cospirazioni da soffocare, finalizzati all’eversione e al rivolgimento sociale, proprio come nel secolo successivo i socialisti, i comunisti e gli anarchici; del fatto che Silvio Pellico, Giuseppe Garibaldi, i fratelli Bandiera, Giuseppe Mazzini furono per tutta la vita perseguitati, furono imprigionati, furono ammazzati per le proprie idee e per questo diventarono degli eroi nazionali, mentre con meno misticismo e idealizzazione si guarda a quelli “ideologizzati” che pure subirono la stessa sorte, come Giuseppe Pinelli, Adriano Sofri, Saverio Saltarelli, loro no, a loro niente statue, erano solo dei facinorosi assetati di sangue.

    Il punto è che la bontà di un’idea non si giudica sulla base di quante persone sono morte per difenderla o nel subirla, come spesso si vuole far credere. Un esempio? Il nazismo. Quante volte fin dalla scuola elementare ci hanno detto che i nazisti erano cattivi e che il nazismo è sbagliato perchè ben 6 milioni di ebrei ne furono vittime? Eppure, cosa importante, che può sembrare un dettaglio ma che invece è di rilevanza non indifferente, il nazismo era sbagliato non per il fatto che fossero 6 milioni, quanto per il fatto che fossero ebrei, il chè è, per una persona ragionevole, un motivo tanto stupido che solo averlo assecondato fa già crollare buona parte della dottrina hitleriana.

    Insomma, chi difende l’ideale della democrazia e allo stesso tempo respinge quello comunista o libertario perchè è violento e ha fatto tanti morti, dovrebbe farsi il conto di quanti morti hanno fatto la Rivoluzione francese e i moti europei dell’Ottocento, soprattutto quando per giustificarsi dice il classico «mi piacciono i principî ispiratori ma è un’utopia», perchè l’Illuminismo e la sovranità popolare erano proprio le utopie degli uomini del Rinascimento.

    E dovrebbe avere il coraggio di voltarsi indietro, per guardare la scia di sangue che hanno lasciato per poi additare altri facendosi prendere, consapevolmente o meno, dall’ipocrisia che il sistema ha insegnato loro a far propria e dalle reazioni indignate che ha insegnato loro a ostentare con espressione ripugnata.

  • Sardigna pesa, ischìda Sardigna

    Cosa esattamente nella testimonianza trasmessa da Annozero il 5 maggio lasci turbati non è facile da dire, perchè sono tante cose insieme.

    Prima di tutto essa stona con il contesto in cui viene a trovarsi: da una programmazione televisiva asservita al potere, che censura preventivamente ogni possibile riferimento al referendum popolare del prossimo 12-13 giugno, che distoglie gli italiani dai problemi del paese dirottando i loro interessi su pettegolezzi e modelli comportamentali che minano alla base le conquiste di millenni di civiltà come il dialogo e il predominio della ragione sugli istinti, che nasconde la natura della crisi e le sue conseguenze o, nei rari casi in cui non può permettersi di farlo, la minimizza e ne parla come di acqua passata, è difficile aspettarsi di ricevere informazioni che non siano di qualità minore di quegli articoli delle riviste che generalmente le persone tengono accanto al cesso.

    Eppure, la sera del 5 maggio la diretta è riuscita a evadere i giochetti della censura, che ha avuto una falla dalla quale si è riversato impetuosamente in studio un mondo diverso da quello dipinto dai telegiornali di partito, dai talk show, dai reality: era un mondo, quello reale, che si esprimeva senza filtri, senza copioni, senza cerone e altri trucchi  e senza mediazione tra la telecamera e la realtà. Insomma un mondo genuino, che appare così come è.

    Ed è sfruttato, dilaniato, oppresso, disperato e non ha paura di dire davanti a tutti, a volto scoperto, che «l’Africa è vicina» non solo geograficamente. Nel Sulcis è successo quello che potrebbe succedere ovunque sia portato ad estreme conseguenze il predominio dell’economico sul sociale, del finanziario sul politico. L’unico modo possibile di difesa che hanno trovato gli abitanti del Sulcis (120 mila abitanti, 30 mila disoccupati) è la condivisione delle rivendicazioni: artigiani, commercianti, operai, pastori, tutti padri e madri di famiglia che ogni mese devono «decidere se fare la spesa, pagare le tasse o licenziare dipendenti».

    In risposta a una politica cieca di fronte al disastro sociale, i comitati cittadini del Sulcis hanno organizzato una grande manifestazione regionale per giorno 12 maggio, che si terrà a Cagliari fin sotto gli edifici della Regione.

    E i giornali nazionali e l’informazione tutta… come hanno reagito di fronte alle ripetute esternazioni di rabbia del popolo? Ovviamente dando il minimo rilievo possibile alla notizia e, se possibile, ignorandola completamente: nessun telegiornale ne parla, tra i giornali nazionali solo L’Unità tratta della vicenda, limitandosi a scrivere che la Sardegna è come un laboratorio e che «in passato ha spesso anticipato tendenze politiche nazionali», mentre la rivoluzionaria La Repubblica vede bene di non farne assolutamente cenno (perchè certo non si sputa nel piatto in cui si mangia).

    Questo perchè la condivisione delle lotte al fine di rivendicare diritti dà comprensibilmente fastidio a tutti, in quanto questa volta la condivisione non parte dalla tanto balbettata esigenza di un “rinnovamento morale” né della trita riscoperta del senso di appartenenza all’identità nazionale ultimamente sbandierato a destra e a manca, bensì dal bisogno di soddisfare necessità materiali e di primaria importanza.

    Per questo il Movimento che si sta autorganizzando in Sardegna dovrebbe far paura a chi vive nel mondo dei sogni e dei paradisi fiscali; per questo lo si censura e si evita di fornire notizie sulla questione; per questo non ci viene detto dagli organi di informazione della grande protesta sarda che sta montando nell’isola e che per ora ha una data di riferimento: il 12 maggio.

    Sarebbe bene che gli studenti sardi si unissero alla protesta, portando al compimento il tentativo di unificare le lotte. E voglio anche un giuramento della pallacorda, un’Assemblea Costituente, una comune e dei comitati.

    FORZA PARIS! TUTTI INSIEME!