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  • Di quale «guerriglia» state parlando?

    Venerdì si è svolta una manifestazione indetta dal movimento No MUOS. Il percorso del corteo si addentrava nella sughereta di Niscemi, dentro alla riserva naturale in cui il governo statunitense d’accordo con quello italiano vuole realizzare l’imponente sistema di coordinamento di attività belliche a livello continentale. Diverse migliaia di persone, un numero notevole per il periodo estivo che notoriamente intorpidisce corpi e menti, hanno preso parte alla marcia confermando la forza crescente di un movimento che ha saputo costruire il proprio consenso intorno a parole d’ordine come il principio dell’autodeterminazione, il diritto alla salute e la condanna della guerra e del servilismo delle autorità nostrane di fronte al volere dell’Impero.

    antennemuosDopo aver percorso il tratto all’interno dell’area della riserva, sbucata davanti ad uno dei cancelli, la testa del corteo si è trovata a fronteggiare uno schieramento di forze dell’ordine disposte in modo da impedire il passaggio verso l’ingresso della base militare USA. Alla richiesta di entrare simbolicamente nella base (anche perché: per quale altro motivo si potrebbe voler entrare?), la risposta è stata una serrata di scudi e la disposizione dell’anti-sommossa. Si è avuto quindi un contatto tra le forze dell’ordine e le prime file del corteo, un po’ perché queste pensavano di poter soverchiare gli uomini che impedivano loro l’accesso, un po’ perché spinte dal flusso della restante parte del corteo, e per qualche minuto la tensione ha portato a qualche spintone da una parte e qualche manganellata dall’altra. Subito dopo, risultando praticamente impossibile scavalcare il blocco, la testa del corteo ha cambiato direzione cominciando a costeggiare il confine della base, segnalato dalla presenza di un’alta recinzione e di filo spinato. Tutto il corteo si è così dispiegato intorno alla recinzione, per tutta la lunghezza che gli era possibile coprire. In due punti sono state tagliate le reti della recinzione e sono stati aperti dei varchi attraverso cui i manifestanti si sono riversati, in quasi un migliaio, sul suolo regalato dalle istituzioni italiane al dipartimento della difesa statunitense.

    La ragion d’essere di questo articolo è che secondo alcuni il taglio delle reti e la violazione del suolo militare sono state scelte strategicamente inefficaci che non hanno fatto altro che danneggiare il movimento: per costoro, la giornata di ieri è stata una disfatta.

    Ecco invece un punto di vista differente: la giornata di ieri è stata di straordinaria “disobbedienza civile” di massa, in cui una porzione considerevole del corteo non ha indietreggiato di fronte alla simbolica inviolabilità dei confini imposti dal potere, ha violato la legge che rende quel suolo «sito di interesse strategico nazionale» e ha concretizzato l’idea, che da sempre lo caratterizza, che quella «è casa nostra».

    «Ma cosa si è ottenuto?» potrebbero chiedere in molti, capitanati da chi condanna tutta la giornata basando il proprio giudizio sulla sua millesima parte, ovvero i due minuti in cui si è verificato il contatto fisico diretto tra la testa del corteo e alcuni uomini delle forze dell’ordine. Si è ottenuta innanzitutto la realizzazione di una primaria rivendicazione, perché se un movimento non fa altro che dire «questa è casa nostra» non può ritirarsi di fronte alla possibilità di calpestare il suolo che dichiara essere casa sua: si è così dimostrato che il suolo si può riprendere, lì come altrove, e che come ci si è appropriati di quel suolo ci si può riappropriare di altro. In altre parole, l’ingresso in massa nella base militare costituisce una lezione, educa alla riappropriazione e mostra che le parole d’ordine possono non rimanere semplici parole e farsi invece carne.

    Il taglio delle reti ha anche un significato politico simbolico e con risvolti psicologici. La recinzione non è infatti che la delimitazione di un luogo secondo l’arbitrio del potere, non si tratta soltanto di un luogo fisico: il limite imposto è spaziale, in quanto definisce l’esistenza di un’area inaccessibile e sotto costante controllo, ma anche astratto, in quanto sancisce la separazione giuridica di due aree sottoposte ad un controllo differente, in cui vigono regole differenti (la base militare è stata dichiarata da una legge «sito di interesse strategico nazionale»).

    invasione 2«Quello che è stato fatto» dicono alcuni «ha allontanato dal movimento una grande quantità di siciliani: ci si deve adeguare alla loro mentalità, non cercare di cambiarla». La giornata di venerdì non ha mostrato incompatibilità tra la “mentalità dei siciliani” (quale sarebbe? di che generalizzazioni andiamo parlando?) e la pratica di riappropriazione, perché in tanti sono entrati nella base: il fatto che altrettante persone abbiano scelto di non entrare fisicamente nella base è comprensibile, perché si tratta di un atto illegale, ma nessuno ha mai preteso che le pratiche di “disobbedienza civile” fossero immediatamente operate da tutti, anche perché la violazione volontaria di una legge è sempre, prima di tutto, una questione di coscienza individuale (moltissime delle persone che non sono entrate non erano in disaccordo con la pratica in sé: semplicemente non si sentivano di correre quel rischio, non per questioni etiche). Si può star certi che un tribunale non avrebbe difficoltà a condannare chi stava fuori con quello spirito, con l’accusa di “compartecipazione psichica”.

    Sulla mentalità cui ci si dovrebbe adeguare, tra l’altro, c’è da aggiungere una cosa: la necessità di adattarsi alla mentalità di un luogo è parzialmente reale. Tuttavia, abbattere lo stato di cose presente significa modificare la realtà. E la realtà si modifica costruendo una mentalità alternativa (qualcuno una volta parlava di egemonia culturale), decostruendo e abbattendo i miti: la mentalità si costruisce perché matura, misurandosi con il reale. Abbattere il mito dell’inviolabilità del potere o della sacralità della legge significa rendere consci tutti del fatto che quel mito non è che un mito, una convenzione culturalmente imposta, un prodotto sociale. Il taglio e la violazione assumono così la potenzialità di incidere sull’immaginario collettivo e sulla percezione sociale degli avvenimenti.

    Sarebbe ora di rivolgere, a chi chiede cosa si è ottenuto, la stessa identica domanda. Preferivate un comizio? E cosa risolve sul piano del reale? Controbatteranno loro: «e invece tagliare le reti?» Non ostacola il MUOS, è un gesto simbolico, come simbolico è il gesto del comizio. Tra due forme di azione simbolica, il movimento ha legittimamente scelto di usare la prima.

    C’è chi definisce le azioni di venerdì come «guerriglia» (ma lo sanno cosa significa questa parola?), come se fosse stato ucciso qualcuno, e sostiene che quella giornata «violenta» abbia danneggiato l’immagine del movimento No MUOS. Piuttosto, a me sembra si danneggi il movimento No MUOS molto più giudicando una giornata ingigantendo due minuti di spintoni e dimenticando tutto il resto. Questo significa danneggiare l’immagine: scrivere titoloni su un finanziere che nella calca riceve un colpo alla gamba, condannare il taglio di un oggetto inanimato bollandolo come «atto violento», deprecare l’invasione simbolica di una base definendola «guerriglia», dire che chi giustifica quelle azioni è complice di guerriglia e di violenza.
    Se volete stupidamente chiamare «guerriglia» quello che è successo a Niscemi il 9 agosto, allora ritenetemi pure complice della vostra fantomatica guerriglia.

  • L’asservimento tecnico

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    La questione che in questo articolo si intende affrontare verte soprattutto su vicende recenti, degli ultimi giorni; tuttavia, vista la scarsissima informazione sull’argomento nei mezzi di comunicazione nazionali, ecco un breve riassunto introduttivo (per approfondimenti, c’è il blog di Antonio Mazzeo, giornalista e attivista per la smilitarizzazione).

    Il MUOS (Mobile User Objective System) è un sistema di comunicazioni satellitari gestito dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, con l’obiettivo di coordinare efficacemente gli spostamenti di mezzi navali, aerei e terrestri per integrare le forze militari statunitensi e di paesi che gravitano nella stessa orbita. Il progetto si configura come un enorme strumento non solo di eventuale difesa, ma di possibile attacco automatizzato grazie all’utilizzo di aerei senza pilota (i cosiddetti droni, di cui è previsto l’uso intensivo e di cui un gran numero è già stato installato alla base militare di Sigonella, destinata a diventare capitale mondiale dei droni), e di missili e armi intelligenti, che potranno essere radiocomandati direttamente dal personale militare di stanza nella base operativa, nella prospettiva di condurre in futuro conflitti globali sempre più automatizzati e disumanizzati, in cui i soldati uccideranno altri esseri umani semplicemente giocando con leve e bottoni da casa, come in un videogioco.

    Per la vasta copertura di ciascun impianto, il MUOS si articolerà su 4 terminali terrestri e 5 satelliti geostazionari e consentirà di trasmettere gli ordini e le informazioni necessarie per qualsivoglia azione di guerra, convenzionale, chimica, batteriologica, nucleare in qualsiasi parte del mondo.
    Il progetto prevede la realizzazione di quattro basi, dislocate in punti strategici in modo da raggiungere tutti i continenti: uno in Virginia negli Stati Uniti, uno nelle isole Hawaii, uno in Australia. Il quarto in Sicilia, a pochi chilometri da Niscemi, nel cuore dell’ecosistema protetto costituito da una sughereta.

    Fin dall’inizio, la realizzazione dell’opera in Sicilia si è configurata come una violazione: le autorizzazioni necessarie per l’inizio dei lavori sono state concesse dal governatore regionale Raffaele Lombardo, senza che questa decisione fosse discussa dall’ARS (il Parlamento regionale siciliano) o dal Parlamento nazionale, e in piena contraddizione con la norma che istituisce nell’area interessata una riserva naturale protetta, soggetta a vincoli paesaggistici e di natura ambientale che in questo caso non sono rispettati per l’inquinamento elettromagnetico, la vistosità delle antenne, l’allestimento di un cantiere in una zona in cui è possibile solo la manutenzione e il restauro di edifici preesistenti.

    Inoltre, studi di diverse istituzioni accademiche e scientifiche indicano, nelle loro previsioni, un aumento del tasso di incidenza di tumori nelle vicinanze dell’impianto e esprimono preoccupazioni per i rischi connessi a possibili malfunzionamenti o errori umani che potrebbero avere effetti anche letali sugli esseri viventi (compresi ovviamente gli esseri umani) nel raggio di alcuni chilometri. La potenza delle onde elettromagnetiche emesse dalle antenne sarà così elevata da costituire pure rischi di interferenza per il traffico aereo facente capo all’aeroporto di Catania, oltre che al più vicino aeroporto di Comiso, plausibilmente prossimo all’apertura.

    Si aggiunga che, tanto per cambiare, le imprese a cui è stata affidata la gestione del cantiere sono sospettate di essere infiltrate dalla mafia.

    I rischi connessi, le violazioni lampanti, gli obiettivi militari ed imperialistici del MUOS e le modalità con cui è stata finora gestita, in ogni sua fase, l’intera faccenda, hanno suscitato un’ondata di indignazione e di opposizione popolare che ha preso forma nel movimento NO MUOS.

    Veniamo ora al dunque. Il neoeletto presidente del PD, Rosario Crocetta, che in campagna elettorale aveva promesso l’immediato ritiro delle autorizzazioni concesse dal precedente governo regionale (di cui tuttavia il PD faceva parte senza muovere un dito), dopo un mese di indugi si è limitato a chiedere ulteriori ricerche per valutare la gravità di eventuali danni all’ambiente e alla salute. Gli indugi di Crocetta, se hanno deluso, soprattutto per la timidissima rottura di questi ultimi, il movimento di opposizione, hanno anche dato tempo al moribondo governo nazionale di provvedere a promulgare norme legislative che garantiscano la tutela degli interessi militari dei padroni Stati Uniti: infatti, proprio un giorno prima che la questione MUOS approdasse per la prima volta all’ARS, il ministro Cancellieri ha comunicato di aver dichiarato il cantiere «sito di interesse strategico per la difesa militare della nazione e dei nostri alleati». Questo provvedimento toglie ogni margine di azione al governo regionale, che pure ha infine avuto il mandato dell’ARS per il ritiro delle autorizzazioni ma si trova con le mani legate (vedi).

    Ministro, interesse di chi? Degli abitanti contrari alla realizzazione? Degli esseri umani che verranno ammazzati grazie alla nuova tecnologia? Dei cittadini che presumibilmente subiranno una costellazione di effetti negativi sulla salute? Della riserva naturale che sarà deturpata dal cantiere e dalle onde ad alta frequenza? No: con questa manovra codarda e infame, che scavalca de facto ogni possibile meccanismo di controllo democratico (e che ci aspettavamo da un governo che non è eletto neanche de iure?) un governo peraltro già caduto intende, un attimo prima di andarsene, mettere fine alla faccenda e chiuderla in favore degli interessi di una potenza militare aggressiva e imperialista.

    A questo si aggiungono le parole del presidente Monti, secondo cui «non sono accettabili comportamenti che impediscano l’attuazione delle esigenze di difesa nazionale e la libera circolazione connessa a tali esigenze, tutelate dalla Costituzione».

    Qui Monti mente sapendo di mentire, definendo strumento di difesa una tecnologia finalizzata all’eliminazione radiocomandata di esseri umani, e parlando per di più di difesa nazionale quando l’opera è voluta da una potenza estera. Il tutto sarebbe tutelato dalla Costituzione. Qualcuno spieghi a Monti cos’è il MUOS.

    Le analogie tra MUOS e TAV sono numerose: entrambe le opere sono dannose per l’ambiente e per la salute, entrambe rappresentano il condizionamento della politica da parte di interessi altri, entrambe fanno gola alla criminalità organizzata, entrambe sono militarizzate e dichiarate siti strategici di interesse nazionale, entrambe hanno risvegliato la conflittualità dei territori nei confronti delle imposizioni dall’alto, entrambe pongono dei problemi sulla natura delle istituzioni democratiche.

    In effetti, Monti tratta i NoMUOS esattamente come i NoTAV: zecche fastidiose e inaccettabili, giacché il dissenso è bandito, e non si possono mettere in discussione i dettami della scienza economica, neutrale, imparziale e scevra da condizionamenti ideologici, di cui egli è espressione sobria ed austera. Cosa vogliono questi comitati, non lo sanno che queste scelte non sono politiche e di parte ma si limitano esclusivamente all’applicazione di principi necessari, a cui non c’è nessuna alternativa?

    I comportamenti simili che il governo ha adottato nei confronti delle proteste contro il MUOS in Sicilia e il TAV in Val Susa riflettono bene la situazione: da Nord a Sud, per tutta la sua lunghezza, l’Italia è attraversata da movimenti contro le grandi opere inutili, contro il militarismo, contro la devastazione e lo sfruttamento dei territori, contro l’asservimento della politica a interessi di oligarchie economiche globali, e la risposta del potere è sempre la stessa: siamo tecnici, non si discute.

    Siamo servi, non si discute.