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  • Sardigna pesa, ischìda Sardigna

    Cosa esattamente nella testimonianza trasmessa da Annozero il 5 maggio lasci turbati non è facile da dire, perchè sono tante cose insieme.

    Prima di tutto essa stona con il contesto in cui viene a trovarsi: da una programmazione televisiva asservita al potere, che censura preventivamente ogni possibile riferimento al referendum popolare del prossimo 12-13 giugno, che distoglie gli italiani dai problemi del paese dirottando i loro interessi su pettegolezzi e modelli comportamentali che minano alla base le conquiste di millenni di civiltà come il dialogo e il predominio della ragione sugli istinti, che nasconde la natura della crisi e le sue conseguenze o, nei rari casi in cui non può permettersi di farlo, la minimizza e ne parla come di acqua passata, è difficile aspettarsi di ricevere informazioni che non siano di qualità minore di quegli articoli delle riviste che generalmente le persone tengono accanto al cesso.

    Eppure, la sera del 5 maggio la diretta è riuscita a evadere i giochetti della censura, che ha avuto una falla dalla quale si è riversato impetuosamente in studio un mondo diverso da quello dipinto dai telegiornali di partito, dai talk show, dai reality: era un mondo, quello reale, che si esprimeva senza filtri, senza copioni, senza cerone e altri trucchi  e senza mediazione tra la telecamera e la realtà. Insomma un mondo genuino, che appare così come è.

    Ed è sfruttato, dilaniato, oppresso, disperato e non ha paura di dire davanti a tutti, a volto scoperto, che «l’Africa è vicina» non solo geograficamente. Nel Sulcis è successo quello che potrebbe succedere ovunque sia portato ad estreme conseguenze il predominio dell’economico sul sociale, del finanziario sul politico. L’unico modo possibile di difesa che hanno trovato gli abitanti del Sulcis (120 mila abitanti, 30 mila disoccupati) è la condivisione delle rivendicazioni: artigiani, commercianti, operai, pastori, tutti padri e madri di famiglia che ogni mese devono «decidere se fare la spesa, pagare le tasse o licenziare dipendenti».

    In risposta a una politica cieca di fronte al disastro sociale, i comitati cittadini del Sulcis hanno organizzato una grande manifestazione regionale per giorno 12 maggio, che si terrà a Cagliari fin sotto gli edifici della Regione.

    E i giornali nazionali e l’informazione tutta… come hanno reagito di fronte alle ripetute esternazioni di rabbia del popolo? Ovviamente dando il minimo rilievo possibile alla notizia e, se possibile, ignorandola completamente: nessun telegiornale ne parla, tra i giornali nazionali solo L’Unità tratta della vicenda, limitandosi a scrivere che la Sardegna è come un laboratorio e che «in passato ha spesso anticipato tendenze politiche nazionali», mentre la rivoluzionaria La Repubblica vede bene di non farne assolutamente cenno (perchè certo non si sputa nel piatto in cui si mangia).

    Questo perchè la condivisione delle lotte al fine di rivendicare diritti dà comprensibilmente fastidio a tutti, in quanto questa volta la condivisione non parte dalla tanto balbettata esigenza di un “rinnovamento morale” né della trita riscoperta del senso di appartenenza all’identità nazionale ultimamente sbandierato a destra e a manca, bensì dal bisogno di soddisfare necessità materiali e di primaria importanza.

    Per questo il Movimento che si sta autorganizzando in Sardegna dovrebbe far paura a chi vive nel mondo dei sogni e dei paradisi fiscali; per questo lo si censura e si evita di fornire notizie sulla questione; per questo non ci viene detto dagli organi di informazione della grande protesta sarda che sta montando nell’isola e che per ora ha una data di riferimento: il 12 maggio.

    Sarebbe bene che gli studenti sardi si unissero alla protesta, portando al compimento il tentativo di unificare le lotte. E voglio anche un giuramento della pallacorda, un’Assemblea Costituente, una comune e dei comitati.

    FORZA PARIS! TUTTI INSIEME!

  • Indisponibili davvero

    Considerazioni sulla protesta del mondo della formazione e critica dei metodi di lotta finora utilizzati. Ecco cosa propongo invece per una minaccia che sia vera, viva, valida.

    Bloccare le università non basta per bloccare l’economia.
    È vero che la ricerca produce ricchezza e che l’Italia è retrocessa economicamente rispetto ad altri paesi industrializzati e post-industriali proprio a causa dell’insufficienza dei finanziamenti per la ricerca, ma questo è un processo che si sviluppa a medio o lungo termine (per esempio l’arretratezza attuale è dovuta non ai tagli di oggi ma alla tanta negligenza di ieri rispetto a tutti i luoghi della formazione e della cultura), e il blocco della didattica, se non si ha la certezza che il Governo ascolterà il disperato grido d’allarme lanciato dall’università, non può protrarsi per un intervallo di tempo esageratamente lungo come quello che servirebbe a convincere coi fatti che senza ricerca non c’è sviluppo e che noi siamo in grado di bloccare lo sviluppo bloccando la ricerca.

    Le strategie di lotta passate non sono più efficaci.
    È vero che, dopo due anni dalla nascita del movimento di opposizione alle scellerate politiche governative in materia di istruzione, università e ricerca nel mondo della formazione, l’agitazione sociale ha contribuito alla formazione di una forte coscienza critica, ma le strategie utilizzate si sono evidentemente rivelate pressoché inutili. La prova lampante è che il ddl Gelmini è ancora in parlamento, dove è sempre stato, e forse verrà approvato.

    Il corteo non fa paura a nessuno.
    Non serve una mente geniale a capire che dei cortei e delle manifestazioni civili dei generi più svariati e delle modalità più diverse, non si cura il Governo. Come ha detto tante volte Berlusconi, «il governo va avanti», «per la sua strada», con o senza la gente in piazza. Anche qui si potrebbero fare infiniti esempi delle numerosissime manifestazioni rimaste inascoltate. Il corteo e il blocco delle università non fanno più paura a nessuno, il primo perché basta non dare risalto mediatico all’evento (che in una dittatura mediatica equivale a cancellare la sua esistenza) o dargliene troppo (trasformandolo in spettacolo di intrattenimento delle masse da illudere), il secondo perché non provoca danni immediati, ammesso che riesca a provocarli.
    Il problema è che non riusciamo a convincere i vari Tremonti, i Berlusconi, i Gelmini, che siamo in grado di costituire un danno per il sistema, perché né il corteo né il blocco della didattica sono realmente in grado di farlo, non costituiscono un ricatto né una minaccia.

    Indisponibili davvero.
    Fin da subito questo movimento ha preso il nome di «indisponibili».
    I ricercatori si sono dichiarati indisponibili a svolgere, senza essere pagati, compiti che dovrebbero essere svolti da altri lavoratori, i quali però non ci sono dato che assumerli significherebbe spendere soldi per il mondo della formazione.
    Si sono rifiutati di fare qualcosa che non rientra nei compiti previsti dai contratti.
    Se anche noi studenti vogliamo essere indisponibili davvero e non solo a parole, non solo come segno di vicinanza alla protesta dei ricercatori, dobbiamo rendere la nostra indisponibilità una pratica che rispecchi la nostra condivisione di principi fondamentali.
    Dobbiamo fare in modo che l’indisponibilità si concretizzi, diventi uno strumento di ricatto e di minaccia, dobbiamo mostrare che con la nostra indisponibilità, se vogliamo, possiamo bloccare tutto.
    È ora quindi che ci rifiutiamo anche noi di pagare di più: è ora che rispettiamo anche noi i contratti degli affitti, meticolosamente, pagando la cifra prevista, né più né meno.
    Finché non li sfideremo su quel fronte, colpendoli nel loro punto debole, quello dei soldi, non solo loro ma anche l’opinione pubblica e la cittadinanza, si accorgeranno che noi esistiamo solo se il corteo passa davanti ai loro portoni o se ne parlano i mezzi di informazione. Ma se blocchiamo l’economia, non si potrà trascurarci.
    Se siamo gli indisponibili perchè siamo disposti a pagare la stragrande maggioranza degli affitti in nero? Il boicottaggio è il vero strumento con cui possiamo tenere in scacco, bloccare, letteralmente paralizzare l’economia della città, e pretendere che ci venga ridato ciò che ci è stato tolto. Senza boicottaggio, il corteo è una sfilata informe. Con il boicottaggio, il corteo farà di nuovo paura.