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  • Letture da salotto

    La Corte europea dei diritti dell’uomo ha infine emesso, da Strasburgo, il verdetto riguardo ai fatti della scuola Diaz del luglio 2001 che ormai tutti conosciamo: secondo la Corte, quei fatti sono da qualificarsi come tortura e l’Italia è condannata perché il suo sistema giudiziario non comtempla un reato di tortura e di conseguenza non può punire adeguatamente i responsabili (come se li avesse mai puniti, anche solo inadeguatamente), nonché per il ritardo nell’applicazione della convenzione ONU contro la tortura. La reazione uniformemente suscitata presso le schiere della sinistra da salotto, diciamo pure l’ala progressista della politica borghese, è stata prontissima: da più parti sento dire che «dovremmo vergognarci». Sulle reti sociali è stata una giornata di continue intimazioni e inviti a vergognarsi, in cui da destra e da manca mi sono piovute come in un bombardamento incrociato sfilze di «mi vergogno di essere italiano» ed espressioni di vario disgusto masochista.

    Ma stiamo scherzando? Secondo costoro, sarei io che mi dovrei vergognare, io che, se non fosse per ovvie questioni anagrafiche, nel 2001 sarei stato a Genova, ma come vittima della trappola repressiva. Deve vergognarsi anche chi ha preso le manganellate, chi ha versato litri di sangue su pavimenti e muri di quella scuola? Dobbiamo vergognarci per la sentenza della Corte di Strasburgo? Di che cosa dovremmo vergognarci? Recita la frase stessa: «di essere italiani», perché è l’Italia ad essere condannata da quella sentenza. E quindi: nel codice penale italiano non è previsto il reato di tortura? Vergogniamoci! I poliziotti torturatori non sono stati né mai saranno condannati? Vergogniamoci! I torturatori e i loro mandanti hanno goduto di totale o parziale impunità e hanno addirittura fatto carriera nelle istituzioni? Vergogniamoci, tutti insieme, anche se noi siamo o saremmo stati le vittime. Prendiamo flagello e cilicio e andiamo a vergognarci fustigandoci davanti al tricolore, per ridare al Nostro Paese quella dignità di cui i torturatori della Diaz l’hanno privato! Vergogniamoci inginocchiati al cospetto della bandiera, ravviviamo l’italico spirito che alberga nei nostri cuori, vergogniamoci tutti insieme e non ci sentiremo più soli!

    Ecco, magari un po’ esagerando, ma in fin dei conti seppure in maniera meno estremizzata, questa è la lettura che viene data, e che traspare da quelle frasi scritte dalle schiere della sinistra da salotto. Una lettura, appunto, da salotto.

    Difficile dire se è più da salotto questa lettura oppure la patetica lamentela del presidente del PD, Matteo Orfini, che sbotta contro De Gennaro, all’epoca dei fatti capo della Polizia e oggi, dopo la nomina da parte del governo Letta, presidente di Finmeccanica: «vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica». Un coro di voci, per la verità poco unanime, si alza per sollevare dubbi sull’opportunità di tale carica. Oggi. Perché la Corte di Strasburgo qualifica i fatti della Diaz come tortura. Fino a ieri, invece, niente di grave: il sangue ovunque, le minacce e le mangenellate, i crani aperti, le costole rotte, sono meno scandalosi se non li riconosci come tortura. Come sempre per il PD, è solo una questione di etica borghese: basta non chiamarla “tortura” ed è tutto risolto.

    A proposito di letture da salotto, non si può ioltre fare a meno di notare la perspicacia (e la tenerezza) di chi, quando si parla del G8 di Genova, della Diaz, di Bolzaneto, di piazza Alimonda e della morte di Carlo Giuliani, tira fuori Berlusconi, Scajola e Fini, puntando il dito verso di loro. Giustamente, per carità. Ma è un po’ come prendersela col postino quando la posta non arriva. O forse costoro, da impavidi antiberlusconiani quali sono, si sono bevuti la favole di Berlusconi per le quali egli contava qualcosa e potesse realmente fare da bilancia sul piano internazionale? Davvero credono che ciò che è successo a Genova sia stato opera di un governo insediatosi pochi mesi prima di quegli eventi? Anzi, davvero credono sia stato opera di un governo, e non piuttosto di una governance globale neoliberista alle prese con un movimento crescente?

  • Abusi in divisa: chi li rende possibili?

    Quando vai in piazza a fare il culo ai ragazzini delle superiori, lo stai facendo per un ente morale superiore. Quando durante un arresto dai un paio di calci nelle costole a un tossico di merda, lo fai perché è un momento necessario della sua rieducazione. Quando minacci le ragazze di stuprarle con il manganello d’ordinanza, lo fai perché deve essere chiaro chi è che comanda. Quando fai finta di non guardare il collega che riempie di botte il poverocristo in cella, lo fai perché non sei un infame. Quando sputi in faccia al negro di merda che hai preso con due canne in tasca, lo fai per lavarlo. Quando strappi il piercing dalle orecchie della zecca che hai di fronte, lo fai per dargli un contegno.

    Quelle riportate sono alcune frasi sfuse da un breve articolo. Non è così che sembrano ragionare molti esponenti delle forze dell’ordine? Non si ritengono, giustamente, preposti alla difesa dell’ordine costituito, che non è solo un ordine sociale e politico ma prima ancora un ordine morale, che di quello sociale e poitico è espressione e legittimazione teorica?

    Perché ragionano così? Sono semplicemente degli stronzi (il che in un certo numero di casi non è da escludere, soprattutto considerando che gli stronzi abbondano ed emergono nelle categorie a cui è garantita l’impunità) o esiste anche una influenza non indifferente proveniente dall’ambiente lavorativo e dai vertici che attraverso il proprio potere decisionale plasmano tale ambiente lavorativo?

    Come ha ricordato di recente Aldo Giannuli, «le cause sono nella storia stessa dei nostri corpi repressivi, mai veramente disintossicati dal ventennio fascista che, a sua volta, aveva trovato il precedente dell’epoca liberale che di liberale ebbe assai poco. E poi, anche la feroce rivalità fra carabinieri e polizia agisce da moltiplicatore di questa propensione alla violenza». I responsabili sono da ricercarsi nei politici che «danno carta bianca al loro braccio armato», nei vertici della polizia che «usano cinicamente i propri uomini per rafforzare il loro potere contrattuale nei confronti dei politici», nei quadri intermedi della polizia «che aizzano gli agenti, che li formano nello spirito del mazzieraggio irresponsabile, che li educano al disprezzo del cittadino», nei magistrati che «non hanno mai il coraggio di fare luce anche sui casi più gravi e che mandano regolarmente assolti poliziotti a carabinieri anche nel caso di omicidi, per la collusione fra le due corporazioni», nei giornalisti che «non sono capaci di una inchiesta sistematica su quello che accade nella polizia».

    Un’ulteriore considerazione si deve fare rispetto alle condizioni che addirittura precedono l’ingresso nei reparti delle forze dell’ordine. In particolare, in una dettagliata analisi sul fenomeno della violenza poliziesca in Italia con attenzione soprattutto per la Polizia di Stato, Salvatore Palidda fa notare, tra le altre cose, come la selezione, l’educazione e l’addestramento degli agenti non possono essere trascurati quando si cerca di indagare la natura di una tale propensione alla violenza. In primo luogo, «da circa 15 anni il reclutamento del personale nelle polizie italiane privilegia per legge i volontari che hanno svolto servizio militare nelle missioni all’estero, cioè nei diversi teatri di guerra», a dimostrazione del processo di militarizzazione delle polizie. In secondo luogo, in occasioni di gestione dell’ordine pubblico la frammentazione dei corpi di polizia produce scivolamenti verso un’estremizzazione della violenza, come già puntualizzato da Giannuli, ed un apparente disordine per cui «il personale di ogni unità segue sempre gli ordini del proprio capo che non sempre segue quelli del comandante della piazza», con conseguenze disastrose (e il G8 di Genova è solo un esempio).

    Per quanto riguarda la formazione professionale delle polizie, essa «è improntata soprattutto a una sorta di infarinatura giuridica del tutto superficiale, a qualche apprendimento tecnico e poi sempre all’apprendimento per “affiancamento” a chi ha più esperienza». Non c’è da stupirsi se questo genere di formazione generi un ambiente che «esaspera la tensione, l’aggressività, il rambismo se non addirittura il cameratismo fascista». E ancora, «perché il personale di polizia non è formato nelle scuole e università pubbliche insieme ai loro coetanei? Non sarebbe questo un momento di socializzazione forse più democratizzante di quanto lo siano i corsi nelle scuole di polizia che come raccontano tanti pare siano tenuti solo da docenti spesso di dubbia qualità accademica?»

    Anche se questo discorso potrebbe continuare a lungo, quanto detto finora è già sufficiente a rispondere alla domanda iniziale: gli abusi in divisa avvengono perché alcuni tutori dell’ordine sono semplicemente degli stronzi o esistono altri responsabili che generano situazioni in cui gli abusi sono incoraggiati (e non parlo degli incentivi diretti come le promozioni ottenute dai picchiatori in divisa, né della quasi certa impunità di cui godono le forze dell’ordine)? In altre parole: un tale ambiente è dovuto alla sola presenza di mele marce o alla struttura stessa della cesta che contiene tutte le mele?

    Per non andare troppo indietro nel tempo cercando i responsabili della mancata defascistizzazione dei corpi di polizia, basti sapere che la rivalità tra Carabinieri e Polizia che conduce alla progressione militare e “durista” è stata accentuata notevolmente dalla riforma dell’Arma dei Carabinieri (legge 78/2000) che le ha concesso più poteri e autonomia; che l’intoccabilità della struttura delle polizie esiste a causa di un gioco di favori tra politica e forze dell’ordine in cui la politica tutta ha sempre adottato riverenza e corteggiamento nei confronti delle gerarchie delle polizie; che l’impunità è dovuta in buona parte all’atteggiamento generale della magistratura; che le regole per la selezione e la formazione professionale sono stabilite per legge; che le strategie di addestramento sono una prassi che non viene messa in discussione; che le politiche repressive e securitarie riducono le questioni sociali essenzialmente a problemi di ordine pubblico, contribuendo a rafforzare il “potere contrattuale” delle polizie nell’interfacciarsi al cittadino e aumentando di conseguenza il rischio di abusi; che solidarizzare con le forze di polizia «senza se e senza ma» ogniqualvolta sia possibile, non mancare mai di esprimere incondizionato rispetto nei loro confronti, mai astenersi dal rivolger loro un plauso per il loro operato salvifico aumenta in tutti (anche tra i reparti) la convinzione che davvero «quando vai in piazza a fare il culo ai ragazzini delle superiori, lo stai facendo per un ente morale superiore».

    Insomma, rispondetevi da soli, senza farvi accecare da chi si lascia andare ad esternazioni di vuota solidarietà.

    Il problema non è soltanto che c’è chi utilizza la divisa come una seduta di psicoterapia andata male.

  • Il manganello facile

    Sabato 9 luglio c’era una festa nei pressi della centralissima piazza dei Cavalieri a Pisa; ogni estate la Scuola Normale ne organizza una, aperta ai suoi studenti e a un certo numero di persone, limitato per le dimensioni degli ambienti in cui si svolge l’evento (il cortile interno del Palazzo della Carovana, la sede storica della Scuola).

    Poco dopo il secondo tocco, quindi a festa già parecchio inoltrata, si accalca davanti all’ingresso, controllato da vigilantes, un piccolo gruppo di persone senza biglietto che pretende di entrare comunque. I vigilantes rispondono che ciò non è possibile perchè la festa è a invito ed esiste una lista di invitati, quindi a chi non ha il biglietto, naturalmente, non è permesso l’accesso. Al gruppo la cosa non piace e ne nasce così una discussione piuttosto animata, che attira l’attenzione di altri giovani, i quali si avvicinano dalla piazza, incuriositi. A questo punto la calca davanti al portone di ingresso alla festa è tale che, a giudizio dei vigilantes, va oltre la loro capacità di controllo e questo li spinge ad invocare l’intervento delle forze dell’ordine, chiamando i carabinieri. Intanto, dentro il cortile, a nessuno è ben chiaro che cosa stia succedendo: il portone è chiuso per evitare che qualcuno si intrufoli dentro eludendo la sorveglianza.

    Una volta allontanata la calca davanti al portone, questo viene riaperto ed esce fuori Dario, un dottorando della Normale, con l’intento di capire bene perchè il portone era chiuso e perchè ci sono dei carabinieri all’ingresso di una festa. Alla sua richiesta di chiarimenti, uno dei carabinieri risponde con la richiesta dei documenti, che viene negata in mancanza di una motivazione valida. La reazione è inaspettata ed improvvisa: Dario si trova ammanettato, riceve un colpo in testa e viene strattonato dentro l’auto. Qualche ora dopo, risulterà avere riportato un trauma cranico, lesioni ai polsi e una ferita sotto il mento. Quando questo si viene a sapere Dario è in stato di arresto, e resterà in caserma tutta la notte, nonostante la solidarietà manifestata da tanti suoi amici, compagni e semplici cittadini che hanno tenuto un presidio quasi permanente davanti all’edificio di detenzione. Dario sarà processato per direttissima lunedì mattina. Informazioni più dettagliate le trovate qui e qui.

    Vorrei cogliere l’occasione per fare qualche riflessione.

    Gli stronzi sono ovunque, in tutte le categorie, ma abbondano ed emergono nelle categorie a cui è garantita l’impunità. Non si tratta di generalizzazioni, ma della constatazione di una verità, e anche di ragionevolezza: è ovvio che se sei stronzo e puoi vantare un potere che altri non hanno, non mancherai di far notare di averlo ogni volta che le circostanze lo rendano possibile, per esempio quando hai un manganello in mano e l’autorizzazione per usarlo. In poche parole, più potere ha uno stronzo, maggiore è la probabilità di abuso di potere.

    Agli illusi che si dicono contrari alla violenza (che c’è stata e che in generale deve esserci, per costituzione stessa) da parte delle forze dell’ordine e che confidano nella magistratura o nei gradi più alti di polizia affinché l’una o gli altri provvedano alla punizione di una evidente violazione di diritti in primo luogo, delle leggi democratiche in secondo luogo, in terzo luogo delle regole che le forze dell’ordine sono tenuti a osservare, non si può che domandare se a loro risulta che siano stati preso provvedimenti contro i finanzieri che il 3 luglio lanciavano sassi sui manifestanti e sparavano lacrimogeni vietati dalle norme internazionali ad altezza uomo in Val di Susa. O se i macellai torturatori della caserma di Bolzaneto e i responsabili dei pestaggi nella Diaz nel 2001 siano stati puniti giustamente per ciò che hanno commesso, ovvero «la più grave sospensione dei diritti umani in un paese occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale» (e lo dice Amnesty International, non un covo di terroristi). No, sapete, perchè a me risulta che l’ambiente in certe frange delle forze dell’ordine non sia proprio quello tutto dedito alla difesa della legalità, ma piuttosto alcuni agiscano con la certezza che resteranno impuniti, e per questo possono permettersi di violare ogni diritto e ogni regola della convivenza civile. Mi risulta anche che, invece di essere puniti, molti abbiano invece ricevuto apprezzamenti, riconoscimenti e promozioni.

    Allora, perchè io non posso andare in giro con un manganello e picchiare per futili motivi il primo che passa, mentre un poliziotto può permettersi questo e altro, come è successo sabato sera a Pisa? Perchè c’è questa necessità, che i politici e i giornali non fanno altro che ripete allo spasimo, di isolare «i violenti»? E le forze dell’ordine i loro violenti non devono isolarli? Facciamoci qualche domanda.

  • Bastardo populismo mediatico

    Pensate probabilmente che sto per scrivere dei fatti più recenti della cronaca politica e giudiziaria per associarli al mostruoso conflitto di interessi nel nostro paese e al cosiddetto populismo mediatico predominato quasi capillarmente da una cerchia ristretta di imprenditori-politici-criminali-fascisti italiani, visto che oggi abbiamo conquistato le prime pagine di una miriade di giornali internazionali (tanto per citarne qualcuno: New York Times, Le Monde, The Guardian, The Economist, El Paìs) con la notizia che l’on. Presidente del Consiglio Italiano Silvio Berlusconi è stato chiamato in tribunale per rito immediato, per evidenza delle prove delle accuse a suo carico (che sono due, tra cui sfruttamento della prostituzione minorile).

    Invece non è per esprimere l’orgoglio di aver conquistato, come Paese, notorietà in tutto il mondo, che scrivo stasera, bensì per puntare i riflettori su un altro evento, molto significativo e a mio parere importante per la sua pericolosità: i magistrati francesi si stanno mobilitando contro il presidente della République, Nicolas Sarkozy. Considero pericoloso il fatto come ho sempre considerato un pericoloso precedente la situazione politica ed istituzionale italiana.

    Del resto c’era da aspettarselo che, visto che dopo diversi anni di controllo mediatico di Berlusconi in Italia, nonostante i richiami alla moderazione da parte di organi nazionali, internazionali e non governativi, tale controllo non si è ridotto come richiesto ma anzi è stato rafforzato a sproposito e con spudoratezza e arroganza crescente, imponendo un controllo personalistico e aziendale della cosa pubblica a vantaggio di pochissimi imprenditori e dei loro amici, soffocando la politica con gli imperialistici principî dell’economia e della finanza, qualcuno si accorgesse che dopo tutto in Italia le cose vanno molto bene: volendo dire, con ciò, che è l’unico paese del capitalismo occidentale in cui la coincidenza totale tra classe politica e dirigenza economica non è tenuta nascosta all’opinione pubblica, così che non ci si fanno scrupoli di nessun tipo e lo Stato diventa una macchina funzionante palesemente per i soli interessi dei grandi ricchi o arricchiti. Detto in altre parole, in Italia gli stronzi possono fare quello che cazzo vogliono, soprattutto se sono ricchi.

    E i ricchi di tutto il mondo adorano questa possibilità, non vedrebbero l’ora di poter evadere liberamente le tasse, violare contratti di lavoro e rimanere impuniti, crearsi un harem di puttane e ballerine offendendo l’umanità delle donne, rubare soldi senza finire in galera. È ovvio che tutto questo faccia gola. Ma anche senza interpretare la situazione italiana come un controllo del sistema economico sulla politica, di certo il populismo mediatico ha costituito un ottimo esempio di gestione del potere. Nessuna opposizione, infatti, né sociale, né parlamentare, né culturale (se ce n’è stata), è riuscita a scardinare il potere del regime, per quanto questo si sia macchiato di colpe gravissime, cominciando da violazioni dei diritti umani nel respingimento dei profughi e nella gestione del G8 di Genova nel 2001, andando a finire agli ultimi scandali, passando per i controlli dei servizi televisivi, l’approvazione dello scudo fiscale, le leggi di smantellamento della formazione e della ricerca, i tagli alla cultura, i crolli di Pompei, gli attacchi continui agli organi giudiziarî, le violente repressioni dei terremotati aquilani, dei pastori sardi, dei cittadini di Terzigno, degli studenti di tutta la penisola e delle migliaia di cittadini che per un motivo o per l’altro si sono trovati in strada a protestare.

    Il regime ha retto ogni volta. E qual è il sogno di qualsiasi potere? Continuare ad esistere. Il potere ha capito che il berlusconismo paga e il populismo mediatico di Berlusconi costituisce, come già detto, un pericoloso precedente nella storia dell’Europa, che in molti sottovalutano. «In Francia o in Inghilterra non potrebbe mai succedere, si dimettono per una lampadina acquistata coi soldi pubblici! E poi c’è la legge sul conflitto di interessi». Spesso lo sento dire.

    Ma intanto la Francia vive da almeno un anno qualcosa di simile: tagli alla scuola, contrasti con la magistratura, abuso dei privilegi dati ai parlamentari sono i tre dati più palesemente somiglianti. A questo si aggiunga il fatto che Sarkozy, l’anno scorso coinvolto in una storia di tangenti avvenuta quando era ancora sindaco, non si è dimesso e ha detto con tono familiare «noi andiamo avanti», mentre, sempre l’anno scorso, un suo ministro (Hortefeux) girava le sedi diplomatiche facendo battute razziste sugli arabi (e anche questo non mi giunge nuovo). Sarkozy è coinvolto in varie controversie giudiziarie, come l’affaire Clearstream 2 (che richiama stranamente il caso Hyberian 2 di Silvio), o l’affaire Woerth-Bettencourt (in cui avrebbe ottenuto finanziamenti illeciti per la campagna elettorale del 2007), o ancora il caso che lo ha visto telefonare alla redazione del quotidiano francese Libération per lamentarsi del titolo che avevano dato un articolo definendolo gentilmente «journal de gauche de merde». Inoltre pare che abbia esercitato pressioni per fare ottenere a un suo favorito la direzione di un giornale a tiratura nazionale, Les Échos, approfittando della vendita delle quote azionarie.

    Insomma, in Francia c’è la legge sul conflitto di interessi, ma è facile aggirare la cosa (del resto anche secondo la legge italiana, cfr. art. 10 DPR 361/1957, «non sono eleggibili coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica», ma ciò non sempra importare a nessuno).

    «Genoa docet» è una frase utilizzata da alcuni riferendosi alla consapevolezza dei movimenti, dopo il G8 del 2001, che bisogna evitare gli scontri e che bisogna tuttavia essere sempre pronti a prendere le botte, perchè della polizia non ti puoi fidare. Ma Genova 2001 docet anche agli Stati nazionali come l’Inghilterra, che quest’autunno quando prendeva gli studenti che protestavano contro la triplicazione delle tasse universitarie, lasciava che le forze dell’ordine li picchiassero, non in strada, spudoratamente come accade in Italia come se fosse normale, ma pur sempre li picchiavano, al sicuro e al riparo da telecamere e testimoni.

    Il sogno berlusconiano è sempre più vicino. Viva la libertà!