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La questione che in questo articolo si intende affrontare verte soprattutto su vicende recenti, degli ultimi giorni; tuttavia, vista la scarsissima informazione sull’argomento nei mezzi di comunicazione nazionali, ecco un breve riassunto introduttivo (per approfondimenti, c’è il blog di Antonio Mazzeo, giornalista e attivista per la smilitarizzazione).
Il MUOS (Mobile User Objective System) è un sistema di comunicazioni satellitari gestito dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, con l’obiettivo di coordinare efficacemente gli spostamenti di mezzi navali, aerei e terrestri per integrare le forze militari statunitensi e di paesi che gravitano nella stessa orbita. Il progetto si configura come un enorme strumento non solo di eventuale difesa, ma di possibile attacco automatizzato grazie all’utilizzo di aerei senza pilota (i cosiddetti droni, di cui è previsto l’uso intensivo e di cui un gran numero è già stato installato alla base militare di Sigonella, destinata a diventare capitale mondiale dei droni), e di missili e armi intelligenti, che potranno essere radiocomandati direttamente dal personale militare di stanza nella base operativa, nella prospettiva di condurre in futuro conflitti globali sempre più automatizzati e disumanizzati, in cui i soldati uccideranno altri esseri umani semplicemente giocando con leve e bottoni da casa, come in un videogioco.
Per la vasta copertura di ciascun impianto, il MUOS si articolerà su 4 terminali terrestri e 5 satelliti geostazionari e consentirà di trasmettere gli ordini e le informazioni necessarie per qualsivoglia azione di guerra, convenzionale, chimica, batteriologica, nucleare in qualsiasi parte del mondo.
Il progetto prevede la realizzazione di quattro basi, dislocate in punti strategici in modo da raggiungere tutti i continenti: uno in Virginia negli Stati Uniti, uno nelle isole Hawaii, uno in Australia. Il quarto in Sicilia, a pochi chilometri da Niscemi, nel cuore dell’ecosistema protetto costituito da una sughereta.
Fin dall’inizio, la realizzazione dell’opera in Sicilia si è configurata come una violazione: le autorizzazioni necessarie per l’inizio dei lavori sono state concesse dal governatore regionale Raffaele Lombardo, senza che questa decisione fosse discussa dall’ARS (il Parlamento regionale siciliano) o dal Parlamento nazionale, e in piena contraddizione con la norma che istituisce nell’area interessata una riserva naturale protetta, soggetta a vincoli paesaggistici e di natura ambientale che in questo caso non sono rispettati per l’inquinamento elettromagnetico, la vistosità delle antenne, l’allestimento di un cantiere in una zona in cui è possibile solo la manutenzione e il restauro di edifici preesistenti.
Inoltre, studi di diverse istituzioni accademiche e scientifiche indicano, nelle loro previsioni, un aumento del tasso di incidenza di tumori nelle vicinanze dell’impianto e esprimono preoccupazioni per i rischi connessi a possibili malfunzionamenti o errori umani che potrebbero avere effetti anche letali sugli esseri viventi (compresi ovviamente gli esseri umani) nel raggio di alcuni chilometri. La potenza delle onde elettromagnetiche emesse dalle antenne sarà così elevata da costituire pure rischi di interferenza per il traffico aereo facente capo all’aeroporto di Catania, oltre che al più vicino aeroporto di Comiso, plausibilmente prossimo all’apertura.
Si aggiunga che, tanto per cambiare, le imprese a cui è stata affidata la gestione del cantiere sono sospettate di essere infiltrate dalla mafia.
I rischi connessi, le violazioni lampanti, gli obiettivi militari ed imperialistici del MUOS e le modalità con cui è stata finora gestita, in ogni sua fase, l’intera faccenda, hanno suscitato un’ondata di indignazione e di opposizione popolare che ha preso forma nel movimento NO MUOS.
Veniamo ora al dunque. Il neoeletto presidente del PD, Rosario Crocetta, che in campagna elettorale aveva promesso l’immediato ritiro delle autorizzazioni concesse dal precedente governo regionale (di cui tuttavia il PD faceva parte senza muovere un dito), dopo un mese di indugi si è limitato a chiedere ulteriori ricerche per valutare la gravità di eventuali danni all’ambiente e alla salute. Gli indugi di Crocetta, se hanno deluso, soprattutto per la timidissima rottura di questi ultimi, il movimento di opposizione, hanno anche dato tempo al moribondo governo nazionale di provvedere a promulgare norme legislative che garantiscano la tutela degli interessi militari dei padroni Stati Uniti: infatti, proprio un giorno prima che la questione MUOS approdasse per la prima volta all’ARS, il ministro Cancellieri ha comunicato di aver dichiarato il cantiere «sito di interesse strategico per la difesa militare della nazione e dei nostri alleati». Questo provvedimento toglie ogni margine di azione al governo regionale, che pure ha infine avuto il mandato dell’ARS per il ritiro delle autorizzazioni ma si trova con le mani legate (vedi).
Ministro, interesse di chi? Degli abitanti contrari alla realizzazione? Degli esseri umani che verranno ammazzati grazie alla nuova tecnologia? Dei cittadini che presumibilmente subiranno una costellazione di effetti negativi sulla salute? Della riserva naturale che sarà deturpata dal cantiere e dalle onde ad alta frequenza? No: con questa manovra codarda e infame, che scavalca de facto ogni possibile meccanismo di controllo democratico (e che ci aspettavamo da un governo che non è eletto neanche de iure?) un governo peraltro già caduto intende, un attimo prima di andarsene, mettere fine alla faccenda e chiuderla in favore degli interessi di una potenza militare aggressiva e imperialista.
A questo si aggiungono le parole del presidente Monti, secondo cui «non sono accettabili comportamenti che impediscano l’attuazione delle esigenze di difesa nazionale e la libera circolazione connessa a tali esigenze, tutelate dalla Costituzione».
Qui Monti mente sapendo di mentire, definendo strumento di difesa una tecnologia finalizzata all’eliminazione radiocomandata di esseri umani, e parlando per di più di difesa nazionale quando l’opera è voluta da una potenza estera. Il tutto sarebbe tutelato dalla Costituzione. Qualcuno spieghi a Monti cos’è il MUOS.
Le analogie tra MUOS e TAV sono numerose: entrambe le opere sono dannose per l’ambiente e per la salute, entrambe rappresentano il condizionamento della politica da parte di interessi altri, entrambe fanno gola alla criminalità organizzata, entrambe sono militarizzate e dichiarate siti strategici di interesse nazionale, entrambe hanno risvegliato la conflittualità dei territori nei confronti delle imposizioni dall’alto, entrambe pongono dei problemi sulla natura delle istituzioni democratiche.
In effetti, Monti tratta i NoMUOS esattamente come i NoTAV: zecche fastidiose e inaccettabili, giacché il dissenso è bandito, e non si possono mettere in discussione i dettami della scienza economica, neutrale, imparziale e scevra da condizionamenti ideologici, di cui egli è espressione sobria ed austera. Cosa vogliono questi comitati, non lo sanno che queste scelte non sono politiche e di parte ma si limitano esclusivamente all’applicazione di principi necessari, a cui non c’è nessuna alternativa?
I comportamenti simili che il governo ha adottato nei confronti delle proteste contro il MUOS in Sicilia e il TAV in Val Susa riflettono bene la situazione: da Nord a Sud, per tutta la sua lunghezza, l’Italia è attraversata da movimenti contro le grandi opere inutili, contro il militarismo, contro la devastazione e lo sfruttamento dei territori, contro l’asservimento della politica a interessi di oligarchie economiche globali, e la risposta del potere è sempre la stessa: siamo tecnici, non si discute.
Siamo servi, non si discute.
Ora, è evidente che per evitare crisi come quelle prospettate dal Rapporto sui limiti dello sviluppo occorre raggiungere lo stato stazionario nel consumo delle risorse ambientali, ovvero, per quanto riguarda le rinnovabili, che hanno un tasso di rigenerazione, sfruttarle con una velocità di sfruttamento uguale o minore di tale tasso: tagliare meno alberi di quanti ne ricrescono, pescare meno pesci di quanti ne nascono, e così via.
Rafael Trujillo governò la Repubblica Dominicana dal 1930 al 1961, anno della su uccisione avvenuta forse con l’assenso o l’aiuto materiale della CIA. Il dittatore gestì il paese come se fosse un’azienda privata, ottenendo consensi attraverso il culto della personalità e cercando di ricavarne il massimo profitto: a tal fine, però, andava posto il problema dell’esaurimento delle risorse in un territorio, come quello dominicano, che per secoli aveva subito uno sfruttamento eccessivo e che rischiava la deforestazione, la perdita di fertilità, la salinizzazione dei suoli e la loro erosione, processi che erano già preoccupantemente in atto e che alcune organizzazioni cittadine locali avevano già cercato di limitare prima della dittatura. Per questo il regime finanziò un vasto programma di recupero, che prevedeva l’importazione dall’estero di gas, la costruzione di dighe per la produzione di energia idroelettrica e la protezione delle poche foreste rimaste: tutti provvedimenti volti a evitare l’abbattimento degli alberi.
Nel 1966 fu eletto presidente Balaguer, per decenni al servizio del precedente regime coprendo importanti posizioni di comando. Le politiche ambientali di Balaguer furono più drastiche di quelle di Trujillo, ma mentre quest’ultimo cercava un tornaconto, giacché aveva valutato il potenziale commerciale del legno e aveva fatto in modo di eliminare la concorrenza, il primo sembrava disinteressatamente convinto della necessità di proteggere il territorio (ciò è testimoniato dal fatto che fece distruggre delle ville appartenenti a suoi amici, perché si trovavano in aree protette): vietò il taglio del legno a scopi commerciali, fece chiudere le segherie, affidò all’esercito il compito di far rispettare le leggi ambientali, attraverso sorveglianza aerea e operazioni a tappeto (durante una delle quali furono uccise dieci persone), dichiarò l’abbattimento degli alberi un crimine contro la sicurezza nazionale.
Si resta affascinati ogni volta che si pensa a come l’isola di Pasqua fu colonizzata dai primi uomini che la videro, più di mille anni fa, a come riuscirono a vivere in completo isolamento, nel posto più sperduto dal mondo (migliaia di chilometri di oceano Pacifico in ogni direzione) per poi spegnersi improvvisamente lasciando ai posteri statue monumentali e altre prove di una ben più viva e florida civiltà, con la sua complessità sociale e politica.
«Mi sono spesso domandato cosa pensasse l’abitante dell’isola di Pasqua mentre tagliava l’ultimo albero di palma. Forse gridava: «Non alberi, ma posti di lavoro»? Oppure: «La tecnologia risolverà tutti i nostri problemi! Non temete, inventeremo un materiale sostitutivo per il legno»; o magari: «È possibile che ci siano altre palme nelle zone inesplorate dell’isola di Pasqua. Si rendono necessarie ulteriori ricerche, perciò il divieto di abbattere gli alberi è prematuro e sparge solo il panico tra la popolazione». […]
e i miei studenti. I paralleli che si possono tracciare tra l’isola di Pasqua e il mondo moderno sono così ovvi da apparirci agghiaccianti. Grazie alla globalizzazione, al commercio internazionale, agli aerei a reazione e a Internet, tutti i paesi della Terra condividono, oggi, le loro risorse e interagiscono, proprio come i dodici clan dell’isola di Pasqua, sperduti nell’immenso Pacifico come la Terra è sperduta nello spazio. Quando gli indigeni si trovarono in difficoltà, non poterono fuggire né cercare aiuto al di fuori dell’isola, come non potremmo noi, abitanti della Terra, cercare soccorso altrove, se i problemi dovessero aumentare».