Certezze emergenti
Quella che si racconta come una fase d’incertezza, nasconde certezze soggettive che si fanno strada con sempre maggiore prepotenza, aprendo crepe nellle abitudini rassicuranti. Siamo certi che la salute viene prima del resto, ma allora come abbiamo potuto vivere nell’ansia del tempo che scorre via mentre si cerca di metterlo a profitto? Come abbiamo potuto vivere per lavorare finché pure il tempo libero non è più stato libero? Come abbiamo potuto pensare di andare in vacanza per staccare dagli obblighi del lavoro senza vedere l’enorme contraddizione di una società che inventando le ferie ammette che l’etica del lavoro non può convivere con la salute delle persone? E tutto questo non lo abbiamo fatto serenamente: fino a non riuscire più a respirare ci siamo impantanati in questa pozza densa e maleodorante, senza più neanche sgomento abbiamo seguito le devastazioni ecologiche, l’allargamento delle disuguaglianze, l’approfondimento delle ingiustizie, l’abbrutimento delle condizioni materiali di vita, le crisi depressive in aumento, sospirando come se la cosa non ci riguardasse, come se si trattasse di un altro pianeta, di un altro tempo un po’ inquietante ma fortunatamente passato.
Adesso, nelle nostre case sappiamo di chi prenderci cura, incontriamo i vicini mai visti ed è assurdo, pensateci, totalmente assurdo non averli incontrati prima. Si può tenere aperta la finestra che da sulla strada solitamente trafficata, non entrano più diossidi e vari prodotti tossici della combustione del benzene. I giardini, i balconi, i tetti si ripopolano di uccelli, che tornano in massa a riempire il vuoto lasciato dalla fine degli ingorghi che non rimpiangeremo. Ciascuno si ingegna come può, ciascuno si chiede forse per la prima volta dopo tanti anni come passare il proprio tempo, che ritorna il proprio tempo, e fioccano le ricette, il pane fatto in casa, i racconti, gli esperimenti con le piantine, i giochi di bambini e bambine nascondono una lucidità di gran lunga maggiore di quanta se ne riscontri negli esseri umani adulti.
E nonostante questo, comprensibilmente, anche chi ha un terrazzino sogna di uscire di casa. Ci rendiamo conto di quante cose si possono fare quando non si vive per lavorare, quanta vita è nascosta tra le pieghe di piccoli gesti quotidiani che per quanto piccoli non troviamo il tempo di compiere: ci ricordiamo che cosa fa di una casa una casa. Contestualmente, è in questa casa che siamo rinchiusi e impauriti. Neanche il tempo di scoprire o riscoprire un luogo di vita, e già lo abbiamo ritrasformato in una prigione che in quanto tale non possiamo più apprezzare. Ritrasformato, o riconosciuto come tale. Godere serenamente di quel tempo ritrovato è probabilmente un lusso di pochi.
Siamo scivolati fin troppo facilmente dalla prigione del lavoro alla prigione della casa, senza la soluzione di continuità che avrebbe permesso un attimo di respiro per interrogarsi sul significato della prigione e sulla sua funzione. Sostituita una prigione con un’altra, senza ancora immaginarsi di distruggere la gabbia.
Vivere una sola vita
in una sola città
in un solo Paese
in un solo universo
vivere in un solo mondo
è prigione.
(tratto da Prigione di Ndjock Ngana)
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