Se duemila fermi arbitrari vi sembran pochi
Si parta da una constatazione: da anni non si assisteva ad una giornata di repressione preventiva tanto massiccia come quella di ieri in occasione delle proteste per il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma. Dopo settimane di allarmismo e montature ad arte, in cui è stato alimentato un clima di tensione ingiustificato portando una buona parte dell’opinione pubblica a indignarsi per fatti mai accaduti e del tutto ipotetici (come sa chi si è arrischiato a fare un giro della rete trovandola piena di insulti ai «black bloc figli di papà»), accostando i movimenti sociali al terrorismo e adottando una retorica apocalittica secondo cui Roma sarebbe stata colpita da attentati e devastata nella sua interezza, né gli attentati né gli scontri auspicati dalla stampa hanno avuto luogo (e notizia è diventata la loro assenza). Con la diffusione di notizie infondate, la stampa ha contribuito a costruire una verità sociale che non corrisponde alla verità fattuale, in barba alla tanto decantata guerra dei mezzi d’informazione ufficiali alle fake news e a quella che chiamano post verità, a loro dire responsabile della crescita dei movimenti di estrema destra, del populismo euroscettico, dell’elezione di Trump e dell’esito del referendum britannico sulla permanenza nell’Unione Europea.
Secondo La Repubblica «i timori della vigilia per la presenza di black bloc si sono fortunatamente rivelati infondati». Forse sarebbe il caso di interrogarsi sull’affidabilità delle fonti? Se i timori che la stampa, con scarsissima þrofessionalità e mancanza di correttezza, ha alimentato, si sono rivelati infondati non sarebbe un’occasione per rivedere e mettere in discussione i propri sistemi di raccolta e valutazione delle fonti? Se giornali come il Corriere della Sera e La Repubblica avessero a cuore, come sostengono, la questione della correttezza dell’informazione e della lotta alle bufale e alle narrazioni basate su fonti inattendibili, se si stracciano le vesti in nome del buon giornalismo, potrebbero almeno dire per trasparenza su quali fonti infondate avevano costruito le proprie congetture?
Sembra impossibile che ancora nessun giornalista stia incalzando e bastonando il ministro Minniti per la gestione dell’ordine pubblico di ieri a Roma, eppure si respira una certa compiacenza. Il Corriere della Sera descrive la giornata di ieri come «una giornata allegra». Forse si riferisce all’allegria di centinaia di fermi tra manifestanti pacifici e una pioggia di fogli di via di durata pluriennale motivati da ragioni pretestuose come l’essere in possesso di un sospetto capo di abbigliamento nero? Certo, i precedenti dello hijab islamico ma soprattutto del burkini la scorsa estate avevano già mostrato che anche nel cuore dell’Europa, i cui miti fondanti sono la libertà di espressione e la società aperta, possono essere vietati degli indumenti perché contrari ai valori morali socialmente accettati, ma il fermo con conseguente foglio di via per il possesso di felpe a causa del colore nero di queste ultime non erano ancora mai stati applicati a tappeto come procedura repressiva, come è successo ieri a Roma. Questo denota un inquietante abbassamento della soglia di tolleranza dei meccanismi repressivi: se una volta era vietato manifestare armati, l’interpretazione pratica di questa norma si è estesa passando a considerare come armi gli scudi e i caschi, arrivando oggi a considerare arma una sciarpa o un indumento nero. Ripetiamo che ci troviamo di fronte a casi di totale assenza di reato.
Nella notte precedente la giornata di mobilitazione, le forze di polizia hanno fermato e identificato non meno di 1500 persone che in moltissimi casi sono state trattenute in questura anche il giorno successivo “per accertamenti”, in assenza di reato e senza che venisse fornita alcuna giustificazione, come se gli arresti di massa fossero una cosa normale in uno Stato di diritto. La stampa ha riportato la notizia di centinaia di arresti arbitrari preventivi senza batter ciglio. Nel corso della mattinata del 25 marzo, sono stati segnalati decine di casi di fermi senza valido motivo, di perquisizioni da parte della polizia degli autobus partiti per Roma dalle Marche, dalla Val Susa, dal Veneto, da Bologna, trattenuti per ore senza uno straccio di motivazione che potesse essere presa sul serio (per esempio, nel caso del bus dei valsusini il fermo dell’intero autobus e dei suoi passeggeri è stato ordinato dopo aver trovato un sessantenne in possesso di un pericolosissimo coltellino da formaggio) e scortati fino a centri d’identificazione (e di espulsione, se vogliamo; o pensavamo che la libertà di movimento fosse solo un problema dei migranti?) a Tor Cervara, all’ingresso della città, pare allestiti per l’occasione, impedendo a centinaia di persone di prendere parte alle manifestazioni. Anche questo non dovrebbe stupire: per celebrare l’Unione Europea senza alcuno spirito critico si affermano i valori europei, cioè anche quelle procedure politiche e sociali che si sono configurate come tali nella gestione dei flussi migratori: la limitazione della libertà di movimento e il reato di solidarietà. E anche il fatto che, come qualcuno ha fatto notare, il Questore di una città possa decidere a propria discrezione chi può entrare e chi meno, senza fornire motivazioni plausibili, sa più di Far West che di Stato di diritto, non dovrebbe stupire: i valori che si celebravano sono parole vuote.
In questo clima che sarà onere del lettore definire, mentre i giornali riportavano acriticamente i declami deliranti delle forze dell’ordine che affermava di aver rinvenuto un gran numero di «sassi abbandonati» lungo il percorso previsto dei cortei e la polizia tentava di spezzare in maniera violenta e del tutto gratuita e provocatoria la coda del corteo pacifico e autorizzato, che saggiamente non ha reagito come avrebbero forse sperato gli agenti accecati dall’adrenalina o bavosi in preda ad un istinto primitivo, alcuni hanno cominciato a complimentarsi con il ministero dell’Interno per i metodi utilizzati per prevenire i disordini previsti (che erano previsti, tuttavia, solo nella testa dei giornalisti e della polizia), dunque a giustificare gli arresti di massa preventivi, i fermi e i fogli di via, tutto in assenza di reato e a discrezione ed arbitrio esclusivo del Questore di Roma.
Il quale Questore ha rassicurato, in conferenza stampa trasmessa in diretta su RaiNews24: «Abbiamo verificato l’orientamento ideologico delle persone fermate». Rileggete questa frase. Ancora. Ancora. Sì, l’ha detto. Bravo il questore di Roma, difende i nostri valori™ europei™ reprimendo libertà di pensiero e limitando libertà di movimento e di espressione. Se non fosse chiaro: l’Italia è un paese in cui la polizia può trattenere migliaia di persone a caso per accertarne l’orientamento ideologico e provvedere a piogge di fermi e fogli di via se l’orientamento ideologico in questione non è gradito (se individuale o collettivo non è dato sapere, né è dato sapere come effettivamente si possa accertare o cosa non sia ammesso come orientamento). Bisognerebbe ricordare che l’unico orientamento ideologico che è costituzionalmente possibile discriminare è quello fascista, che la libertà di espressione è formalmente garantita e che uno dei ruoli della polizia in uno Stato di diritto sarebbe quello di assicurarla. Eppure l’apparato repressivo, tanto democratico con i razzisti che «hanno anche loro diritto di parola», non accetta nessun tipo di orientamento che sia difforme dalla norma politicamente definita (a quanto pare i razzisti sono conformi e possono parlare, manifestare, lasciare dichiarazioni alla stampa, partecipare a dibattiti televisivi, avere spazio e agibilità politica). La concezione di ordine pubblico del ministro Minniti non ha niente di diverso dall’ordine pubblico della Lega. A Bologna, come a Roma, come ovunque.
Come scrive Rita Cantalino, la cosa più preoccupante è la generale noncuranza per una tale gestione dell’ordine pubblico, che si configura come una violazione del diritto a manifestare, una limitazione della libertà di espressione e di movimento. La gravissima frase del Questore di Roma sulla discriminazione su base squisitamente ideologica è passata piuttosto inosservata. Gli arresti di massa in assenza di reato sono il dovere della polizia di uno stato dittatoriale, non di diritto. Davvero in così pochi percepiscono quanto sia pericoloso farsi scivolare addosso giornate come questa?
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