Il “nuovo patriottismo” dell’UKIP in due esempi
Il partito euroscettico UKIP, il più votato in UK alle ultime elezioni europee, è noto per la capacità che ha avuto, al pari di simili rigurgiti destrorsi continentali, di mascherare le proprie posizioni di estrema destra imponendo nel dibattito pubblico varie proposte radicali senza ricorrere ad argomenti apertamente razzisti o nostalgici del passato. Molto è stato scritto in proposito, tra cui un’interessante recensione sul fenomeno generale della “nuova internazionale nera” e, soprattutto dopo il trionfo elettorale dell’UKIP, altrettanti fiumi di inchiostro sono stati scritti sulla natura di quest’ultimo. Resoconti di fuoriusciti, articoli d’inchiesta ed eventi giudiziari hanno rivelato inquietanti aspetti sulle tecniche di costruzione del consenso utilizzate dai partiti cosiddetti “populisti” che sarebbe più opportuno definire di “destra radicale”. Il successo di tali tecniche risiederebbe nel non dichiararsi apertamente razzisti o nostalgici del passato, evitando argomentazioni riconducibili a retoriche chia ramente identificabili.
Come discusso altrove, il problema del razzismo è ridotto a una questione, puramente formale, di etica e di decoro borghese: è sufficiente dichiararsi contro e deprecare queste entità astratte che sono i razzisti, basta che nessuno si definisca razzista apertamente (pur continuando ad agire secondo le proprie posizioni) ed ecco eliminato il problema.
Tuttavia, ogni tanto qualcosa traspare molto più di quanto si intenda lasciar trasparire. A titolo di esempio, sono significativi due casi, l’uno sul dichiararsi “apertamente razzisti”, l’altro sull’evitare di esternare sentimenti “nostalgici del passato”.
Il primo esempio è il manifesto lanciato dall’UKIP per presentare i punti salienti del programma della forza politica. Nella seconda pagina del manifesto, che tratta di immigrazione, compare la frase seguente (traduzione mia, ndr): «Gli altri partiti si sono impegnati a favore dell’allargamento dell’UE a Turchia, Albania, Moldavia e molti altri paesi. Secondo le regole europee, tutti i loro cittadini saranno autorizzati a vivere e lavorare in UK». Agitare lo spauracchio di un’invasione di turchi, albanesi e moldavi, che sono nazionalità spesso oggetto di pregiudizi razzisti, non significa forse ammettere che francesi e tedeschi, ai quali è già concessa la regolare permanenza in UK, sono accettati molto più di buon grado? Non è questo dichiararsi apertamente razzisti? (Tralasciando il fatto che lo stesso utilizzo del concetto di “invasione” è fuorviante, una stortura utile esclusivamente a disinformare a fini razzisti.)
Il secondo esempio è una dichiarazione rilasciata di recente da Peter Whittle, “Culture Spokesman” del partito, secondo il racconto di un giornalista. Whittle espone una «teoria emergente del patriottismo», un nuovo modo di intendere l’appartenenza nazionale. «Che c’è di male ad essere britannici?» si chiede il portavoce del partito prima di scagliarsi contro chi è «schiavo del senso di colpa per il passato coloniale britannico». Si tratta non solo di un’esternazione nostalgica, ma anche di un’accusa morale per coloro che, a detta di Whittle, non onorano né ricordano con i dovuti sentimenti di rispetto l’imperialismo e il colonialismo. Ovvero. Non si capisce poi come si possa accusare di essere schiave del senso di colpa per il passato coloniale quelle stesse istituzioni e autorità che cercano da sempre di insabbiare, censurare e rimuovere le tracce di tale passato. Il colonialismo britannico fu questo. L’imperialismo britannico fu questo. Le parole sono pietre.
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