11 luglio: possiamo ancora vederci
Non sovraccaricate le date, non sovraccaricate i luoghi. Attenti a Frankenhausen.
Il vertice europeo sulla disoccupazione giovanile è stato rimandato a data da destinarsi, comunque dopo l’estate. Tra le strutture che hanno contribuito alla costruzione della mobilitazione prevista giorno 11 luglio in risposta a quel vertice, si vocifera il rinvio o l’annullamento della contestazione. Senza intento polemico, ma a sincero scopo propositivo, vorrei dire la mia.
1 – Lasciare che data e luogo di una manifestazione continentale dipendano dalle scelte del potere, così che il potere possa determinarne lo spostamento a suo piacimento semplicemente annullando o spostando un vertice, è indice di non-autonomia. Se si vuole combattere solo la manifestazione simbolica e temporanea del potere, è sufficiente legittimarne le scelte, inseguendole nel tempo e nello spazio. È significativo che il vertice sia stato spostato sia nel tempo (almeno a novembre) sia nello spazio (da Torino a Bruxelles): è sintomo del fatto che un punto preciso del tempo (11 luglio) e dello spazio (Torino) era stato sovraccaricato di contenuti e aspettative, rendendo possibile lo spegnimento di quelle aspettative ad un semplice cenno di modifica.
2 – Le motivazioni addotte dalle istituzioni per lo spostamento del vertice possono essere variamente interpretate. Da più parti giungono indizi che la scelta sia stata operata sulla base di considerazioni legate all’ordine pubblico, che avrebbero intimorito il PD, il governo e la questura di Torino. Il PD ha reso noto attraverso l’esponente torinese Esposito che intorno a quella data si temeva l’acuirsi di un clima di tensione già esistente e che, secondo le immancabili indiscrezioni dei servizi segreti, i teppisti di tutta l’Italia stavano cominciando a prepararsi per la guerriglia. Il governo non ha mai amato le contestazioni (non nasce nemmeno da un conflitto, da un competizione, seppur nella sua forma elettorale) e questo sarebbe stato il primo evento di rilevanza ad intaccare la sua purezza. La questura di Torino, pur minimizzando, lascia trasparire preoccupazione, considerando anche il fatto che una quantità insolita di forze dell’ordine era stata messa in allerta con disponibilità per tutto il mese di luglio.
3 – Qualcuno potrebbe gridare vittoria: hanno spostato il vertice, abbiamo vinto. Eppure, spostare il vertice potrebbe essere stata una mossa astuta per esaurire la spinta propulsiva della chiamata alla mobilitazione. La reazione di alcuni è stata: «Ovviamente, se la notizia sarà confermata, viene meno la data di mobilitazione». Come se,senza quella manifestazione parziale, temporanea e simbolica del potere che è un vertice, non ci fosse nulla da contestare. In La rivoluzione che viene, David Graeber descrive come, spesso, i movimenti perdano un alto livello di mobilitazione perché ottengono troppo presto ciò che intendono ottenere, così presto da non rendersene conto: in questo caso, l’obiettivo di ostacolare il vertice europeo sulla disoccupazione giovanile è riuscito e quindi la mobilitazione non è più immediatamente necessaria. Questo è un problema di metodo ma anche di contenuto. Si tratta di un problema di metodo perché si subordina la mobilitazione al calendario. Si tratta di un problema di contenuto perché… siamo sicuri che quello che i movimenti vogliano davvero solo ostacolare un vertice? E se non è così, perché insistere su questo punto? La risposta è semplice: è un obiettivo di per sé capace di determinare la natura delle azioni di mobilitazione. Se l’obiettivo è bloccare, l’azione da condurre è il blocco, nelle sue varie forme possibili. Ovvero, è un obiettivo concreto e immediato, e la consapevolezza della possibilità concreta di influire sull’esistente è necessaria per la partecipazione delle masse. I movimenti non vogliono solo ostacolare un vertice, ma se in termini di “concretezza” insistono su questo punto particolare, ci si dimentica il resto, e quindi “niente vertice, niente mobilitazione”.
4 – Tutti questi problemi sono riconducibili alla logica del grande evento sovraccaricato di significati e aspettative, in cui si gioca il tutto per tutto. All’assemblea che ha lanciato la data dell’11 luglio, non sono mancate spinte contrarie: qualcuno proponeva di «immaginarsi una giornata di blocchi e azioni diffuse dove la controparte se l’aspetta meno». È fuori di dubbio che per contrastare efficacemente bisogna agire dove il potere non se lo aspetta, ma ritrovarsi nella sede simbolica del potere è esattamente ciò che il potere si aspetta. Se il potere si manifesta simbolicamente a Torino, in risposta si dovrebbe creare contropotere, anche simbolico, altrove. O forse mancano luoghi di lotta, con forti rivendicazioni? Perché non a Taranto, simbolo della connivenza tra politica e capitale, distruttrice di persone e ambiente? Perché non a Napoli, capoluogo di una terra che è fabbrica di veleni? Perché non a Roma, sede di un’importante e cruciale lotta per il diritto alla casa? Perché non mille altre città, in cui fanno ormai parte della quotidianità sgomberi di spazi sociali e di occupazioni abitative, violazioni di diritti dei migranti, sfruttamento e precarizzazione delle vite, abusi in divisa, devastazioni dei territori? Qualcuno potrebbe dire che tutte queste istanze non riguardano la disoccupazione giovanile, ma non avevamo detto che non è solo un vertice ciò contro cui i movimenti lottano?
5 – Che lo spostamento del vertice sia una vittoria dei movimenti o piuttosto una strategia per neutralizzare il conflitto, in entrambe le interpretazioni il potere mostra una debolezza, per sincero timore di contestazioni o semplicemente perché non ha assolutamente nulla da dire sulla disoccupazione giovanile e ambisce a prendere tempo. Bisogna sfruttare questa debolezza. Non ritiriamoci. Si era deciso Torino? Si era decisa la giornata dell’11 luglio? Si sono organizzati per mesi i preparativi per questa contestazione? Facciamola. Non diamo sollievo alla questura di Torino per il rientro dell’allerta, né al governo per aver evitato il confronto con il conflitto sociale.
Vediamoci lo stesso, perché loro possono rimandare il vertice, ma le nostre rivendicazioni non sono rinviabili.
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