Femmaschilismo
Ho trovato, non importa dove né scritta da chi, la seguente affermazione: «non capiamo come un maschio possa dirsi femminista».
Tale convinzione rivela una strana visione delle disuguaglianze e dell’oppressione di genere: una visione che non ambisce a scardinare la logica sessista, la sua retorica e i suoi contenuti, ma per cui le disuguaglianze sono anzi destinate a perpetuarsi. Me l’ha insegnato proprio il femminismo che la pratica del capovolgimento dei tradizionali rapporti sociali inizia nella nostra mente, nel personale modo che ciascuno adotta affrontando le situazioni che vive, nella nostra percezione delle cose che accadono, nel linguaggio usato per descriverle e comunicarle.
Ora, un’affermazione del genere pare proprio in difetto di questo capovolgimento, in quanto si basa sull’assunzione che l’opinione politica di un individuo non possa prescindere dal sesso biologico o dal genere inteso come ruolo sociale.
Eppure, il femminismo mi ha insegnato anche che quello di “femminismo” è un concetto parallelo se non coincidente con quello di “antisessimo”. Citando Wikipedia (sì, un movimento o una corrente di pensiero è difficile da riassumere in una definizione, soprattutto se lo sviluppo storico è diversificato, adattabile a vari contesti, plastico tanto da parlare di “femminismi” al plurale, ma mi si risparmino questa critica e questi discorsi e si accetti che “in linea di massima più o meno quasi ci siamo e non è poi malaccio”) il femminismo è definibile in tre modi. Non c’è motivo ragionevole per cui ad un essere umano di sesso maschile dovrebbe essere politicamente precluso o tecnicamente impossibile un percorso di maturazione delle opinioni e di costruzione di lotte che ricadono in una di queste tre macro-definizioni. In particolare, commentando singolarmente ciascuna:
La posizione di chi sostiene la parità politica, sociale ed economica tra i sessi, ritenendo che le donne siano state e siano tuttora, in varie misure, discriminate rispetto agli uomini e ad essi subordinate
Perché un uomo non può sostenere programmi di emancipazione femminile ed essere fermamente convinto della necessità di raggiungere l’uguaglianza in diritti e di garantire la sua realizzazione? Inoltre, perché dovrebbe essergli impossibile riconoscere che il genere femminile sia stato, in passato e oggi, colpito da una particolare forma discriminazione basata sul sesso, direttamente o indirettamente? Si potrebbe obiettare che l’uomo è stato storicamente la figura oppressiva del genere femminile, quella che ha costruito società maschiliste e che è dunque nel suo interesse garantire la trasmissione delle credenze connesse a queste ultime e dei rapporti sociali che le esprimono. In quest’ottica, un maschio femminista può apparire poco credibile, ipocrita e imbonitore, come un funzionario del sistema borghese che, avvicinandosi in giacca e cravatta e tendendo la mano con un grosso sorriso dipinto sul volto, dichiari con affabilità di essere convintamente anticapitalista. La differenza, tuttavia, risiede nel fatto che il rifiuto del capitalismo può assumere molte forme, anche diverse tra loro e totalmente opposte, così che l’anticapitalismo di per sé non implica niente, nella misura in cui è pars destruens ma non ancora pars construens; il rifiuto della disuguaglianza, al contrario, implica l’uguaglianza.
La convinzione che il sesso biologico non dovrebbe essere un fattore predeterminante che modella l’identità sociale o i diritti sociopolitici o economici della persona
Ancora: perché un uomo non può pensarla così? Solo in virtù del proprio sesso? Dire questo significherebbe affermare che gli uomini, letteralmente, «ragionano con il cazzo», nel senso che le loro opinioni derivano dal sesso biologico; il che non farebbe altro che ravvivare stereotipi sessisti in linea con la discriminazione di genere (la violenza di genere non è necessariamente maschile, ma piuttosto maschilista. E non è la stessa cosa: si veda qui).
Il movimento politico, culturale e sociale, nato storicamente durante l’800, che ha rivendicato e rivendica pari diritti e dignità tra donne e uomini e che – in vari modi – si interessa alla comprensione delle dinamiche di oppressione di genere
In più rispetto ai due punti precedenti, c’è l’interesse per la comprensione delle dinamiche sociali e dei meccanismi che caratterizzano l’oppressione di genere. Di nuovo, perché questo interesse non può essere vivo in un individuo di sesso maschile? La storia del movimento femminista fornisce anche esempi di intellettuali, scrittori, studiosi, teorici e pratici che hanno aderito alla lotta femminista e l’hanno arricchita di strumenti e contenuti. Erano in mala fede, oppure forse infiltrati del patriarcato?
Insomma, non capire come un uomo possa definirsi femminista significa aderire ad una visione secondo cui le idee di ciascuno dipendono da ciò che una persona ha tra le gambe. Aspetto che qualcuno mi spieghi in che modo il fatto di avere un pene e due testicoli anziché due paia di labbra e una clitoride debba comportare la mia impossibilità di essere sinceramente antisessista.
Short Link:
condivido, e mi fai ricordare la querelle che ho avuto un paio di anni fa con un testadiminchia il quale sosteneva che se non sei precario o disoccupato o povero non puoi criticare il berlusconismo… stesso paradigma, stessa assurdità, stesso modo di ragionare col cazzo, dando ragione al tema che ipoteticamente si vorrebbe contrastare
Concordo su tutto, però voglio lanciare ugualmente una piccola provocazione (forse fuori luogo, ma può aiutarci a esercitare la ragione): può una donna dirsi maschilista?
@Nello
Anche se sono d’accordo con te sul fatto che il ragionamento secondo cui solo un disoccupato può criticare sinceramente e consapevolmente il berlusconismo (tra l’altro come se questo fosse una particolare dottrina di politica economica, e non un modello di rappresentanza politica, di cultura dell’immagine, di vuotezza di contenuti, quasi di stile di vita) sia assurdo, esattamente com’è assurda la presa di posizione di chi non concepisce come un “maschio” possa definirsi “femminista”, penso che non si possano porre le due questioni sullo stesso piano.
Il motivo per cui affermo questo è contenuto sopra: il rifiuto del berlusconismo può assumere molte forme, ma il rifiuto della disuguaglianza implica l’uguaglianza.
Con questo intendo dire che, se al berlusconismo vogliamo dare un significato all’interno del capitalismo, allora è probabile che chi si dichiara contro il berlusconismo non essendone vittima corrisponda proprio al funzionario borghese col panciotto, la bombetta e i gemelli d’oro che si dichiara anticapitalista.
Invece, nel caso dell’antisessismo, la questione sociale del ruolo di genere viene così trasformata in una questione non più sociale, ma naturale: il maschio non può essere antisessista, non in virtù del ruolo di genere oppressivo che la società inevitabilmente gli attribuisce, ma per il fatto che è biologicamente maschio e dunque automaticamente condizionato dalla propria natura ad essere sessista.
In quest’ottica, più che il berlusconismo, come termine di paragone è il razzismo che mi sembra più sensato: «se sei bianco non puoi essere sinceramente antirazzista». Questa espressione è la limpida trasposizione di «se sei maschio non puoi essere sinceramente antisessista».
@Davide
Che una donna possa dirsi maschilista lo trovo difficile, anche se non impossibile. Del resto troverei strano anche un uomo che si definisse esplicitamente maschilista. Per quanto riguarda l’esserlo, invece, non ci sono dubbi: anche una donna può essere maschilista e sessista, anzi dire il contrario sarebbe sintomo di sessismo.
Rispondo simpaticamente a Davide con una contro-provocazione: una donna è già “maschilista” quando vanta di essere o lotta per essere uguale ad un uomo. 😉
Più in generale, e come ho avuto modo di scrivere, credo che un certo femminismo è stato più deleterio del millenario patriarcato, proprio perchè è nella “diversità” il vero segreto, come in tutte le cose.
ciao a tutti
Salvatore
@Riflessioni Urbane
Non sono d’accordo o forse non ho capito la tua provocazione sull’uguaglianza e la diversità. Le due cose infatti non si escludono, e pensare che lo facciano automaticamente è l’errore secondo me commesso ogni volta che si parla di egualitarismo senza chiarirsi sul significato del concetto.
Mi piacerebbe anche che spiegassi meglio a cosa ti riferisci parlando di «un certo femminismo».
@ Monsieur en rouge
Ho scritto anche “simpaticamente”, e quindi va letta come una sorta di provocazione-battuta 😉 e, vista la stima che ho per Davide e per il suo pensiero, non poteva essere diversamente.
Per quanto riguarda i concetti di uguaglianza e diversità riconosco effettivamente, ad una lettura più accurata, di non aver chiarito minimamente il mio pensiero, ma volevo in pratica dire che forse sarebbe più giusto lottare sia e soprattutto per una diversità naturale e di valori (perchè secondo me le donne ne hanno più di noi, ma questo rimane un mio parere ovviamente) che per una uguaglianza di diritti.
Anche questo intendo quando scrivo “un certo femminismo”, e mi riferisco in generale anche alla radicalizzazione di una parte di quei movimenti di piazza negli anni 70 che hanno solo generato confusione e “ricambi” per la futura dirigenza politica della Seconda Repubblica.
Buona serata a tutti
Salvatore
A parte il fatto che “maschilismo” e “femminismo” non sono due concetti paralleli, quindi alcune osservazioni negli ultimi commenti sono un pò improprie…
Poi anche a fermarsi troppo su cosa vuol dire “uguale” o “diverso” non si va molto avanti e (così come per la questione razzista) si finisce per dire tutto e il contrario di tutto.
La questione deve proprio rompere la distinzione e la precisazione sull’ uguaglianza o sulla diversità, e porre invece la questione in termini di rispetto verso “l’ altro”, in entrambi i casi.
Allora ci ero andato abbastanza vicino, e posso quindi ribadire la mia perplessità rispetto alla tua opinione. La mia impressione è che la critica della lotta per l’uguaglianza scaturisca dalla confusione tra “uguaglianza” e “omologazione” e dalla conseguente convinzione che uguaglianza e diversità si escludano, mentre ciò non è vero (anche se devo ammettere che posta in questi termini sembra una contraddizione; diciamo piuttosto che può non essere vero): la diversità e l’uguaglianza sono perfettamente conciliabili, nella mia personale visione, se l’uguaglianza è il riconoscimento del principio che «ci uniscono molte più cose di quante ci dividano». In quest’ottica, l’uguaglianza è anzi uno strumento di valorizzazione della diversità, della sua tutela e del suo rispetto.
Sul femminismo degli anni Settanta non sono abbastanza informato, mi riservo di rispondere un’altra volta, magari prossimamente.
Io ho sempre avuto remore a parlare di “femminismo” in relazione al mio antisessismo. Per me i due termini non sono immediatamente sovrapponibili, nella misura in cui il femminismo implica pratiche di liberazione della donna, che, per essere efficaci, devono essere pratiche di auto-liberazione. Ogni tentativo da parte degli uomini di imporre o suggerire pratiche di liberazione alle donne, anche in buona fede, non fa che riproporre il patriarcato e il paternalismo maschile.
Credo che il paragone tra antisessismo e antirazzismo, in questo, sia illuminante. Se è doveroso per ogni bianco essere antirazzista, pure le pratiche di liberazione devono venire dagli oppressi. Ciò non toglie che antirazzismo e antisessismo, nell’uomo e nel bianco, comportano pratiche e schemi di comportamento ben precisi, che tendenzialmente riassumerei nella “vigilanza su se stessi”.