Month: June 2012

  • Sono stato grillino anch’io…

    Ultimamente in molti hanno esternato opinioni sul movimento ispirato alla figura di Beppe Grillo. Non mancano analisi da ogni parte, analisi critiche dei possibili significati del voto che alle amministrative ha visto il Movimento Cinque Stelle accrescere i consensi. Alcune analisi c’erano già da prima, alcune opinioni anche. Opinioni e analisi insomma se ne sono viste tante, e penso che chiunque voglia farsi un’idea sull’argomento abbia a disposizione una montagna di informazioni cui attingere, da editoriali sui più svariati giornali ai blog indipendenti, famosi e meno famosi, passando per i commenti su Facebook.

    Non è mia intenzione quindi articolare dettagliatamente la mia opinione sul fenomeno, sia perché qualcosina l’avevo già buttata giù qualche tempo fa, all’inizio di quest’anno, sia perché, diciamocelo chiaro, i pochi lettori di questo blog probabilmente mi conoscono abbastanza bene da conoscere già la mia posizione in merito. Eppure un paio di considerazioni le aggiungerei, dette così, brevemente, per non far perdere tempo neanche a loro.

    Quando parli con un grillino (se qualcuno conosce un altro modo di chiamare un aderente al Movimento Cinque Stelle me lo faccia sapere. Nota bene: non vale la parola «cittadino» propostami da molti) inevitabilmente giungi ad affrontare il problema della questione morale. Giustamente, ci mancherebbe! Cosa ha sempre proposto Grillo, anche quando era solo un comico, prima del movimento e dei meetup? Qual è la soluzione allo scempio della corruzione? Il “Non Statuto” recita che requisito per la candidatura nella lista del movimento è che i candidati «siano incensurati e non abbiano in corso alcun procedimento penale a proprio carico, qualunque sia la natura del reato ad essi contestato». Lo stesso si trova sul programma, nel punto che parla di «non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati». Qualsiasi reato. Ma allora se un operaio è stato condannato per un blocco stradale di protesta non può candidarsi? Se un valsusino è stato arrestato per aver tagliato le reti del cantiere del Tav non può candidarsi? Se uno ha partecipato alle giornate di Genova ed è stato picchiato a sangue dai poliziotti macellai della Diaz o di piazza Alimonda, arrestato e infine condannato per devasto e saccheggio, non può candidarsi? Se uno ha semplicemente fatto un incidente ad un incrocio ed è stato condannato, non può candidarsi? Siamo sicuri che stiamo parlando di corruzione o ci stiamo spingendo un po’ oltre?

    La maggior parte delle volte, queste domande trovano un interlocutore accigliato che ribatte: «ma è ovvio che si tratta di reati contro la pubblica amministrazione! Se uno è stato condannato per un incidente cosa centrano le sue capacità politiche e i suoi principi?». Certo, sarà ovvio, ma spiegatemi: dove diavolo sta scritto? Visto che questo è uno dei loro cavalli di battaglia, non dovrebbero prendere una posizione chiara, per evitare di scoprire troppo tardi che per alcuni era ovvia una cosa e per altri un’altra?

    La stessa cosa vale per l’antifascismo. Non sta scritto da nessuna parte che il movimento è antifascista, ma quando lo fai notare la risposta più comune è: «ma è ovvio che lo è». Quando il Financial Times paragona Grillo a un ducetto, lui risponde: «siamo il secondo partito d’Italia e voi ci chiamate fascisti!» con una logica decisamente impeccabile, secondo cui anche a Berlusconi si dovrebbero risparmiare accuse di autoritarismo e fascismo solo perché tra i partiti era il primo. Ma, continuate, se uno è fascista in base a che cosa lo escludete dal movimento? Riporto testualmente le parole di un grillino: «La supervisione di Grillo serve a questo: a certificare che i candidati non lo siano», e questa risposta mette in luce tutto il grande problema di democrazia interna del Movimento Cinque Stelle: uno vale uno ma è Grillo a decidere chi va bene e chi no. Perché, ci vuole un diploma in ragioneria (è il titolo di Grillo) per capire se uno è fascista? E se Grillo diventa fascista che fa, si autocertifica da solo e si autoespelle?

    Ma non è solo questo. Non puoi tenerti nel movimento gente così solo perché la difesa dei diritti omosessuali non è contemplata tra i principi del tuo programma, per poi dissociartene quando torna comodo di fronte alle domande incalzanti e inquisitorie dei giornalisti. Certo, il comunicato di dissociazione spiega chiaramente che l’omofobo sedicente esponente grillino era stato allontanato da tempo dalle attività del movimento, ma il problema è che è plausibile che un grillino la pensi e parli così, visto che né lo statuto né il programma prendono posizione in merito, non ponendo nessun vincolo all’ingresso nel movimento di persone dichiaratamente omofobe. Che poi nei fatti questi individui siano allontanati, per una questione di calcolo politico o per sincero rifiuto, poco importa: dove sta scritto che il Movimento Cinque Stelle non è compatibile con l’omofobia?

    E così arriviamo al dunque: il motivo di queste mancate prese di posizione riguardo questioni che personalmente reputo centrali per la costruzione di un soggetto politico credibile, e che il movimento puntualmente ignora, forse perché si tratta di “roba vecchia”, è che ricerca esplicitamente il consenso dei “cittadini”. Ma chi sono questi cittadini? Che significa questa espressione? Azzardo una risposta: nulla. Anche gli omofobi, i fascisti, i berlusconiani sono cittadini.

    Ecco perché non si ottiene mai una risposta univoca sui grandi temi dei diritti e del lavoro: sarebbe come chiedere che ne pensano gli italiani. Alcuni in un modo, altri in un altro modo. Ma questo non è un progetto politico: cosa faranno, qualora dovesse capitare, quando toccherà decidere che posizione prendere in Parlamento in merito a questioni come matrimoni tra omosessuali o provvedimenti contro l’omofobia? Scopriranno di non essere d’accordo e si scanneranno tra di loro, esattamente come già fa il PD? E sulla cittadinanza a figli di stranieri nati in Italia? Si scanneranno come il PD? No, grazie. Preferisco qualcuno con le idee più chiare, specialmente su certe questioni fondamentali.

    E pensare che a un primo impatto faceva piacere anche a me sapere che in tutta Italia dei comitati composti da “cittadini” si rimboccassero le maniche per cambiare le cose. Ma bisogna sapere anche come cambiarle e in cosa trasformarle. Sono stato un grillino anch’io, sapete. Ma se ne può uscire.

    Notizia di pochi minuti fa: sul Blog di Beppe Grillo è apparso un avviso che pubblicizza Forza Nuova.

  • Eurotower

    Cenere, cenere e polvere e sete troverete. E una torre che tutto scruta.

  • Sarà che sono un pippaiolo

    post correlati: Il popolino del web 3

    Scrive Eveblissett (sul suo blog) che «di solito in circostanze drammatiche il non sapere che dire è una reazione quasi normale, umana. Nella socialvetrina, invece, il non sapere che dire è vietato, diventa un fallimento, una sconfitta per l’ego. E quindi, si dice e l’importante è che qualcosa si dica, anche se è una stronzata».

    Tutto questo mi ricorda qualcosa. Premesso che io non sono un frequentatore di Twitter di lunga durata, perché è da appena un anno che ho aperto un profilo presso il più diffuso servizio di microblogging, e dunque non ho avuto l’occasione di conoscerlo quando era ancora un ambiente virtuale “di nicchia” con certe prerogative che lo rendevano appetibile come strumento di comunicazione e di informazione da parte dei movimenti, riconosco che qualcosa nell’ultimo anno è cambiato: già poco tempo dopo la mia iscrizione si erano verificati degli eventi che, a chi li sapesse leggere opportunamente, lasciavano presagire cambiamenti significativi.

    Il primo evento precisamente collocabile (nonostante alcuni indizi fossero rilevabili anche da prima) risale al 14 novembre 2011: a partire da quella data, Fiorello dagli schermi televisivi lancia davanti a milioni di telespettatori (uno share bulgaro, intorno al 40%) la sua trasmissione dal titolo proposto sotto forma di hashtag #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend. L’effetto immediato è analogo a quello sperimentato negli Stati Uniti in precedenza: molti personaggi famosi aprono un profilo su Twitter, seguiti inevitabilmente ciascuno dai propri fan.

    Le ricerche su Google della parola Twitter hanno un picco in corrispondenza dello show di Fiorello

    Come riporta questa analisi sulla crescita di Twitter nella cybersfera italiana, ciò ha comportato non solo un incremento nel numero utenti, ma anche nel numero di tweet giornalieri (pare che l’Italia sia il paese in cui, in relazione al numero di utenti, ne vengono scambiati di più al secondo), nel tipo di trending topic (che ora riflettono gli interessi di un pubblico più vasto) e, secondo me, anche nel linguaggio e nel’utilizzo del social network. Infatti, un tale aumento numero di tweet non è un semplice incremento di attività, ma un sintomo di cambiamento nell’uso dello strumento: personalmente, ho idea che l’effetto Fiorello abbia condotto molti utenti di Facebook a iscriversi a Twitter mantenendo le abitudini che avevano e continuando a esprimersi come nell’altro social network, ignari del fatto che, per una lunga serie di motivi, le due cose sono concettualmente diverse.

    E così, dopo sole due settimane dalla propagazione virale dell’amore viscerale per Twitter, Wu Ming si ritirava dal campo con le mani ai capelli, non senza prima aver fatto una buona analisi e autocritica sul fenomeno, in seguito a violente reazioni di indignazione da parte di questo nuovo “popolo di Twitter” in risposta al loro rifiuto di partecipare alla Colletta alimentare organizzata da Comunione e Liberazione.

    Poi è stata la volta del movimento NoTav. Il “popolo di Twitter” ha trasformato l’appellativo di «pecorella» rivolto a un carabiniere da parte di un manifestante come pretesto per screditare il movimento e additarlo come violento. Grazie a questo tipo di ragionamenti fatti au trou du cul (per dirlo con un francesismo) il potere abbassa l’asticella che segna il limite di tollerabilità di azioni e pensieri, ed è l’unico a guadagnarci veramente.

    Poi è venuto il 25 aprile, ed è nato l’hashtag #liberocommercio in supporto alla decisione del governo di permettere l’apertura dei negozi anche in occasione del giorno della Liberazione. Ho intrattenuto personalmente uno scambio di battute con alcuni dei sostenitori, chiedendo loro in che modo un lavoratore dipendente da qualche datore che avesse deciso di tenere aperto potesse partecipare alle celebrazioni della giornata senza prendersi delle ferie. Mi è stato risposto che solo i fascisti obbligavano i negozi a restar chiusi e che «il dipendente ha scelto di essere dipendente. Proprio per questo dipende dalle decisioni di qualcun altro. Fine». Ora, mi pare evidente che simili stronzate sono dicibili solo in un ambiente in cui si scrivono luoghi comuni e frasi fatte a palate.

    Il manifstante mentre si rivolge al carabiniere

    Per non parlare di #bloccare2giugno, un hashtag che non ho seguito ma che a quanto pare è stato inquinato abbastanza da suscitare il fastidio e il disgusto di diversi utenti di lunga data, tra cui Scalva, che ha deciso di abbandonare per un po’ di tempo il social network per evitare il ripetersi di spiacevoli fraintendimenti. La sua dipartita è stata salutata da un hashtag di grande successo, #occupyscalva, che è stato in classifica sotto gli occhi increduli di giornalisti e utenti che in gran parte non hanno capito un cazzo di quello che fosse successo.

    Ma insomma, con tutto questo pippone che cosa voglio dire? Che la mia previsione dicembrina si è realizzata pienamente. Tornando a Eveblissett, che lamentava il fatto che « Twitter non è più aggregatore di info ma “scazzatoio”», in riferimento sia alle polemiche sulla parata del 2 giugno sia, immagino, sullo spirito di “classe del liceo” di cui aveva già parlato in precedenza, non posso che riportarla:

    «I giornali potranno fare proclami su qual è l’ultima battuta del popolo di Twitter o su qual è stato il motivo della lite online tra Fiorello e la Guzzanti, chi è più stronzo tra i personaggi dell’ultima serie televisiva secondo il popolo della Rete, quanto il web è incazzato e indignato per la violazione delle decisioni referendarie di giugno, se preferisce Vendola o Di Pietro, se Lady Gaga o Madonna. Tutto grazie alla nuova ondata di utenti freschi che ridarà aria ai polmoni del web italiano, che stava per diventare un frame troppo trito e ritrito per essere credibile, troppo poco di moda per fare notizia. Tutto grazie al popolino del web».

    Mi scuso per i contenuti che forse risulteranno quasi incomprensibili a chi non usa Twitter (sarà che sono un pippaiolo). Ma di questo passo rischia di diventare incomprensibile anche a me che lo uso. O meglio, tristemente comprensibile, proprio come avevo previsto.